Correva l’anno 1917 quando, il 1 Agosto, il beato pontefice Benedetto XV (1854-1922) scriveva la celeberrima lettera alle potenze mondiali, domandando inutilmente di stoppare l’”inutile strage” che insanguinava i campi di battaglia da ormai tre anni e che rischiava di condurre “[…] l’Europa, così gloriosa e fiorente […] incontro ad un vero e proprio suicidio […]”. La Grande Guerra, tra i più drammatici eventi della storia dell’umanità, rappresentò veramente il suicidio dell’Europa; prima fase di quella che Ernst Nolte avrebbe definito la Guerra dei Trent’anni del ventesimo secolo (1914-1945), avrebbe modificato definitivamente gli equilibri, gli assetti e la storia non soltanto del vecchio continente, ma del mondo intero.
Sono trascorsi cento anni da quel lontano 28 luglio 1914, quando l’Impero austro-ungarico dichiarò guerra al Regno di Serbia, dando inizio al vortice di distruzione e morte che fu il primo conflitto mondiale.
È risaputo che la scintilla decisiva che fece scattare il meccanismo delle alleanze belliche e il conseguente conflitto, fu l’omicidio dell’Arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo-Este (1863-1914) per mano di Gravilo Princip (1894-1918), terrorista serbo appartenente all’organizzazione politica Giovane Bosnia, che mirava a unire la regione – annessa de facto alla diarchia degli Asburgo dal 1908 – alla Serbia. L’attentato di Sarajevo, del 28 giugno 1914, portò l’Austria-Ungheria a imporre un inaccettabile ultimatum alla Serbia che, una volta respinto, portò alla dichiarazione di guerra viennese, all’immediato schierarsi al fianco serbo dei russi, della Germania al fianco dell’alleato imperiale e infine di Francia e Gran Bretagna con l’alleato russo. In meno di un mese ne fu coinvolto il Regno del Belgio e nell’arco di un anno sarebbero intervenuti l’Impero ottomano, il Regno di Bulgaria, l’Italia di Vittorio Emanuele III (1869-1947), l’Impero del Giappone; col tempo, sarebbero scesi in campo la Grecia, la Romania, gli Stati Uniti e altri ancora. Alla fine si sarebbero contati, tra civili e soldati, più di diciassette milioni di morti; crollarono tre plurisecolari Imperi; nacquero nuovi Stati, altri furono negati. L’Europa non sarebbe più stata la stessa.
Tutto ebbe inizio a Sarajevo; o meglio, lì si completò quel percorso che dalla seconda metà dell’Ottocento, dal sorgere delle rivalità economiche e produttive delle grandi potenze europee, in gara nello spartirsi il mondo, avrebbe condotto alla catastrofe. Si siglarono alleanze, altre furono rotte, si combatterono brevi ma cruenti conflitti in Africa, Asia, nel Mediterraneo e nei Balcani, la polveriera d’Europa, dove tutto si sarebbe compiuto. Alcuni colpi di pistola cambiarono dunque la storia. Ma chi fu Francesco Ferdinando, l’uomo che cadde nell’agguato del Giugno di cento anni fa e per quale ragione un giovane serbo gli prese la vita, scatenando l’infernale conflitto?
Francesco Ferdinando d’Asburgo-Este nacque a Graz ne 1863 da Carlo Ludovico d’Asburgo-Lorena 81833-1896) e Maria Annunziata Borbone-Due Sicilie (1843-1871), componente di una dinastia regnante su uno degli Imperi più gloriosi della storia. In lui scorreva il sangue di centinaia di famiglie aristocratiche, potendo vantare tra i suoi antenati figure di spessore, da Carlo V a Maria Teresa d’Asburgo. Venne al mondo in un età molto travagliata, l’età del romanticismo e dei moti nazionali e liberali – su tutti il Risorgimento italiano – che scossero l’Europa e ne modificarono assetti e strutture; non aveva ancora tra anni quando l’Impero d’Austria, vinto sul campo di Sadowa, veniva estromesso dalla Confederazione germanica per mano della Prussia di Bismarck (1815-1898) che, in breve tempo, l’avrebbe unificata nell’Impero tedesco. Per garantire all’Impero asburgico di sopravvivere in uno dei momenti più difficili, l’imperatore Francesco Giuseppe (1830-1916) compì la scelta di trasformarlo in una diarchia attraverso il noto compromesso con la nobiltà ungherese, in cui si riconosceva l’esistenza di due Regni sotto un unico sovrano, distinti e in condizioni di parità. Il compromesso garantì all’Impero di sopravvivere, annullando le aspirazioni indipendentiste ungheresi, ma non poté tuttavia eliminare le pulsioni anti imperiali delle altri componenti etniche, dagli italiani ai cechi, dagli slovacchi agli slavi.
