Sta facendo molto rumore in Francia un lungo articolo comparso sul numero di Settembre del battagliero ma autorevole mensile “Le monde diplomatique”, che scatena un duro attacco rivolto ai vertici dell’Unione Europea, colpevoli di seguire la strada della burocrazia e delle pesanti misure finanziarie mentre qualunque prospettiva di una politica e di una diplomazia comunitaria sembra ormai abbandonata. L’argomento appare particolarmente scottante dinanzi alle crisi ucraino-russa e vicino-orientale.
Ma che cosa abbiamo fatto, ci si domanda, per far andare le cose diversamente? In occasione con la rentrée, l’iniziò del nuovo anno scolastico che in Francia è sentito come un autentico avvenimento, sono in molti gli autorevoli osservatori del mondo intellettuale a domandarsi come sia mai stato possibile in mezzo secolo, edificare il gigante finanziario dell’Eurolandia e lasciar che l’Europa restasse invece un topolino politico. E si fa notare che non c’è stata alcuna politica ispirata, ad esempio, a costruire un’autocoscienza civica europea fondata sulla storia comune e condivisa, che avrebbe dovuta costituire materia di discussione e d’insegnamento scolastico mentre (come appare purtroppo evidente anche da com’è stato impostato il centenario della Prima Guerra Mondiale) i giovani europei di due generazioni non hanno ricevuto alcuna educazione europeistica, alcun insegnamento scolastico improntato a un minimo di coscienza comunitaria. Dov’è andata, ci si chiede, quella costruzione di un “patriottismo europeo” che i grandi Padri fondatori dell’unione – De Gasperi, Schuman, Adenauer – avevano pur ardentemente auspicato fondando addirittura a tale scopo, nella città renana di Aachen (l’antica Aquisgrana) il prestigioso premio Carlo Magno destinato ai benemeriti dell’europeismo?
E appunto ciò, come dicono i francesi, tombe bien (noi toscani diciamo “casca a fagiolo”) proprio in quest’anno, mentre appunto in Aachen si sta celebrando, con una grande esposizione e con il restauro della “Cappella Palatina” carolingia, il dodicesimo centenario della scomparsa del grande re dei franchi e “imperatore”, Carlo Magno, venuto a mancare proprio nella sua capitale – l’Aquisgrana termale, quella dei “tèpidi lavacri”, come cantava il Manzoni – il 28 gennaio dell’814 a 72 anni (una bella età, nel IX secolo. . .) dopo aver regnato 46 anni sui “suoi” Franchi e aver cinto per 14 quella pur strana corona imperiale che papa Leone III gli aveva imposto (sembra quasi senza un accordo con lui) a Roma nella notte di Natale dell’800. Gli storici discutono ancora sull’ambiguo titola che da allora gli fu ufficialmente assegnato, di Romanum gubernans imperium, e sul valore giuridico di un titolo e di un potere fonte del quale sembrava il vescovo di Roma, responsabile dell’ assegnazione di una corona che non aveva rapporti con il vero Impero romano (che sopravviveva senza soluzione di continuità a Costantinopoli). Comunque, l’”Impero carolingio” – che non fu proseguito continuativamente dal successivo Sacrum imperium fondato il 2 febbraio del 962 a Roma da Ottone I di Sassonia, che si sarebbe mantenuto sia pure attraverso varie vicissitudini fino alla rinunzia del 6 agosto 1806 da parte di Francesco II d’Asburgo (tallonato da Napoleone) al titolo di imperatore, come allora ormai si diceva, “romano-germanico”.
L’Impero carolingio, fondato da Carlo Magno e progressivamente frammentatosi nel corso del IX secolo, comprendeva a vario titolo i territori corrispondenti alle attuali Francia, Germania e Italia centrosettentrionale, con pertinenze che si spingevano fino alla Spagna pirenaica e alla Carizia-Croazia. Può essere pertanto considerato un “precedente”, o addirittura una “prima forma”, di unità europea? Al riguardo, alcuni mesi fa, assistemmo a una garbata polemica tra il grande compianto. Jacques Le Goff e la stella meridiana della medievistica e della narrativa italiana attuale, Alessandro Barbero, che aveva pubblicato una biografia di Carlo Magno definito nel titola “padre dell’Europa”. Ma in realtà Le Goff e Barbero erano d’accorda: l’Europa, nel IX secolo – e anche più tardi: fina almeno alle paci di Westfalia del 1648 – era solo un’espressione geografica, e i meriti di Carlo Magno potrebbero limitarsi semmai (e non sarebbe poco) a un abbozzo dell’unità della Cristianità “occidentale”, vale a dire sostanzialmente romana-celto-germanica. Ma queste problematiche storiche dovrebbero appunto esserci familiari: invece, nelle nostre scuole, continuiamo purtroppo a baloccarci con i cascami dei vecchi patriottismi post risorgimentali. Se si fossero fatte altre scelte, forse le attuali forze antieuropeistiche politicamente tanto forti avrebbero travato minori consensi.
Con tutto ciò, un viaggio fino ad Aachen è caldamente consigliabile. La bella esposizione dedicata a Carlo, ai suoi tempi e all’arte che essi espressero, resta aperta fina al 21 Settembre, la città in festa è un autentico spettacolo e la Cappella Palatina, l’edificio ottagonale coeva che ospita le reliquie di Carlo Magno racchiuse nello splendido reliquiario gotico d’argento dorato, è letteralmente abbagliante nella splendore di un restauro forse qua e là un pochino azzardato sotto il profilo archeologico-filologico, ma che mozza il fiato. Una splendida mèta, ad esempio, per il turismo scolastico di tutta Europa. Com’è che non ci ha pensato nessuno?
Franco Cardini
*Domus Europa ringrazia Avvenire (6 settembre 2014)