Accanto alle danze di cerchio o in catena aperta alle quali prendono parte tutti senza gerarchie, già dalla metà del XIV secolo si affiancano forme di danza a coppie, che esprimono un nuovo approccio al movimento e alla funzione della danza nelle espressioni di festa e ritualità sociali.
Durante il Quattrocento con lo sviluppo della cultura umanistica, si passa dalla libera espressione popolare a un linguaggio di danza che meglio rappresenti il ceto dominante attraverso passi, posture e uno stile esecutivo che giocoforza deve essere appreso. Nasce così una nuova figura professionale, il maestro di danza, che si incarica di fissare per iscritto la tecnica ma nel contempo valorizzarla e legittimarla come arte.
Ecco dunque i trattati De arte saltandi et choreas ducendi di Domenico da Piacenza ( fine XIV secolo-dopo il 1470), Libro dell’arte del danzare di Antonio Cornazano (1429-1484) e De Pratica seu arte tripudii di Guglielmo Ebreo da Pesaro/Giovanni Ambrosio ( ca.1420-1481) che contengono sia le coreografie sia una parte teorica dove con varie argomentazioni si afferma che la danza sia da annoverare tra le arti liberali.
Un complemento necessario dunque all’educazione del principe secondo quanto afferma Guglielmo nella dedica del suo trattato a Galeazzo Maria Sforza:
“Ogni volta non può pensarsi in stato
In regimenti in dar lege et iustitia
Né contra gli nemici andar armato
Conviene et questo e quali altra militia
Ad un giovenil cuor talhor far danze
Spesso udir suon se ‘l debito non vitia
Amor vuol la sua parte et posto ha inanze
A noi mortali ogni gentil partito
Per salda scala delle sue speranze”
(Pg. c.2r )
In epoca rinascimentale alle occasioni festive legate alla natura si sotituiscono ricorrenze legate all’élite dominante. Si perde il contatto con la terra, con le fasi dell’agricoltura, con le stagioni che tanto rilievo avevano nel Medioevo. La festa diventa il tempo del principe. Nozze, nascite, vittorie militari, visite di regnanti o ambasciatori stranieri, sono l’occasione per celebrare attraverso spettacoli, banchetti e tornei i nobili che si mostrano nel loro prestigio sociale soprattutto danzando. Eppure dalla cultura contadina derivano con le dovute riletture alcuni dei passi descritti dai maestri di danza, in particolare la Piva :
“Io son Piva per nome chiamata e dele misure son
la più trista perche degli villani sono adoperata (…)” (Pnd. 217)
come afferma Domenico da Piacenza in De Arte saltandiet choreas ducendi, mentre di certo è la Bassadanza a segnare la demarcazione tra danza popolare e colta:
“Io sono Bassadança dele misure regina e merito di portare
corona et in l’operare de mi poche genti hanno ragione e chi
in dançare lo in sonare ben di me s’adopra força che dali cieli
sia data l’opra”
(Pnd. 202 )
La Bassadanza è una forma musicale e di danza che procede con lo stesso metro, binario con suddivisione ternaria per tutta la composizione.
Il Ballo invece, l’altra forma coreutica di questo periodo è formato da diversi movimenti come in una sorta di Suite. Dunque Piva, Bassadanza, oppure Saltarello, o Quaternaria si possono trovare insieme nella stessa danza. Per questo tra le varie qualità richieste al danzatore c’è senz’altro la capacità di muoversi a tempo secondo i diversi metri. Ma l’attenzione alla musica non è solo pratica. Infatti: “la… virtute del danzare non è altro che una actione demostrativa di fuori di movimenti spiritali, li quali si hanno a concordare colle misurate e perfette consonanze d’essa armonia, che per lo nostro audito alle parti intellective et ai sensi cordiali con diletto discende” ( Pg. cc. 5v-6r). Dunque la danza diremmo oggi è l’espressione della nostra interiorità che si manifesta nel movimento del corpo in armonia con la musica che attraverso l’udito giunge a toccare sia la nostra parte razionale sia quella emotiva.
Nel 1455 alla corte sforzesca di Milano troviamo riuniti insieme tutti e tre i maggiori maestri di danza del tempo, coincidenza straordinaria che testimonia lo sfarzo, la ricercatezza e l’alto livello culturale e artistico della corte. La danza infatti diventa un ingrediente indispensabile della vita del cortigiano che è nel contempo uomo d’arme e di cultura. Da numerose fonti sappiamo che i bambini dell’aristocrazia studiavano latino, musica e danza.
Lo stesso signore di Milano, Ludovico il Moro, a soli sette anni danzò con alcune dame venute in visita al castello, assolvendo a uno dei suoi vari doveri di ospite. Ma non si tratta di una prerogativa solo milanese. Dalle biografie dei maestri di danza sappiamo dei numerosi incarichi da loro assolti nelle maggiori corti italiane sia come maestri di danza, come danzatori, come coreografi e come, diremmo oggi, consulenti di buone maniere. Domenico risiederà principalmente a Ferrara, ma se ne allontanò a più riprese. Secondo la testimonianza di Guglielmo Ebreo, suo allievo, il 16 maggio 1462 è a Forlì dove coordina le danze per la festa di nozze di Pino Ordelaffi con Barbara Manfredi, figlia del signore di Faenza :
“Ancora me trovai a Forlì con messere Domenico alle noççe del signore di Forlì che tolse per moglie la figliola del signore di Faença. E fo facta una degna festa”.
