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La Chiesa e il Danaro.

Un dibattito a distanza tra Franco Cardini ed Antonio Socci (con una conclusione di Luigi Copertino)

Domenica 23 novembre 2014 – XXXIV Domenica del Tempo Ordinario

Festa del Cristo Re, Conclusione dell’Anno Liturgico

Hanno un bel dire che è un “povero prete”, uno che pensa solo alla pastorale, magari – come qualcuno sussurra – perfino un “comunista”: e naturalmente un “eretico” (o almeno è così che lo qualificano alcuni teologi della domenica, talora sodali degli atei devoti). Questo papa fa sul serio e ci va giù duro: specie nelle cose in apparenza piccole, banali, secondarie. Ora se la prende contro l’affarismo di certi preti che speculano anche sulle cerimonie sacre e sui sacramenti, facendoseli pagare talora profumatamente e ben al di là delle consuetudini che suggerirebbero qualche modesta, libera offerta.

Non ha scelto il nome di Francesco per caso, papa Bergoglio. Il santo di Assisi visse nello scorcio fra XII e XIII secolo, proprio al tempo del possente decollo commerciale, economico e finanziario europeo: il secolo nel quale si fondò la Modernità come progressiva affermazione della società del danaro. La Chiesa appoggiò e incoraggiò fortemente quel movimento, per quanto a lungo mantenesse dure riserve proprio su quel motore dell’economia che fu e rimane il “prestito a interesse”: quello che si definiva usura ed era considerato un peccato orrendo, come anche la Divina Commedia insegna. Francesco rifiutò per quanto riguardava lui e i suoi frati il rapporto con il danaro: ma l’Ordine minoritico, scaturito dalla sua proposta cristiana, contribuì di lì a pochi decenni con i suoi teologi e i suoi predicatori – basti ricordare Bernardino da Siena – a consentire lo sviluppo di un lecito esercizio del credito. Consultate gli studi di Giacomo Todeschini al riguardo.

Eppure, tutte le riforme della Chiesa sono nate in qualche modo da una forte contestazione del rapporto tra i fedeli e il danaro. E la cosa era cominciata prestissimo. Gli Atti degli Apostoli (8, 12-24), che sono parte del “Nuovo Testamento”, narrano come san Pietro maledicesse un filosofo-taumaturgo-ciarlatano di scuola ermetico-neoplatonica, tale Simone detto “il Mago”, il quale gli si era rivolto offrendogli una bella somma in cambio del segreto per operare miracoli. Da allora, si chiamò “simonia” la pretesa di acquistare venalmente i Doni dello Spirito Santo. Nell’XI secolo un nutrito gruppo di vescovi, di monaci e di mistici riuscì a strappare la Chiesa dal controllo della nobiltà feudale e dello stesso imperatore romano-germanico, che controllavano le nomine episcopali e abbaziali – e la fruizione delle relative ricche rendite -, delle quali avevano la gestione, mettendole in vendita ai migliori offerenti, passando sovente sopra alle loro doti morali e culturali. Ma, pur essendosi liberata dei prelati “simoniaci”, la Chiesa dei secoli successivi continuò a regolare un flusso crescente di danaro – che peraltro impiegava anche in molteplici opere di carità – organizzando un colossale giro di affari che comprendeva la raccolta di libere elemosine ma anche di vere e proprie tasse percepite capillarmente (le famose “decime”) e infine la vendita venale delle “indulgenze”, cioè delle promesse di cancellazione delle pene previste per i peccati il mercato delle quali si sviluppò insieme con l’articolarsi della dottrina relativa alle pene del purgatorio. E’ noto che lo scandalo determinato, tra i fedeli, dagli abusi collegati a questa pratica – e relativi allo sviluppo degli affari dei banchieri toscani e lombardi che appaltavano la riscossione delle decime fu una delle cause della Riforma luterana e quindi dello scisma che nel XVI secolo oppose la Chiesa cattolica da quelle “protestanti”.

