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Il Rapporto Maalouf è il Rapporto del British Council per imporre l’inglese. di A.M. Campogrande

Il Rapporto Maalouf, nonostante le proteste reiterate di Athena e di molte associazioni di difesa delle lingue ufficiali degli Stati Membri dell’Unione, resta lo zoccolo sul quale si basa il plurilinguismo della Commissione Europea. In realtà, tale Rapporto costituisce una delle più grandi frodi messe in atto a discapito del cittadino europeo, non solo perché crea una ingannevole e inammissibile confusione tra le lingue ufficiali degli Stati Membri dell’Unione e tutte le altre che non godono di alcuno statuto in sede comunitaria ma anche perché dirotta fondi e risorse umane, che dovrebbero essere consacrati alla realizzazione di politiche comunitarie di fondo, orientate alla costruzione di una vera « comunità europea » e al consolidamento della sua specifica identità, verso attività di secondaria importanza a scopo, essenzialmente, di propaganda e di propagazione di un modello europeo che eccede la regolamentazione comunitaria in vigore e favorisce l’installazione dell’inglese come lingua dominante dell’Europa.

Tenuto conto delle prerogative dell’Europa istituzionale che ha come missione di costruire un nuovo soggetto politico di dimensioni continentali e di regolamentare vasti settori della vita economica e sociale degli Stati Membri e, attraverso questi, quella dei cittadini europei, sin dal loro insediamento, le istituzioni europee hanno accordato un’importanza fondamentale alla questione linguistica. Infatti, il primo atto ufficiale del Consiglio di Ministri, il Regolamento 1/58, emendato a ogni allargamento per renderlo applicabile ai nuovi Stati Membri, fissa il regime linguistico delle istituzioni della Comunità Europea e stabilisce che tutte le lingue ufficiali degli Stati Membri sono lingue ufficiali e lingue di lavoro della Comunità.

Le istituzioni della nuova Europa, nascente dalle ceneri della seconda guerra mondiale, avevano compreso la minaccia insita in un assetto che non fondasse la sua legittimità sulla pari dignità degli Stati e dei cittadini e della loro identità. All’epoca, tutti gli attori del progetto europeo di integrazione erano coscienti del fatto che l’Europa per costruirsi e consolidarsi, per esistere nel quotidiano del cittadino europeo e nel suo cuore doveva, necessariamente, essere portatrice dello Stato di Diritto e della Democrazia.

La Commissione Europea sin dal suo insediamento e per lungo tempo ha fatto tutto il necessario, in termini di Servizi di Traduzione, d’Interpretariato, di Terminologia, nell’organizzazione di tutti i suoi Servizi e in particolare quelli del Personale e dell’Amministrazione, al fine di rispettare la lettera e lo spirito del Regolamento 1/58.

In seguito agli ultimi allargamenti, di già a partire dall’adesione di nuovi Paesi nordici, si è cominciato a sventolare l’idea della lingua unica, abbarbicandosi, in malafede e con grande esagerazione, al problema dei costi del plurilinguismo come se fosse normale e legittimo, per i nuovi arrivati, rimettere in questione i principi di base delle istituzioni europee e i diritti acquisiti dagli Stati Membri fondatori. Sotto la presidenza di Romano Prodi, questa tendenza dei nuovi arrivati si è coniugata con la presenza del Commissario Neil Kinnock (diventato Presidente del British Council alla fine del mandato europeo) alla guida dei Servizi linguistici della Commissione, e di altri Servizi linguisticamente molto sensibili quali quelli del Personale, dell’Amministrazione e dell’Informatica. Un vero impero, uno strapotere mai riconosciuto prima né dopo a un Commissario europeo.

In effetti, con la gestione di Neil Kinnock, una specie di onda anomala si è abbattuta sui Servizi della Commissione e ha spazzato via il suo tradizionale plurilinguismo. Con il pretesto della necessità di un’estrema austerità di bilancio, i servizi linguistici sono stati smantellati e, in parte, privatizzati, la maggior parte dei documenti interni non sono più tradotti, i concorsi di assunzione si fanno in sole tre lingue, i siti che si presentano pluriligui, quasi sempre, riconducono sistematicamente all’inglese, raramente anche al francese, non sono quasi mai disponibili nelle altre lingue ufficiali, l’informatica si declina solo in inglese anche per quanto riguarda le istruzioni più complesse, spesso difficili da capire anche nella propria lingua.

