I cristiani c’erano quando si chiamava ancora Mesopotamia, e se la contendevano i Romani e i Parti e Persiani; e ci furono sotto gli Arabi musulmani e sotto i Mongoli e sotto i Turchi e sotto gli Inglesi e nello Stato nazionalpopolare Ba’at.
Tutti ricordiamo Tarik Aziz, vicepresidente dell’Iraq e cristiano caldeo osservante. Dopo che gli Americani hanno liberato l’Iraq dalla bieca dittatura, intanto l’Iraq di fatto non esiste più, frantumato in entità non si sa bene se statali o tribali o di vero o proclamato califfato; e, per la prima volta in duemila anni, i cristiani iracheni sono uccisi e perseguitati, e cacciati dalle chiese e dalle case.
Davvero un bell’affare!
E non è cominciata con il sedicente ma esistente e operante Califfato; iniziò subito con l’occupazione statunitense. Possiamo aggiungere le stragi in Nigeria, il Sudan…
Cosa fanno i cristiani d’Europa e d’America? Semplicemente, nulla. E nemmeno pretenderei una spedizione d’oltremare o crociata che dir si voglia, cioè una guerra vera e propria: so bene che gli Occidentali sono prigionieri di se stessi e dei loro luoghi comuni pacifisti e buonisti; e so benissimo che non ci sono in giro dei Goffredo di Buglione o dei Boemondo e dei Tancredi pronti a impugnare la spada.
Tristemente vero, ma non si può nemmeno decretare la morte di comunità cristiane tra le più antiche, e, spesso, anche la morte fisica di molti singoli cristiani. Se non come cristiani, che non sarebbe politicamente corretto, li si protegga in nome di qualche “libertà di opinione”, o anche semplicemente perché esseri umani in pericolo di vita. Li si armi, se non altro!
Non farà nulla nessuno, e i cristiani caldei finiranno in un cantuccio di libri di storia come i nestoriani della Mongolia, di cui non si ha notizia da oltre mezzo secolo, e che probabilmente sono del tutto spariti?
Mi piacerebbe sentire qualche voce autorevole, qualche ONU, qualche NATO, qualche Aia e altri tribunali, qualche digiunatore per qualsiasi causa. Per ora sento solo il silenzio, rotto da qualche altissimo “appello”, ma lascia il tempo che trova.
Ulderico Nisticò