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Mosul: il frutto avvelenato dell’”esportazione della democrazia”. di F.M. Agnoli

Dopo il califfato islamico (sunnita) istituito da un gruppo salafita-jihadista nel territorio occupato fra Siria e Iraq (ribattezzato Stato Islamico dell’Iraq e del Levante -ISIL-) altri jihadisti, (non è chiaro se concorrenti o della stessa osservanza) hanno costituito un “emirato islamico” nella città libica di Bengasi, dalla quale hanno cacciato le truppe del generale in pensione Khalifa Haftar, considerato “laico” e più o meno filo-occidentale.

Il califfato ha evidenti aspirazioni di dominio e di rappresentanza dell’intero mondo islamico, com’è, appunto, tradizione, dei califfi. L’emirato dovrebbe avere (stando al nome, ma non è detto) ambizioni più localistiche. In ogni caso entrambi puntano a stabilire la sharia nei territori conquistati e in quellli che si propongono di conquistare.

Nel caos, mentre continua in Siria la guerra civile, sanguinoso retaggio delle cosiddette primavere arabe salutate con tanto entusiasmo dai leader occidentali (forse il presidente Napolitano si sarà pentito di avere tentato un azzardato paragone con il Risorgimento italiano), l’unica  certezza è che quanto sta accadendo è stato reso possibile dall’Occidente, in particolare da Stati Uniti, Francia e Inghilterra, dalla loro folle pretesa di esportare la democrazia con la forza delle armi (in realtà è probabile che questo fosse solo un pretesto e che si mirasse a tutt’altro, come il petrolio, ma quale che fosse il risultato cui si puntava non è stato raggiunto, a meno che non si trattasse, appunto – non lo si può del tutto escludere – del caos).

Di conseguenza, quale che sia l’ipotesi esatta (sprovvedutezza o prava volontà di pescare nel torbido) è all’Occidente che va attribuita la responsabilità se oggi a Mosul, la seconda città dell’Iraq, conquistata dai salafiti del califfato  il 10 luglio (e tendenzialmente in tutto l’ISIL), non vi è più, dai primi tempi della Chiesa, un solo cristiano. Difatti ai cristiani il califfo Abu Bakr al-Baghdadi  il 18 luglio ha generosamente offerto una triplice scelta: 1) immediata conversione all’Islam, 2) pagamento della imposta di “capitazione” o”protezione” (“jizya” o “dhimma”), in cambio del permesso di vivere da non musulmani in territorio islamico, 3) abbandono della città, lasciando ai  veri credenti la propria casa e i propri beni. In mancanza la morte a fil di spada.

L’agenzia vaticana Zenit del 1° agosto riferisce che oltre 15.000 cristiani hanno scelto di lasciare Mosul e che 25 persone rimaste indietro perché inabili o gravemente malate e ricoverate in ospedale sono state,come promesso, uccise. L’Agenzia di stampa conclude la notizia con l’auspicio che gli Stati che appoggiano il terrorismo e  l’ISIL “riacquistino una coscienza e smettano di sostenere queste milizie”. Senza crederlo, si può sperarlo, ma il primo tenuto a rimediare dovrebbe essere, in quanto primo colpevole, l’Occidente, che non può cavarsela  solo battendosi il petto e recitando il “mea culpa”(in realtà per il momento non ha fatto nemmeno questo).

 

Francesco Mario Agnoli

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