Il costo del plurilinguismo delle istituzioni della Comunità Europea, nel suo insieme, è stimato à due Euro “pro capite” all’anno, neanche il prezzo di un cinema, appena quello di un gelato. Se si tiene conto del fatto che certi distributori di programmi televisivi si fanno pubblicità invitando gli utenti a divenire loro clienti con un costo di « soli » quindici Euro al mese, ci si può rendere facilmente conto del ridicolo di quei due Euro “pro capite” all’anno, che costa al cittadino europeo il plurilinguismo dell’Europa e della pretestuosità del rigore finanziario.

Il Rapporto Maalouf è il risultato della riflessione di un gruppo di intellettuali, incompetenti di questioni giurico-istituzionali della Comunità Europea, che, per di più, non rappresentano neanche tutti gli Stati Membri dell’Unione, neanche i più importanti in termini demografici, neanche gli Stati Membri fondatori, comprende in compenso personalità di nazionalità americana, libanese e marocchina. Non c’è quindi da stupirsi se prescinde dai Trattati e dalla regolamentazione vigente, se prescinde dalla logica comunitaria e se crea un’incredibile pasticcio linguistico che confonde le lingue dell’Europa con quelle del Mondo intero.

Tra i molteplici abusi, il Rapporto Maalouf si pone in posizione del tutto anomala nei confronti delle lingue ufficiali degli Stati Membri, che invece i Trattati pongono su un piano di pari dignità, dividendole in lingue internazionali e non internazionali, con grande arbitrio e angusta mentalità, perché prescinde dallo splendore culturale della lingua, dalla sua reale diffusione, in quanto lingua di cultura e non di conquista, in Europa e nel Mondo, ma fonda l’internazionalità delle lingue sulle conquiste militari, su una logica colonialista del XIX secolo.  L’Europa comunitaria è un soggetto politico nuovo che ha bisogno di trovare, al suo interno, un suo proprio ‘modus vivendi’, una sua specifica identità, ha bisogno di radicarsi nella sua diversità linguistica e culturale, nelle sue tradizioni, per dar vita a una nuova cultura multiforme, la « cultura europea » nata da una elaborazione interna tra i Popoli che la compongono.

Nell’attuale momento storico del suo processo di integrazione l’Europa ha il dovere e la necessità di trovare la sua strada, non può essere legata a uno stereotipo pietrificato e non evolutivo che affida la sua eredità linguistica e culturale a un paio di lingue o a una sola, quella attualmente più diffusa, attraverso le conquiste militari, che non è neanche una lingua squisitamente europea. L’Europa, se vuole esistere e crescere, conquistare il cuore e lo spirito dei cittadini europei ha bisogno di una sua propria originale identità, radicata nel presente e non contaminata da logiche colonialiste di dominio del passato.

La questione linguistica europea, che concerne esclusivamente le lingue ufficiali degli Stati Membri, non può essere affidata a un gruppo etereogeneo di intellettuali privo di competenze specifiche e di qualsiasi diretta responsabilità istituzionale, deve essere affrontata e risolta dalle istituzioni stesse, in collaborazione con le autorità competenti, che dispongono delle capacità tecniche e intellettuali adeguate e alle quali incombe la messa in opera della regolamentazione vigente in materia di lingue ufficiali degli Stati Membri.

Il Rapporto Maalouf risulta incompatibile con la regolamentazione comunitaria e, se non viene ritirato dalla circolazione al più presto, costituisce la prova più evidente del fatto che i cittadini europei sono stati derubati del progetto di integrazione dell’Europa e che le leve del comando sono sfuggite di mano a coloro che ci governano.

Anna Maria Campogrande

Presidente di Athena

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