( Pa, c. 73v )
Antonio Cornazzano, conterraneo di Domenico presterà la sua opera oltre che a Milano in diverse altre corti e Guglielmo da Pesaro si spostò al servizio della famiglia degli Sforza nel nord e nel centro Italia. Inviato a Napoli per il matrimonio di Ippolita Sforza con Alfonso d’Aragona vi resterà due anni. Anche il fratello di Guglielmo, Giuseppe fu un maestro di danza a Firenze dove aprì una scuola nel 1467. Dieci anni dopo Guglielmo dedicò un trattato a Lorenzo de’ Medici che, come altri prìncipi, si dilettava di creare coreografie. Le due bassedanze Venus e Lauro, incluse nella tradizione manoscritta, portano il suo nome. I nobili stessi con i loro viaggi e i loro scambi nelle diverse corti sono portatori della danza in tutta Italia. Domenico, Cornazano, Guglielmo/Giovanni Ambrosio non sono i soli maestri di danza attivi nel periodo, ma grazie alla produzione dei loro trattati sono arrivati fino a noi mentre degli altri numerosi maestri di danza abbiamo notizie sparse e spesso solo i loro nomi: Giovanni Martino, Giuseppe Ebreo ( fratello di Guglielmo), Mariotto da Perugia, Magistro Filippo e altri ancora.
I tre maestri di danza principali sono anche cavalieri, Domenico divenne cavaliere aurato prima del 1455, Antonio Cornazano poeta e umanista dedicherà a Ercole I d’Este il trattato Dell’arte militare dopo esser stato consigliere militare per Bartolomeo Colleoni.
Lo stesso Guglielmo probabilmente si converte dall’ebraismo prendendo il nome di Giovanni Ambrosio, proprio per ottenere l’onorificenza dello Sperone d’oro che era destinata solo ai cristiani. Anche se nei trattati del XV secolo non vi sono ancora collegamenti diretti tra danza e armeggio, una delle danze più spettacolari ripropone trasfigurandolo proprio un combattimento. Si tratta della Moresca, di cui non sopravvivono coreografie ma numerosissime descrizioni. Da danza armata che vede scontrarsi mori e cristiani, ad antica danza dove demoni si scontrano con forze celesti fino a scaramuccia amorosa legata comunque a riti di fertilità, la Moresca diventa la danza di spettacolo più utilizzata sia in occasione di nozze sia di feste sia come intermezzo in commedie. Un esempio molto tardo di moresca armata la fornisce Thoinot Arbeau nel suo libro Orchésographie del 1588.
Nella danza intitolata Les Bouffons gli elementi ci sono tutti, sonagli, passi saltati, spade e colpi. La coreografia è corredata da disegni che mostrano quattro uomini che danzano con tanto di elmo e scudo. Di tutt’altro segno invece la probabile rappresentazione di Moresca in uno degli arazzi Trivulzio conservati a Milano proprio in quel Castello Sforzesco che vide il Ballare Lombardo nascere e consolidarsi. Si tratta del mese di gennaio, con le relative scarse attività agricole da compiere. In primo piano sulla sinistra tre figure in abiti turcheschi sembrano danzare riecheggiando forse uno dei temi legati a questa danza. Siamo tra il 1503 e 1508 e va ricordato che l’artista incaricato di produrre i disegni per questo ciclo di arazzi dedicati ai mesi fu il Bramantino. Vissuto a Milano al tempo di Ludovico il Moro, collaborò con Bramante che fu uno dei massimi esponenti della cultura rinascimentale a Milano insieme a Leonardo. Simbologie oscure, personaggi assorti, architettture scarne popolano i quadri e gli affreschi di questo pittore che aggiunge mistero al mistero, ma che restituisce a noi oggi il gusto dell’atmosfera raffinata e non convenzionale della corte rinascimentale.
V ( Rvat ) ROMA, Biblioteca Apostolica Vaticana, Cod. Capponiano 203, sec.XV, cc.35, Antonio CORNAZANO, Libro dell’arte del danzare.
Pg ( PnG) PARIGI, Biblioteca Nazionale, fondo italiano 973, 1463, cc.54, GUGLIELMO EBREO da PESARO, Guglielmi Hebraei pisauriensis de pratica seu arte tripudii vulgare opusculum.
NY ( Nyp), NEW YORK, Public Library, Dance Collection, Lincoln Center, MGZMB-Res.72-254, sec. XV, cc.70, Manoscritto di balletti composti da Giovannino e il Lanzino e Il Papa, scritto da Cosimo Ticcio.
Bibliografia essenziale
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SPARTI B., Guglielmo Ebreo da Pesaro, De Pratica seu arte tripudii, Clarendon Press, Oxford 1993
*Domus Europa ringrazia il sito Torneo in Armatura Famaleonis http://www.torneoinarmatura.com/danzanelquattrocento.html