La vigilanza contro l’insorgere di nuove occasioni di abuso venale da parte dei membri della Chiesa è stata, da allora, una costante dell’attività dei pontefici romani; ma, al tempo stesso, anche la nascita di nuovi pericoli ha minacciato la vita spirituale dei cattolici. Sappiamo quanto forte e duro sia stato l’impegno di papa Bergoglio contro lo IOR: e i nemici che gli ha procurato sono molti. Ora, egli è deciso a passare alle strutture capillari e profonde, a ripulire anche gli angolini di una quantità di pratiche venali alcune delle quali potrebbero sembrare trascurabili e tutto sommato “roba da lasciar correre”.

Non è così. Sono molti i fedeli che hanno segnalato e continuano a segnalare grandi e piccoli abusi: tra cui l’esistenza di vere e proprie “tabelle tariffarie”, praticate da molti parroci, per la celebrazione di solennità e perfino per la semplice amministrazione dei sacramenti. Quanto può costare, specie in certe chiese “monumentali” o “alla moda”, un battesimo, una cresima, una prima comunione, un matrimonio, una cerimonia funebre, la celebrazione di una messa in suffragio di un defunto? Per occasioni del genere, la tradizione vuole che si faccia una qualche libera offerta: e in ciò non c’è nulla d’illecito né di scandaloso, anche perché certi eventi impongono ai ministri del culto delle spese. Ma se le cifre vengono in qualche modo imposte, se s’impongono dei “tariffari” che raggiungono magari livelli esosi, ecco riemergere sotto mutate spoglie il vecchio spauracchio della “simonia”, della “vendita delle indulgenze”.

Papa Francesco vuole combattere questo affarismo e impedire un giro di affari illeciti che spesso è molto più ingente di quanto non si creda; la sua intenzione è riportare nel legittimo alveo della carità e della libertà tendenze che stavano degenerando verso la speculazione; e colpire al tempo stesso la dilagante consuetudine a trasformare perfino i riti religiosi in momento di ostentazione del lusso consumistico. Questo è un papa che fa sul serio. E chissà che non sia davvero l’inizio di una nuova Riforma, dopo quelle dell’XI e del XVI secolo. La Riforma della Chiesa che si appresta ad affrontare l’era postmoderna.

Franco Cardini

Antonio Socci. IN DIFESA DELLA CHIESA

E’ notizia di queste ore. In Nigeria (per fare un solo esempio) 11 mila cattolici uccisi e 1 milione e mezzo di persone sfollate per sfuggire a Boko Haram. Ma papa Bergoglio – che tace sull’islamismo – continua a bastonare i cristiani.

BOTTE SUI PARROCI

L’altro ieri è toccato ai parroci che sarebbero attaccati al denaro come trafficanti del tempio (“Quante volte vediamo che entrando in una chiesa, ancora oggi, c’è lì la lista dei prezzi”).

Fango generico e generalizzato su tutti, ingiustamente, che stavolta ha provocato una sorda sollevazione (lo stesso cardinale Bagnasco ha risposto che in nessuna chiesa italiana i sacramenti vengono venduti).

Un lettore indignato mi ha scritto:

“al di là di quello che si voleva dare come messaggio, ciò che è passato ai più (ed è ciò che conta in questo contesto) è che i sacramenti si pagano, c’è persino un listino prezzi e se lo dice il Papa allora è vero, non è una diceria degli anticlericali! Quindi non era un pregiudizio che i preti si fan pagare. Ergo, il papa è buono e i preti sono tutti avidi di soldi”.

