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Il salvataggio di Alitalia non si riduca ad una questione economico-aziendale, ma sia – piuttosto – una precisa e ponderata scelta di politica industriale.di C. Giovannico

Il caso Alitalia è una delle vicende che meglio descrive i caratteri di quel periodo della storia politica del nostro Paese chiamata “seconda Repubblica”. Le vicissitudini della nostra, oramai ex, compagnia di bandiera sono costellate di fallimenti, tentativi di salvataggio, mala gestio. Tutti termini che ricorrono spesso nella narrazione dell’Italia post-tangentopoli, in cui il governo della cosa pubblica era spesso connotato da scarsa preparazione o, al limite, da improvvisazione.

Relativamente ad Alitalia, il piano di salvataggio del 2008, detto “Fenice” – messo in atto a seguito del crack della compagnia aerea italiana – ha, disgraziatamente, rappresentato in toto l’anzidetto modello amministrativo.

A seguito di detto piano di risanamento, dettato da dinamiche puramente politico-elettorali, e della crisi economica internazionale, Alitalia si è ritrovata nuovamente a fare i conti con una grave situazione di dissesto, che a fine 2013 è stata, momentaneamente, attenuata da una singolare manovra di ricapitalizzazione operata da parte di Poste Italiane, utile per prendere tempo, in attesa di investimenti più rilevanti.

A febbraio Etihad ha raggiunto l’accordo per l’acquisizione del 49% delle partecipazioni azionarie di Alitalia, attraverso un investimento di 560 milioni di Euro, che risulta indispensabile per il risanamento della compagnia aerea italiana, ad oggi non in grado di garantire la continuità aziendale, e che al momento solo Etihad parrebbe poter assicurare.

L’accordo con la compagnia d’aviazione civile emiratina avrebbe, tuttavia, mandato su tutte le furie alcune delle concorrenti europee. Lufthansa, in particolare, lamenta la violazione delle norme antitrust e dopo aver denunciato, circa un anno fa, l’aumento di capitale avvenuto per mano di Poste Italiane, s.p.a a totale controllo pubblico, oggi accusa l’ingresso di Etihad in Alitalia di concorrenza sleale, in quanto la compagnia di Abu Dhabi riceverebbe denaro pubblico nel suo Paese di origine, configurando un aiuto di Stato.

La Commissione, però, pare essersi già espressa a riguardo, confermando la liceità dell’accordo. Commentando le richieste di Lufthansa, un funzionario della Commissione che preferisce restare anonimo, avrebbe precisato che “la base legale per il controllo della validità degli aiuti di stato esercitato dalla Commissione si riferisce esclusivamente agli aiuti dati da uno stato membro Ue[1]“.

Tuttavia, al di là delle questioni puramente regolatorie, nel dibattito costituitosi  attorno al matrimonio tra Alitalia ed Etihad, assumono grande importanza profili geopolitici.

Dal punto di vista della compagnia di Abu Dhabi l’accordo con Alitalia rientra in un preciso piano di politica estera degli emiri arabi, i quali puntano a giocare un ruolo strategico all’interno del mercato del trasporto aereo. In questi anni Etihad ha portato avanti una precisa strategia di acquisto di quote di minoranza di compagnie aeree minori e in difficoltà, al fine di sviluppare con i minori costi possibili la sua copertura geografica. Ad esempio possiede il 29% di Air Berlin, il 40% di Air Seychelles, il 19,9% di Virgin Australia, il 3% di Aer Lingus, e di recente ha acquistato il 24% di Jet Airways in India e il 49% di Air Serbia[2]. L’acquisto di una grossa fetta di Alitalia rappresenterebbe, quindi, il naturale evolversi di un disegno che vedrebbe così deviare sull’hub di Abu Dhabi una rilevante parte del traffico aereo di quella che è la terza economia dell’area-euro.

Relativamente ad Alitalia, invece, l’alleanza col vettore emiratino riporterebbe l’Italia al centro del Mediterraneo, aprendo la porta al Medioriente e all’intero continente asiatico.

Questo spiegherebbe il perché di tanto sbracciarsi da parte dei tedeschi di Lufthansa ed il motivo per cui l’accordo, invece, sarebbe visto di buon occhio da parte di Air France-Klm. Le dichiarazioni del presidente e direttore generale della compagnia franco-olandese, Alexandre de Juniac, secondo cui l’operazione di Etihad “non è un’operazione ostile[3] trova spiegazione nell’accordo vincolante sulle rotte, nell’ambito dell’alleanza di Skyteam[4], firmato con Alitalia nel 2009.

Tutto ciò non fa che confermare il trend dell’attuale scenario, secondo cui prendono sempre più piede alleanze strategiche tra compagnie, fusioni, che sono spesso anticipate da joint-venture, a riprova di quanto le compagnie basino il proprio network a seconda della politica estera dei propri Governi, confermando il legame che intercorre tra geopolitica ed industria del trasporto aereo.



[4] “SkyTeam ( SKYTEAM ) è l’alleanza aerea globale costituita il 22 giugno 2000 dai quattro membri fondatori Aeroméxico, Air France, Delta Air Lines e Korean Air che attualmente grazie alla sua grande rete di hub può vantare un network di quasi 900 destinazioni, in 169 paesi, con quasi 13.000 partenze giornaliere”.

Fonte:  http://it.wikipedia.org/wiki/Skyteam

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