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Divide et impera in Medio Oriente. La strategia Usa e i danni europei. Intervista a Paolo Sensini di F. Morandi

«Da tempo si sapeva che l’Iraq si sarebbe spaccato, perché quello che sta accadendo risponde alla strategia del “divide et impera” messa in atto
dalle grandi potenze, e che porterà, com’è molto probabile, a un’estensione dei conflitti in Medio Oriente e in Africa. Guerre che sposterannomasse di profughi, con una destinazione ambita: l’Europa. E saremo anche noi a pagarne le conseguenze».
Lo afferma Paolo Sensini, saggista e autore del libro “Divide et impera. Strategie del caos per il XXI secolo nel Vicino e Medio Oriente” (edizioni Mimesis), nel quale, attraverso un lavoro di documentazione su fonti di informazione e fatti, intende dimostrare il forte influsso delle dottrine dei conservatori americani sulla politica estera e la strategia militaredi Washington.
Come lo studioso americano Bernard Lewis che, spiega Sensini, «negli anni Ottanta teorizzava la frammentazione di alcuni Statimediorientali attraverso un indebolimento del potere centrale che provocasse una disintegrazione delle società su base etnico-religiosa, in un processo che avrebbe potuto essere favorito dallo scontro inter-arabo e dal fondamentalismo, allo scopo di “dividere e controllare” quest ’area strategica da parte di potenze alleate quali gli Stati Uniti, l’Arabia Saudita, Israele e la Turchia. Una strategia – continua lo storico – riproposta pubblicamente nel 2006, seppur con alcune varianti, dal colonello statunitense Ralph Peters, il quale sosteneva la necessità di una ridefinizione delle frontiere di Medio Oriente e Africa», in quanto, secondo Peters, gli Stati costituiti “artificialmente” dagli europei, sulla base dei propri interessi dopo le guerre coloniali, sono all’origine dell’instabilità perenne di questa enorme parte del globo.

Una cosa è certa: la guerra che nel 2003 portò alla destituzione di Saddam Hussein non ha prodotto alcun risultato in termini di pacificazione. E lo stesso vale per la guerra anglo-francese in Libia. «La mappa del nuovo Medio Oriente disegnata nel 2006 da Peters includeva un Iraq diviso in tre: uno Stato sunnita, uno sciita e uno curdo. Oggi vedo questa teoria diventata realtà, l’Iraq è di fatto spezzato in tre entità, il nordest occupato dai miliziani sunniti dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isis), il sud-ovest sotto il controllo degli sciiti rappresentati dal governo di Nuri Al Maliki, e la parte nord sotto giurisdizione dei curdi. In Iraq si sta ripetendo lo stesso scenario della Libia e dell’Afghanistan, dove potenze straniere, anche occidentali, hanno sostenuto e armato gli integralisti islamici sulla base di precise scelte politiche. E’ accaduto lo stesso in Siria dove i ribelli contro il regime di Bashar Al Assad sono stati supportati militarmente da Arabia Saudita, Qatar, Turchia, Stati Uniti, Francia e Regno
Unito».

All’inizio delle guerre in Libia e in Siria l’obiettivo di alcuni governi occidentali era quello di sostenere militarmente le forze laiche ma alla fine hanno prevalso i ribelli jihadisti… Possibile che questa pericolosa eventualità non fosse stata calcolata? «Questa è la guerra e chi la inizia sa bene che cosa accade, a partire dai traffici di armi e dalle infiltrazioni dei fondamentalisti islamici. Per questo ritengo che in tali conflitti le responsabilità di potenze straniere, occidentali in primis, siano molto pesanti. Anche perché la guerra non si fa solo con le bombe ma pure attraverso il terrorismo, i cui esecutori, i gruppi terroristi, sono di fatto “attori per conto di uno Stato” dal quale vengono segretamente sostenuti dai vari servizi segreti. Basta pensare che Al Qaeda è nata come una sezione araba della Cia in Afghanistan. Sono 13 anni che gli Stati Uniti affermano di combattere il terrorismo, ma la loro strategia sta portando a un’estensione dell’islamismo radicale e dei conflitti in tutta l’area. Prima dell’invasione anglo-americana del2003 in Iraq c’era un despota, Saddam Hussein, ma a Baghdad il governo era laico, e il Paese non era in balia di miliziani integralisti che mirano a instaurare un Califfato islamico. In Siria, nel regime di Assad, drusi, alauiti, cristiani, curdi, sciiti e sunniti convivevano. La Libia, sotto Gheddafi, stava insieme, oggi invece è frammentata. Nessuno sta legittimando la dittatura, ma è palese che ingerenze militari e terroristiche straniere hanno alterato e distorto quel percorso storico-evolutivo che i popoli dovrebbero compiere senza bombe e armi altrui».

La rivoluzione americana del petrolio e del gas derivante da argilla che sta portando l’America verso l’indipendenza energetica, cambierà la strategia Usa in Medio Oriente?

«Quello che vedo nel presente è piuttosto il risultato di strategie “antiche” dei neoconservatori che negli ultimi 20 anni hanno portato a un interventismo militare i cui risultati sono disastrosi. Il pericolo è che l’instabilità di Medio Oriente e Africa si riversi sull’Europa, sull’Italia in particolare. Stiamo già assistendo a un esodo incontrollabile di migranti che proviene dalla Siria e dall’Africa subsahariana, disperati che partono dalle coste della Libia distrutta. Oggi gli Stati Uniti mirano a strappare l’Iraq all’influenza dell’Iran, che resta un acerrimo nemico di Washington e Riad. L’indipendenza energetica americana è una prospettiva a lungo termine e i legami tra Usa e Arabia restano forti per motivi legati al mercato del petrolio e perché Riad è il principale rivale di Teheran nella regione. Israele è poi il più stretto alleato di Washington in Medio Oriente e non credo che gli Usa possano avvicinarsi troppo all’Iran, legato fortemente al gruppo libanese Hezbollah che è nemico di Israele».

Quanto il conflitto israelo-palestinese continua a pesare sul caos mediorientale?

«Moltissimo. Le masse arabe sentono in maniera acuta il sopruso subito dai “fratelli palestinesi”. Israele mantiene un controllo totale sui confini della Striscia di Gaza, dove ha anche il controllo militare dello spazio aereo e delle acque. Non vedo elementi che facciano pensare a una soluzione del conflitto tra israeliani e palestinesi.
Di Francesca Morandi.
Si ringrazia La Padania (20 Giugno 2014)

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