Un’altra lettrice mi scrive:

“io mi sono sposata, ho avuto tre figli, mai chiesto soldi né per matrimonio, né per comunione e cresime. Chi poteva dava un’offerta, chi non poteva anzi veniva aiutato. Il parroco dava le vesti ai bambini affinché tutti fossero vestiti uguali”. E aggiunge:

“mai visto in vita mia un listino dei prezzi e ho girato tante chiese e santuari. Mi addolora un attacco così forte alla chiesa e ai suoi ministri. Per mia esperienza in tanti anni ho visto molti sacerdoti generosi che aiutavano le famiglie più povere. La mia parrocchia per esempio sostiene mensilmente con viveri 70 famiglie. Certo, se le mancassero la offerte (volontarie) come potrebbe un parroco con 700 euro mensili aiutare i bisognosi?”.

ITALIA, CHIESA DI POPOLO

In Italia la stima popolare verso la Chiesa è grande. Si sa che i parroci sono uomini che donano tutta la loro vita a Dio e agli altri, che vivono con quattro soldi e ci sono sempre, per tutti, e aiutano tutti.

Le offerte libere e volontarie esprimono la gratitudine dei fedeli per i beni soprannaturali e gratuiti che ricevono in Chiesa (la salvezza di Cristo), che non potrebbero essere ripagati nemmeno con tutto l’oro del mondo.

Ma anche per l’educazione cristiana dei figli. E sovvengono ai bisogni materiali delle parrocchie, per le necessità delle chiese e della liturgia. Sono un ottimo “investimento” anzitutto per la propria salvezza (“la carità cancella una moltitudine di peccati”), ma anche per il bene di tanti.

Tutte le opere della Chiesa sono state costruite per il popolo e con il popolo. A partire dalle cattedrali. Celebre è il caso del Duomo di Milano di cui è stato appena pubblicato qualche registro delle offerte a cui partecipavano tutti, dalla povera vecchietta che donava un uovo alle meretrici della città (molto generose). E i beni alimentari che affluivano per la fabbrica del Duomo andavano in una mensa dei poveri che provvedeva ai più sfortunati: proprio dalla formula latina “ad usum fabricae” è venuta l’espressione “mangiare il pane a ufo”.

Con la Chiesa tutti abbiamo sempre mangiato “a ufo” e sempre sarà così. Anzitutto il “pane” della salvezza, totalmente gratuito: Dio che è morto per noi, per la nostra felicità.

Ma anche il pane necessario al bisogno umano che non è solo fame materiale, ma anche solitudine, disperazione, malattia o bisogno di educazione.

BASTA MALIGNITA’

Lo Stato con la Chiesa ci ha “mangiato” più di tutti: lo stesso “otto per mille” ha la sua origine negli immensi espropri dei beni della Chiesa, frutto di secoli di donazioni. Espropri fatti dal neonato Stato italiano dal 1860 circa. Quindi l’otto per mille è solo un parziale risarcimento.

Del resto, secondo uno studio recente, le molteplici attività della Chiesa fanno risparmiare allo Stato italiano circa 11 miliardi di euro l’anno.

E anche la sua semplice presenza ci arricchisce: per esempio nel 2014 il turismo religioso nella città di Roma e nei santuari è stato valutato in 5 miliardi di dollari, unica voce in crescita in questo tempo di crisi nera.

Per non parlare delle missioni e di quello che la Chiesa, anche quella italiana, fa per i più diseredati del pianeta.

La mia lettrice, sconcertata, prosegue: “mi chiedo quando avrò il piacere di sentire papa Francesco parlare bene dei cristiani e della Chiesa”.

BERGOGLIO E I SOLDI

Purtroppo il bombardamento di papa Bergoglio non ha risparmiato nessuno. Ha “scorticato” i suoi predecessori con una sentenza affidata a Scalfari: “I Capi della Chiesa spesso sono stati narcisi, lusingati e malamente eccitati dai loro cortigiani”. Ha poi sistemato gli altri ecclesiastici con continue accuse di fariseismo, chiusura a Dio e ancora peggio. Ma il bersaglio preferito su cui papa Bergoglio ama picchiare duro sono i semplici cristiani. Dalle omelie di Santa Marta escono come il ricettacolo di ogni meschinità. E così pure religiosi e preti.