Sposo in nozze morganatiche con la contessa ceca Sofia Chotek von Chotkowa (1868-1914) ed erede diretto al trono, dopo il suicidio del cugino Rodolfo d’Asburgo-Lorena (1858-1889) a Mayerling nel 1889 e con la morte del padre nel 1896, Francesco Ferdinando era cresciuto nell’ambiente militare, divenendo Maggiore Generale all’età di 31 anni, giungendo a esercitare una grande influenza sugli ambienti dell’esercito imperiale. L’ascesa tra le alte cariche militari, l’influenza esercitata negli ambienti cattolici. Nonché il semplice fatto di essere l’erede al trono asburgico, furono un fattore decisivo a farlo entrare nel mirino dei nemici dell’Impero. Ma ciò che rendeva Francesco Ferdinando un elemento scomodo nello scacchiere europeo erano le sue opinioni politiche.
Francesco Ferdinando era infatti un sostenitore del “trialismo”, corrente di pensiero volta a trasformare l’Impero austro-ungarico in una triarchia, attraverso la creazione di un terzo Regno autonomo e politicamente distinto dai domini austriaci e da quelli ungheresi; non è un mistero la proposizione, da parte di alcuni studiosi vicini all’arciduca, di alcuni progetti volti alla trasformazione dell’Impero in una monarchia federale; tra questi spiccava l’idea della creazione degli Stati Uniti della Grande Austria, proposta dal giurista originario del Banato, Aurel Popovici (1863-1917). Si trattava di un progetto che avrebbe garantito, con buona probabilità, la solidità dell’apparato statale imperiale e, forse, ridotto il rischio di un conflitto mondiale. Ma dare spazio alla grande componente slava significava trovare aperto dissenso in numerose componenti elitarie, sia imperiali che estere. In primis, un simile progetto, era apertamente osteggiato dagli alti vertici ungheresi, che avrebbero visto perdere non solo il controllo politico-amministrativo su buona parte dei territori della Corona di Santo Stefano o Transleitania, quali Slovacchia, Croazia, Slavonia, ma anche la rinuncia alle rivendicazioni sulla Dalmazia – soggetta alla Cisleitania austriaca – e sulla Bosnia-Erzegovina, annessa all’Impero nel 1908. All’apice del proprio nazionalismo, la componente ungherese si dichiarò apertamente ostile ai suddetti disegni, tanto da osteggiare apertamente l’appoggio di Francesco Ferdinando al progetto di concordare il suffragio universale, che avrebbe provocato la perdita, per i magiari, della predominanza politica nel multietnico Regno d’Ungheria.
Ma l’ostilità nei confronti del progetto trialista giungeva anche dall’estero, in particolare dagli ambienti militaristi e nazionalisti Serbia, che vi vedeva un serio ostacolo al progetto panserbista di unificare gli slavi dei Balcani. Ma l’opposizione più ostile, in questo, veniva in realtà da Mosca. Da sempre l’Impero zarista aveva come ossessione lo sbocco nel Mediterraneo; due le vie per ottenerlo: o il controllo degli stretti o il controllo dei Balcani. Ma il sogno russo si urtava sia con i progetti di egemonia balcanica dell’Impero austro-ungarico, sia con quelli greci sugli stretti – fermo e concesso che l’Impero ottomano aveva tutt’altra intenzione che perderli –, sia con il predominio inglese nelle acque mediterranee da Gibilterra a Suez.
Fu questa linea ad armare la mano di Gravilo Princip. Dalla collaborazione degli ambienti panserbisti con i servizi segreti russi s’ideò l’attentato; dall’aperta ostilità dell’entourage politico-militare ungherese, sommata a una non velata antipatia degli ambienti militaristi e bellicisti di Vienna, opposti alla volontà di mantenere la pace dell’arciduca, se ne favorì – anche se a riguardo mancano prove effettive – l’attuazione. Il 28 giugno, a Sarajevo, l’erede al trono del multietnico Impero moriva con la consorte. Quel giorno si segnò definitivamente il destino dell’Europa.
Nicolò Dal Grande