Un leone, sfingi e cariatidi a mezzo busto: gli straordinari ritrovamenti che si susseguono nell’enorme complesso archeologico di Kasta, vicino ad Anfipoli in Grecia, scuotono il mondo dell’archeologia. Potrebbe essere quella la tomba di Alessandro Magno.
Alessandro, nato nel 356 a.C. in una remota località di Macedonia, figlio di un re montanaro e di una madre che si vantava di averlo tradito per Zeus, allievo del grande Aristotele ma considerato un ”barbaro” dai greci, forse oppressore dei greci forse loro liberatore dal tallone persiano, conquistatore di gran parte del mondo allora conosciuto tra Ellade, Egitto, Mar Nero, Caspio e Indo Kush, morto nel 323 in Babilonia trasformata in un immane rogo, sepolto forse in Alessandria d’Egitto (una delle almeno dieci città da lui fondate e che portavano il suo nome). Identificato con gli dèi: con Apollo, con Dioniso, con Eracle. Diffuse fino in India la cultura ellenica, eppure fondò una “Regalità Sacra” ispirata ai Gran Re persiani e ai Faraoni d’Egitto e al pari di loro pretese di ricevere onori diyini. Visse per soli, fatidici, trentatré anni.
Diciamo la verità. Se di lui parlassero le soli fonti greche, penseremmo a un mito solare: come qualcuno ha pensato di Gesù. Il fatto è che sicuri segni del suo passaggio e delle sue conquiste, anche coevi, sussistono dal Nilo all’Indo. A lui s’ispirò Giulio Cesare, che al pari di lui si stimava di stirpe divina e che forse avrebbe a sua volta voluto fondate una “Monarchia Sacra” universale: tale fu difatti comunque il modello che attraverso l’Impero romano e i suoi sia pur unilaterali successori (scià persiani e czar russi compresi) giunge a lambire quasi i giorni nostri.
Il fatto è che le sue gesta passarono a una leggenda sorta forse attorno a un testo parabiografico ed apocrifo, lo “Pseudocallistene” (redatto pare in Egitto nel IV secolo d.C.) e da lì passato nella letteratura romana con Arriano e Giulio Valerio, e quindi nel medioevo che su di lui elaborò tra XI e XII un romanzo di Alessandro ch’è una vera e propria fluviale soap opera di oltre 20.000 versi. La sua immagine, immortalata nelle monete che lo ritraevano munito di corni d’ariete (uno degli attributi di Ares), venne recepita anche dal Corano, che la fuse con quella di Mosè. Dalla vertigine di questa lussureggiante tradizione leggendaria sorse l’Alessandro che ascende al cielo su un carro trascinato da grifoni (così è raffigurato nel celebre mosaico pavimentale della cattedrale di Otranto), che scende negli abissi marini chiuso in un batiscafo di cristallo, che esplora il mondo sino alla favolosa India. D’altra parte, non tutto nel suo mito fu considerato positivo. La sua stessa volontà di potenza e di sapienza fu giudicata peccaminosa nel medioevo cristiano, e perciò – per certi versi – quasi demonizzata. Dalle fonti antiche si sapeva dei suoi eccessi d’ira, che lo avevano condotto addirittura ad uccidere nei fiumi di un banchetto un amico carissimo. La contraddizione insita nel conflitto tra passione, violenza e magnanimità ispirò nel 1665 la tragedia di Racine Alexandre le Grand che a sua volta avrebbe ispirato numerosi musicisti, da Gluck a Haendel.
Il dramma del conflitto tra limiti della vita dell’uomo e immensità delle sue aspirazioni s’impone in una delle poesie più erudite eppure più ispirate di Giovanni Pascoli, Alexandros, la sua sete infinita di conquistare e di sapere. Giunto sul bordo estremo del mondo, là dove non c’è più nulla da conquistare, Alessandro piange. È l’icona dell’uomo moderno, della sua insofferenza di qualunque limite: per questo continuiamo a sognarlo.
Franco Cardini
* Domus Europa ringrazia Il Resto del Carlino (9 Settembre 2014)