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Pio VII. Il Ritorno del Papa Prigioniero. di F. Cardini (tratto da “Avvenire” del 20 maggio 2014)

L’anniversario
Due secoli fa il secondo trionfale ingrésso a Roma del pontefice deportato da Napoleone, dopo quasicinque anni trascorsi in Francia

Il ritorno di papa Pio VII a Roma, all’immedia­to indomani dell’abdicazione di Napoleone a Fontainebleau, è divenuto – al pari del resto della sua deportazione in Francia alcuni anni prima – una pagine di storia tra le più note di quel turbolento periodo, grazie a una vivace e storicamente attendibile ricostruzione cine­matografica nel Marchese del Grillo: senza dubbio u­no dei capolavori del grande Alberto Sordi, nel quale l’interpretazione di papa Chiaramonti era affidata aun indimenticabile, umanissimo Paolo Stoppa.

Il papa, che pur aveva fama di non essere ostile a Na­poleone (con il quale aveva stretto un concordato nel 1801 e alla cui incoronazione imperiale aveva assisti­to nel 1805) , era stato deportato con la forza da Roma nel luglio 1809 dopo aver lanciato una bolla di sco­munica contro Bonaparte, reo di aver annesso i terri­tori dello Stato della Chiesa; e, dopo una lunga sosta a Savona, era stato rinchiuso – sia pur con tutto il dovu­to riguardo – nel castello di Fontainebleau.

In realtà, per Napoleone quel « prigioniero » era sem­pre stato un ostaggio ingombrante: la sua cattura ave­va fatto rinascere o rafforzato le già dure resistenze an­tinapoleoniche in Spagna, Tirolo, Vandea, Toscana­ proclamata parte dell’Impero come Dipartimento del­l’Amo e Ombrone – nonché provocato un rafforza­mento del “brigantaggio” nell’ex Stato della Chiesa e nel regno muratiano di Napoli. La guerriglia era stata particolarmente dura in Romagna, patria del pontefi­ce (Barnaba Chiaramonti era nato nel 1742 a Cesena).

Questi fenomeni di resistenza in parte legittimisti, in parte sociali, sono stati negli ultimi anni oggetto di ri­cerche storiche e di polemiche non sempre equilibra­te, ma giustificate tuttavia dalla loro obiettiva impor­tanza. Ci si è anche chiesto quanto lungimirante fos­se stata in realtà la decisione del governo di Parigi di annettere Roma e i territori circostanti; e quanto la sco­munica da papa Chiaramonti comminata al suo im­periale carceriere abbia influito sul declinare della po­polarità di Napoleone presso tutti i “cittadini” (ormai regrediti a sudditi) cattolici del suo Impero.

Il ritorno di Pio VII alla sua capital era in realtà stato previsto da tempo, e sembra che già dopo la battaglia di Lipsia se ne fosse cominciato a parlare: il potente diplomatico al servizio dell’imperatore d’Austria, quel Clemens von Metternich del quale recentemente Luigi Mascilli Migliorini ha pubblicato una splendida biografia edita dal Mulino, a­veva lavorato in tal senso an­che presso l’imperatrice Maria Luisa, consorte di Napoleone ma pur sempre un’Asburgo. Metternich era stato tra gli artefici diplomatici delle nozze da cui era nato il piccolo Re di Roma e aveva a lungo svolto il ruolo di mediatore tra Parigi e Asburgo in termini tutt’altro che antinapoleonici: il suo parere era pertanto molto ascoltato, come di lì a poco si sarebbe visto al Congresso di Vienna (evento che sarà tra breve opportuno ricordare nel suo bi­centenario, poiché fu tappa fondamentale e qualifi­cante del processo di unificazione europea che oggi segna il passo).

L’imperatore dei francesi tentò di proporre al pontefi­ce un nuovo concordato, ma dopo molte esitazioni il papa decise di respingerlo sfidando l’autorità del suo avversario che ormai vacillava sempre più. Quando gli eserciti della Sesta Coalizione dilagarono in territorio francese, Napoleone si risolse a consentire al suo illu­stre prigioniero di abbandonare la residenza coatta per dirigersi sulla via del ritorno. Partito da Fontaine­bleau la domenica 23 gennaio 1814 e attraversata tut­ta la Francia dove ormai l’ autorità imperiale sempre più vacillava e il papa veniva accolto dappertutto con en­tusiasmo, egli arrivò a Savona il 16 febbraio: e già qui forse fu raggiunto dalla notizia che Roma si era scrol­lata di dosso il dominio francese.

Dopo l’abdicazione napoleonica del 17 marzo, il viag­gio di ritorno di Pio VII si trasformò in un itinerario trionfale: entrò a Bologna il 31 marzo, celebrò la Pasqua a Imola ch’era stata per alcuni anni la sua diocesi, quin­di di fermò nella sua Cesena dal 20 aprile al 7 maggio. Ripreso il cammino, il 15 maggio sostò al santuario di Loreto per ringraziare la Vergine alla quale era con­vinto di dovere l’avvenuta libe­razione. Percorsa quindi la Fla­minia, entrò il 24 maggio in Ro­ma tra due ali di folla festante. Non poté evitare che alcuni romani, inferociti per le so­perchierie subite dai francesi e soprattutto alcuni facinoro­si, si abbandonassero a ven­dette e violenze contro i “gia­cobini”; ma fece di tutto per­ché quegli atti delittuosi fos­sero immediatamente impediti e si comportò con i sudditi nel modo più generoso e conciliante possi­bile. Cercava di rimediare ai guasti che nei confron­ti della Chiesa erano stati commessi non solo dai gia­cobini e da Bonaparte, ma anche prima, fino dal “riformismo illmninato” settecentesco: il 7 agosto, con la bolla Sollicitudo omnium Ecclesiarum, consentì la ricostituzione della Compagnia di Gesù, men­tre il Congresso di Vienna – grazie anche alla media­zione diplomatica del cardinale Consalvi – decreta­va la restituzione alla sovranità pontificia di quasi tut­ti i territori sottratti alla Chiesa.

Il clima della Restaurazione non consentì nell’imme­diato una serena valutazione di quel che era ormai de­finitivamente mutato nella storia del tempo. Furono difatti reintrodotti l’ Index librorum prohibitorum e il tribunale dell’inquisizione: ma il pontefice, in cambio, insisté presso le potenze riunite a Vienna affinché fos­se definitivamente abolita la schiavitù.

Uscito di nuovo tra marzo e giugno dell’ anno succes­sivo da Roma minacciata dalle truppe di Gioacchino Murat, il papa poté tomarvi ben presto e, con l’aiuto del segretario di Stato Consalvi, avviò una politica in­terna di riforme e una estera fondata sulla sistemati­ca estensione dei concordati ai vari Paesi europei. Of­frì anche generosa ospitalità alla famiglia di Napoleo­ne, che nel frattempo aveva dovuto intraprendere la via dell’ esilio verso Sant’Elena. Severo ma equilibrato, que­sto papa che proveniva dall’Ordine benedettino e da duri studi teologici attraversò decenni tempestosi sen­za venir meno alle doti di umanità e di comprensione che lo caratterizzavano.

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