In particolare Bergoglio ama parlare dei soldi. Io penso che la sua preoccupazione maggiore dovrebbe essere per la perdita della fede di intere generazioni e di interi popoli, la perdita di Dio. Dovrebbe esortare i sacerdoti a farsi in quattro per “conquistare” le anime a Cristo. Invece il papa argentino batte soprattutto sul tasto dei soldi. In queste ore, pure su internet, si coglie il dolore e anche l’arrabbiatura di molti parroci i quali già devono fare i conti con l’ostilità delle élite culturali e sociali.

Di fronte alla “demagogia peronista” ricordano che ogni anno, nelle parrocchie, si raccolgono i soldi per l’obolo di San Pietro (offerte che vanno proprio al Papa).

E ricordando che il Vaticano di Bergoglio ha recentemente dato la Cappella Sistina alla Porsche per un evento pubblicitario. Pure se i fondi ricavati andranno ai poveri, era proprio necessario affittare un luogo così sacro per una pubblicità?

Facile prendersela con soggetti deboli come i parroci. Molti di loro, amareggiati, si chiedono perché papa Bergoglio non se la prende piuttosto – e con ragione – con soggetti forti come i vescovi tedeschi.

PARLI DELLA GERMANIA

La Chiesa tedesca è una vera potenza economica: la sola Caritas tedesca impiega 500 mila persone a tempo pieno, quando il gruppo Volkswagen ne ha 389 mila.

Tutto questo grazie alla Kirchensteuer, la tassa ecclesiastica che dallo Stato nell’anno 2012 ha convogliato sulla Chiesa 5,9 miliardi di euro. Una cifra sei volte superiore all’otto per mille della Chiesa italiana che pure ha un numero di fedeli doppio di quella teutonica. Dove sta il problema?

Mentre in Italia si decide liberamente se devolvere o no l’otto per mille, in Germania quella è una vera tassa imposta dallo Stato a chi all’anagrafe risulta cattolico.

E’ dunque obbligatoria. La si può evitare solo uscendo formalmente dalla Chiesa con una gravissima conseguenza: “Un decreto della Conferenza episcopale tedesca ha stabilito che il rifiuto del contributo implica il venir meno, per il fedele, dell’appartenenza alla Chiesa” (Massimo Borghesi).

La tassa è una specie di condizione “sine qua non” per accedere ai sacramenti. Questa decisione è stata contestata dalla Santa Sede al tempo di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Ma da papa Francesco nulla si è sentito.

I “progressisti” vescovi tedeschi sono molto bergogliani, sono stati fra i suoi principali sostenitori nel Conclave, hanno spinto il recente Sinodo verso l’eucarestia ai divorziati risposati e finanziano il Vaticano e le chiese del Terzo Mondo (America Latina compresa). Ma perché papa Francesco, invece di strapazzare i parroci per motivi infondati, non prende di petto loro per questi seri motivi?

Il filosofo Robert Spaemann, amico di Joseph Ratzinger, ha osservato che in Germania “uomini che negano la resurrezione di Cristo rimangono professori di teologia cattolica e possono predicare in quanto cattolici durante le Messe. Fedeli invece che non vogliono pagare la tassa per il culto vengono cacciati dalla Chiesa. C’è qualcosa che non va”.

Che dice Bergoglio?

