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UN MONDO IN SCONVOLGIMENTO: DALLA GUERRA IN UCRAINA ALLO STATO ISLAMICO. Mercoledì 8 Ottobr – ore 17.30

Il Centro Studi sulla Storia dell’Europa Orientale organizza a Trento, mercoledì 8 ottobre, alle ore 17,30, nella Sala degli affreschi della Biblioteca comunale (Via Roma 55), l’incontro-dibattito Un mondo in sconvolgimento: dalla guerra in Ucraina allo Stato islamico. Intervengono Emanuele Giordana e Fernando Orlandi. Introduce Massimo Libardi.

Nel mezzo dell’estate il mondo si sveglia con l’incubo dello Stato Islamico, un movimento del quale è incerto persino l’acronimo (Isi, Is, Isil, Isis), i finanziamenti più o meno occulti, l’agenda politica tra l’eredità di Al Qaeda e un nuovo jihadismo fortemente marcato dall’appartenenza sunnita. Cosa si muove dietro al-Bagdadi? Che relazioni ci sono tra lui e le formazioni jihadiste siriane e irachene? A che interessi geostrategici risponde? In che misura esiste un travaso di miliziani dai vecchi fronti di guerra dal Pakistan all’Afghanistan? Nel tentativo di dare una risposta, un focus sulla nostra incapacità di prevenire o prevedere i conflitti e di costruire una forza di reazione rapida che non dipenda solo da alleanze regionali o da coalizioni improvvisate di volenterosi.

Adesso lo dice anche lo stesso presidente Barack Obama, che gli USA hanno “sottostimato” l’Isis in Siria e “sovrastimato” le capacità delle forze armate irachene di combattere gli estremisti. Ma si tratta di un evidente understatement perché i jihadisti di al-Baghdadi hanno sfondato in Iraq nord-orientale incontrando una resistenza pressoché nulla nell’esercito di Baghdad, che si è sciolto come neve al sole.

Quel che è che certo è che l’amministrazione Obama non brilla per le sue scelte in politica estera, che mancano di coerenza e visione. Produrrà risultati decisivi la scelta dei bombardamenti (unita all’addestramento dei Peshmerga e delle forze irachene)? I dubbi sono molti. Forse Washington sarà costretta a rispedire le sue truppe sul campo… Quello che non doveva accadere.

A Mosca invece sospettano che dietro l’intervento della coalizione in Siria contro l’Isis ci sia invece un piano della Casa bianca per rovesciare Bashar Assad. Così si leva il monito del Cremlino, e un alto funzionario russo intervistato dalla tv libanese “Al Maydin” fa sapere che “se le forze della coalizione dovessero colpire quelle del governo siriano”, allora arriverebbero le armi russe: “cacciabombardieri, elicotteri e difese anti-aeree”, ovvero i temuti sistemi S-300. In precedenza, sia il ministro degli esteri Sergei Lavrov che lo stesso Vladimir Putin, avevano chiesto a USA e alleati di “concordare le operazioni con Damasco”. Ma il Pentagono non comunica ai siriani i propri piani operativi, come invece vorrebbero Siria e Russia.

L’inquietudine regna a Teheran, mentre il ministro degli esteri saudita al-Faisal sceglie toni di grande prudenza: “La guerra contro gli estremisti in Medio Oriente prenderà anni”…

Dove Putin è riuscito a farsi sentire assai meglio è in Europa: prima con l’annessione della Crimea e poi con la guerra nelle regioni orientali dell’Ucraina. È riuscito a farsi sentire a tal punto che dell’annessione della Crimea quasi non se ne parla più, mentre i governi del vecchio continente fanno finta di credere che il cessate il fuoco più volte firmato sia un passo in avanti. Certo le scalcinate ed esauste forze armate ucraine, prive di addestramento e soprattutto di armamenti adeguati, nulla potevano fare contro le truppe russe. Il Cremlino ha così posto i presupposti per un nuovo “conflitto congelato”, del tipo di quelli che ha utilizzato negli anni passati in Georgia e Moldova (nell’agosto 2008 ci fu l’invasione della Georgia, da cui Mosca staccò due regioni, ma anche di questo ci si è presto dimenticati).

Ci si deve interrogare su cosa pensano gli abitanti del Cremlino, ma soprattutto ci si deve interrogare sui capi di stato e governo dell’Europa, incapaci di utilizzare i mezzi a loro disposizione per contrastare le gravi violazioni del diritto internazionale da parte di Mosca.

All’inizio di settembre l’incontro al vertice della NATO in Galles ha partorito un topolino. Non ci si poteva aspettare molto di più da uomini di stato incapaci di chiamare “invasione” una “invasione”, timorosi di dovere poi essere conseguenti nelle loro reazioni.

A Mosca intanto si rivedono la dottrina militare e la strategia nucleare. Il generale (in pensione, ma bene addentro alle faccende militari del suo paese, perché continua ad essere un consigliere al Ministero della difesa) Yurii Yakubov due settimane fa non solo ha sostenuto che la NATO deve essere considerata una minaccia primaria per la Russia, ma che il suo paese deve approntare dettagliati piani in cui si prende in considerazione anche l’impiego preventivo delle armi nucleari contro l’alleanza transatlantica.

Insomma, la sfida di Mosca all’ordine internazionale in Europa è di grande portata. Per l’Ucraina, nel numero in edicola del noto settimanale The Economist, ci si interroga su un possibile “scenario somalo”. Non è rassicurante questo mondo in pieno sconvolgimento.

Questi temi vengono affrontati nell’incontro-dibattito Un mondo in sconvolgimento: dalla guerra in Ucraina allo Stato islamico, che si terrà a Trento mercoledì 8 ottobre, alle ore 17,30, nella Sala degli affreschi della Biblioteca comunale (Via Roma 55). L’incontro è organizzato dal Centro Studi sulla Storia dell’Europa Orientale. Intervengono Emanuele Giordana e Fernando Orlandi. Introduce Massimo Libardi.

Emanuele Giordana, cofondatore e presidente dell’Associazione giornalistica “Lettera22”, direttore di “Ecoradio” nel 2011 e del mensile ecologista Terra nel 2012, è tra i fondatori dell’iniziativa “Afgana” a sostegno della società civile afgana. Ha scritto, tra l’altro, Afghanistan. Il crocevia della guerra alle porte dell’Asia (Editori Riuniti, 2007) e Diario da Kabul (O barra O, 2010) e curato diverse collettanee. Collabora con Aspenia, il manifesto, Lo Straniero e altri quotidiani e riviste italiane. Insegna tecniche di scrittura alla Scuola Basso di Roma e all’Ispi di Milano

Fornando Orlandi, storico, ha diretto a lungo il Centro Studi sulla Storia dell’Europa Orientale. Attualmente è il presidente del Centro Studi sull’Azerbaigian.

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