Di Siria, del suo presidente rieletto a furor di popolo, di una nazione che si è unita nelle sue diversità e non si è invece divisa per salvaguardare la propria integrità, oramai non se ne parla più; appena 12 mesi fa, quando sembrava imminente l’ennesima aggressione occidentale ad un sovrano governo mediorientale, seguendo drammaticamente i piani di pochi mesi prima in Libia, la Siria era perennemente in primo piano.
Oramai valutare l’andamento di un conflitto, di una battaglia o di una determinata situazione, è diventato semplice: se i media tradizionali ne parlano in maniera spropositata, con tanto di immagini crude e strappalacrime, vuol dire che il tutto fa comodo all’attuale sistema dominante; diversamente, se determinati conflitti cadono nel dimenticatoio, allora per chi controlla i media vuol dire che parlarne diventa scomodo.
Di Siria, del suo presidente rieletto a furor di popolo, di una nazione che si è unita nelle sue diversità e non si è invece divisa per salvaguardare la propria integrità, oramai non se ne parla più; appena 12 mesi fa, quando sembrava imminente l’ennesima aggressione occidentale ad un sovrano governo mediorientale, seguendo drammaticamente i piani di pochi mesi prima in Libia, la Siria era perennemente in primo piano. Si parlava di armi chimiche, si accusava (con prove poi rivelatesi false) il presidente Assad della morte di migliaia di suoi concittadini, si iniziava insomma a creare il “mostro del mese” all’addormentata opinione pubblica occidentale. Poi tutto è svanito, oggi si torna ad associare la Siria ad un punto generico della cartina geografica, Damasco è tornata ad essere famosa più per la conversione di San Paolo che per essere una moderna capitale asiatica.
E tutto questo va a dimostrare come in Siria i piani occidentali ed israeliani siano falliti; quel che sta accadendo nel paese arabo è storico, segna una battuta d’arresto del progetto di destabilizzazione del medioriente e, a livello più generale, dimostra che anche i piani a stelle e strisce a lungo termine non sono imbattibili.
In termini di vite umane perdute, per gli Stati Uniti è il Vietnam con la sua cruenta guerra a rappresentare oggi l’emblema della disfatta, ma in termini politici la Siria forse è una sconfitta ancora maggiore. Essa è la dimostrazione di come oggi ancora, nonostante i mille tentativi di demonizzazione dello stato nazionale, di delegittimazione politica e di riduzione ai minimi termini della sua sfera d’azione, l’unione di un intero popolo sotto il vessillo di una bandiera nazionale può fare la differenza.
La Siria ha rappresentato nel 2011 il primo tentativo di creare divisione nel mondo arabo, dentro quel mondo cioè che a livello culturale rappresenta una resistenza al mondialismo ed a livello economico un’opportunità per depredare petrolio e fonti energetiche a tutti i popoli che si affacciano nel golfo Persico; dopo aver demonizzato tramite lo strumento del fondamentalismo islamico tale mondo, il “salto di qualità” nella strategia del dividi et impera occidentale, è rappresentata dall’acuire la divisione storica tra sunniti e sciiti. Quale miglior paese per sperimentare tutto ciò, se non la Siria? Infatti, proprio la Siria è un paese a maggioranza sunnita, ma con al potere un presidente sciita; Assad infatti, fa parte degli Alawiti, una frangia dell’elite sciita del paese.
L’obiettivo era chiaro: sulla scia delle fantomatiche primavere arabe, rompere la pacifica convivenza tra sunniti, sciiti e cristiani in Siria, per rovesciare Assad e distruggere il paese. Le menti artefici di questo disumano e spietato piano, non hanno però tenuto in conto la storia recente siriana e l’origine del partito da cui discende il potere della famiglia Assad. Nonostante le tante anime e le tante religioni in cui è divisa la società siriana, la comune appartenenza ad uno Stato ha sempre vinto nei decenni passati i sentimenti di rivalsa di alcune comunità; anche perché, l’attuale sistema siriano fonda le sue radici nel partito Ba’th, formazione politica laica, retta negli anni 50 da un triumvirato formato da un cristiano, un sunnita ed uno sciita. In questo triumvirato, la parte sciita era rappresentata da Hafiz al Assad, padre dell’attuale presidente Bashar al Assad, che avrà poi la meglio e gestirà la presidenza del paese fino alla sua morte, avvenuta nel 2000; dunque, nel regime siriano la religione non è una componente fondamentale, l’origine sciita degli Assad non ha mai pregiudicato il rispetto della maggioranza sunnita e della minoranza cristiana e di tutte le varie etnie che compongono la Siria. Così, quando ai siriani è apparso chiaro l’obiettivo di dividere il paese tramite l’ingresso di mercenari esteri e di terroristi sunniti, la popolazione si è ancora più unita, si è stretta attorno ad Assad ed al suo esercito, permettendo una vittoria militare oramai pienamente raggiunta, anche se con qualche roccaforte “ribelle” ancora resistente.
