Due giorni prima del discorso di Obama alle Nazioni Unite, iniziano i bombardamenti americani sul territorio di Siria e Iraq. L’amministrazione Obama si era spinta dove molti dei suoi predecessori repubblicani non si erano mai spinti: iniziare delle operazioni militari senza tentare di persuadere l’ONU circa la “giustezza della guerra”. Infatti, secondo le parole dell’ambasciatore USA presso le Nazioni Unite, Samantha Power, l’America[1] ha già la sua “base giuridica” per poter intervenire in Siria, per cui non ha bisogno del permesso dell’ONU[2]. A nessuno, ovviamente, interessa che la Siria è un Paese sovrano e che non ha chiesto aiuto a nessuno e non ha dato alcuna autorizzazione per procedere con i bombardamenti e, probabilmente, se avesse potuto decidere, avrebbe chiesto aiuto in primo luogo a Russia e Iran, grandi esclusi di quella che viene presentata dai mass media di mezzo mondo come la battaglia fondamentale per la guerra al terrorismo.
Benché appaia ridicolo che la gioiosa cooperazione anti-terrorismo veda protagonisti alcuni tra i principali responsabili (diretti o indiretti) del finanziamento e della fondazione dell’ISIS e, più in generale, del terrorismo internazionale di stampo islamico, le operazioni militari pare siano iniziate e proseguiranno con gli ormai noti “bombardamenti intelligenti”. A prescindere dal fatto che, come insegnano le vecchie e mai risolte “guerre al terrore”, i bombardamenti aerei non potranno mai debellare il cancro del terrorismo internazionale senza che gli scarponi della fanteria calpestino il campo di battaglia[3], due elementi importanti da tenere presente per comprendere quanto scritto nel titolo sono i mezzi utilizzati e la natura del nemico affrontato. Partendo da quest’ultimo fattore, l’ISIS presenta importanti peculiarità rispetto a quanto ci hanno abituato i suoi affini contemporanei e passati: la compagine controllata –non si sa esattamente in che misura- da Al Baghdadi agisce più come un governo con un esercito (o, meglio, come un esercito con un governo) che come un gruppo terrorista; sicuramente alcuni elementi, come l’utilizzo del terrore, rimangono identici ma altri si sono evoluti o trasformati. Ad esempio, i metodi di finanziamento classici, come i fondi provenienti da alcuni Stati, i corrieri e i metodi più “particolari” come l’utilizzo dell’hawala, sono affiancati ad uno sfruttamento più sistematico ed efficiente delle risorse (economiche, strategiche, finanziarie e umane) del territorio[4]. Inoltre, i metodi di comunicazione sono estremamente moderni sia dal punto di vista del messaggio che da quello tecnologico: i filmati presentano una qualità video e un montaggio mai visti prima; il richiamo alla discendenza dei vecchi Califfi, di effetti speciali e della lingua inglese possono essere considerati una importante novità sul piano della propaganda del terrorismo internazionale. Per di più, l’ISIS rappresenta “un nemico” nuovo che non è più come i vecchi terroristi intangibile, nascosto ed estremamente “liquido”, ma ha una precisa collocazione geografica, storica e ideologica. Andando ai mezzi bellici utilizzati, salta subito all’occhio dell’osservatore (magari, esperto di armamenti) che essi sono di ultimissima generazione ed estremamente costosi non solo per quanto concerne la fabbricazione e il mantenimento, ma –e soprattutto- per quanto riguarda l’impiego. L’utilizzo del nuovissimo caccia bombardiere F-22 Raptor e e il test dell’aggiornato Minuteman III sono due importanti esempi di quanto sostenuto poco sopra; e non si esclude l’impiego del drone di ultima generazione l’X-47B Pegasus.
Tenendo ora conto degli elementi finora visti e tornando al significato del titolo, perché questa non è una vera guerra all’ISIS? Perché guardando ai mezzi utilizzati sembra essere più un test sul campo degli ultimi armamenti americani; perché dimostra che per Washington nonostante la crisi economica la sostenibilità della guerra non rappresenta (e non ha mai rappresentato) un problema[5]. Perché, guardando al ruolo e alla consistenza dell’antagonista, operazioni militari del genere non possono debellarlo ma possono solo degradarlo, rendendolo “liquido, nascosto e intangibile” esattamente come il terrorismo di “vecchia generazione”; perché il “Califfato” dello Stato Islamico non può istituzionalizzarsi, stabilizzarsi, cristallizzarsi e sparigliare le carte nel quadrante mediorientale a suo piacimento, ma deve solo consentire il proseguo di quella “geopolitica del caos” descritta così bene nei libri di Ignacio Ramonet e di Carlo Jean. Perché se è vero che il governo degli Stati Uniti teme la propria opinione pubblica molto più della guerra e che la perdita di soldati potrebbe far crollare ancora di più la popolarità di Obama in patria, è vero anche che non ha senso escludere Russia, Iran, Turchia e Israele[6] per un’eventuale operazione di terra[7]. Alla fine, però, ogni nodo viene al pettine quando la stessa Samantha Power dichiara che le operazioni in Siria (e di riflesso in Iraq –e non viceversa) hanno come obiettivo degradare lo Stato Islamico per poter consentire ai “gruppi ribelli moderati” di “rovesciare il regime di Assad, amico di Russia, Iran, Hezbollah ect.”[8]. La guerra contro l’ISIS non è una vera guerra; è in primis una scusa per indebolire il fronte degli “Stati Canaglia” rovesciando il regime di Assad; è deinde un’ennesima dimostrazione dell’illusione americana di vivere ancora in un mondo unipolare; è, tandem, un monito per qualsiasi altro Stato che con il Pentagono non si scherza.
Marcello Ciola
[8] Real Clear Politics Video, Samantha Power: U.S. Aid Will Help Syria Rebels Fight ISIS And Assad, 21 settembre 2014. http://www.realclearpolitics.com/video/2014/09/21/samantha_power_us_aid_will_help_syria_rebels_fight_isis_and_assad.html.