Antonio Socci

Da “Libero”, 23 novembre 2014

 

Antonio Socci ben evidenzia la questione del “due pesi e due misure” tra usi “fiscali” della Chiesa italiana ed usi “fiscali” della Chiesa tedesca. D’altro canto ha ragione anche chi osserva che alcuni sacerdoti, anche in Italia, espongono tariffari. E se è vero che la maggior parte dei sacerdoti , soprattutto quelli in cura d’anime, per lo più conducono una vita morigerata, è pur vero che ci sono anche quelli che, magari per eredità di beni familiari, danno scandalo vivendo nel lusso. Anch’io ne ho conosciuto qualcuno e vi assicuro che l’immagine della Chiesa non ne esce bene. San Carlo Borromeo, il grande riformatore tridentino della Chiesa ambrosiana, condusse una dura battaglia contro i preti adusi ai piaceri ed alle ricchezze ed a favore di quei preti poveri che vivevano poveramente tra i loro poveri. Socci poi ricorda le spoliazioni effettuate ai danni della Chiesa nel Risorgimento. Mi verrebbe da chiedergli perché allora continua a scrivere su un giornale, “Libero”, che professa la stessa ideologia liberale e liberista degli spoliatori anti-ecclesiali ottocenteschi? In verità Socci, che pur dice molte cose giuste, ha un vizio di fondo che trapela anche nel suo articolo in questione, quello di gettarla in politica ponendosi dalla parte della destra liberale senza rendersi conto che questa è nemica della Chiesa quanto e forse più della sinistra. Non a caso usa, e non è la prima volta, il termine “peronismo” per definire le idee di Bergoglio. Ora, però, Socci dimostra di non conoscere nulla, sotto il profilo storico e politologico, del peronismo e dimostra di averne una idea alquanto giornalistica ovvero limitata, ritenendolo un “populismo” di tipo fascista con forti connotazioni socialisteggianti. E questo, viste le sue idee politiche cattoliberali, gli basta per fare “due + due = quattro”. Forse qualcuno dovrebbe ricordare a Socci che Eva Duarte, la moglie di Peron, la famosa “Evita” icona dei descamisados argentini degli anni ’40 e ’50 del XX secolo, fu cacciata dal suo parroco il giorno della cresima perché, povera, non aveva l’abito adatto all’occasione e che, figlia illegittima di un ricco proprietario terriero e di una povera cuoca, non fu ammessa ai funerali del padre in quanto appunto illegittima. Vicende che evidentemente non possono non pesare sulla formazione, anche spirituale, di una ragazzina. Nel caso di Evita quei fatti non le fecero perdere la fede ma contribuirono ad avviarla ad una vita mondana come donna di spettacolo prima che conoscesse il colonnello Peron e si dedicasse alla politica. Non è la prima volta che Socci, nella sua foga critica, rimedia brutte figure. Recentemente Socci ha criticato Papa Bergoglio (nota bene: sia chiaro che, comunque, lo scrivente ritiene il celibato sacerdotale assolutamente provvidenziale) per aver ricordato che il celibato sacerdotale nella Chiesa cattolica è diventato disciplina comune anche per i presbiteri, e non solo per i vescovi, soltanto con la Riforma Gregoriana dell’XI secolo. A sentire Socci, Bergoglio avrebbe, così, “sconvolto” gli storici. Eppure Socci dovrebbe non dimenticare che la Chiesa fino a Gregorio VII aveva sempre seguito l’uso, ancora oggi vigente tra gli Ortodossi, del celibato soltanto per i vescovi mentre per i presbiteri non era, fino all’XI secolo, disciplinarmente codificato. Il celibato anche dei presbiteri divenne disciplina comune come elemento – ecco perché lo ritengo provvidenziale nonostante tutto – della lotta per l’affrancamento della Chiesa dai poteri politici. Quindi, ferme rimanendo le molte ragioni esposte nel suo articolo, in particolare quelle a difesa dei tanti buoni parroci che non meritano di essere indiscriminatamente oggetto dell’esternazione del Papa (perché, purtroppo, questo succede, in concreto, in una società dominata dal media system e, credo, che il Papa dovrebbe tenerne conto e frenare un po’ il suo evidente entusiasmo sudamericano), a Socci farebbe molto bene una cura di umiltà quando affronta certi argomenti con troppa ansietà, quella tipica di chi crede di aver solo lui tutto compreso. Saluti.

 Luigi Copertino

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