I mondialisti, gli occidentali e gli israeliani hanno quindi perso la battaglia di Siria; sì perché per loro quella siriana non è una guerra, ma per l’appunto una battaglia, la prima che hanno intenzione di mettere in una guerra a tutto campo e tutta interna al mondo arabo dal Magreb alla Mesopotamia. Ma da Damasco la risposta politica e militare, ha ridimensionato le ambizioni di coloro che consideravano la Siria come un altro paese da annoverare tra quelli “liberati”; oggi la situazione sul campo è nettamente diversa da quella immaginata dagli occidentali.
L’esercito siriano ha vinto su tutti i fronti, liberando oramai quasi tutte le principali città; in particolare Homs, considerata la “capitale” dei ribelli, oggi è stata messa in sicurezza anche se la ricostruzione sarà molto lunga per via di una diffusa distruzione a seguito dei combattimenti. Anche Latakia è interamente nelle mani del governo centrale, l’unica grande città ancora non del tutto liberata è quella che prima del conflitto era la capitale economica della Siria, ossia Aleppo. Qui ancora si combatte, con governo e ribelli che controllano ciascuno circa il 50% del territorio; la situazione è in fase di stallo, a destare preoccupazione è il rafforzamento dell’ISIS in Iraq, da cui adesso arriva gran parte delle armi destinate al nord della Siria ed alla zona di Aleppo. Si dice addirittura come il “califfo” al-Baghdadi, nel famoso video dentro la moschea più grande di Mosul abbia mandato un suo sosia, in quanto rimasto ferito in uno scontro e portato in cura proprio in Siria, segno che comunque in questa parte del territorio ISIS e mercenari ribelli hanno ancora un controllo molto capillare.
Ma è solo questione di tempo; con l’80% ed oltre del territorio controllato, l’esercito siriano aspetta l’occasione giusta per le ultime battaglie, cercando di indebolire i ribelli ed evitare ancora bagni di sangue che in Siria hanno massacrato la popolazione in tutte le parti del paese. A livello politico, dopo la rielezione il 16 luglio scorso Assad si è insediato per il suo terzo mandato; tanto il giorno delle elezioni, quanto quello dell’insediamento hanno registrato una notevole partecipazione popolare: i siriani hanno festeggiato non solo il vittorioso presidente Assad, ma anche la ritrovata unità e l’orgoglio di aver resistito contro gli assalti di mercenari e terroristi stranieri pagati profumatamente con petrodollari. Nel suo discorso di insediamento, il presidente siriano ha lanciato un chiaro monito all’occidente: “Pagherà caro il suo appoggio al terrorismo”, accennando ad un effetto boomerang che subiranno quegli stati che hanno armato chi ne professa la distruzione.
La Siria quindi, ed il popolo siriano, ha reagito, resistito e vinto; per chi ne voleva lo smembramento, cercando di acuire le divisioni interne, è un brutto spot da evitare di mostrare nei media. Infatti, la guerra siriana è la dimostrazione di come l’unità di un popolo riesce a sconfiggere anche un’armata equipaggiata con fondi praticamente illimitati. E’ la vittoria di un sogno, quello di pace del popolo siriano, è la speranza di molti che vogliono un mondo liberato da chi vorrebbe imporre a livello globale un nuovo ordine mondiale.
* Domus Europa ringrazia il sito “L’Intellettuale dissidente”.
http://www.lintellettualedissidente.it/nel-silenzio-dei-media-la-siria-trionfa-contro-il-terrorismo/