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BREVI NOTE SULA MONETA “ESOGENA” O “ENDOGENA” IN RAPPORTO ALLA SOVRANITA’ MONETARIA. di L. Copertino

Al di là della cospirazione: un problema di natura umana

Partiamo da una lunga ma necessaria citazione: «Si prenda il caso del Giappone degli anni ’90 – scrive Andrea Cavalleri –che, dopo una crescita economica costante dal 1946, subì una crisi nel 1991, con un crollo del 25%. Lo stadio recessivo si mantenne per circa dieci anni nonostante l’abbassamento dei tassi di interesse quasi a zero, il ricorso alla spesa pubblica e agli incentivi fiscali. La crisi fu poi fu superata senza che gli economisti ne comprendessero il motivo. Gli analisti infatti concentravano le loro attenzioni su un certo numero di fattori che, di solito, si pongono alla base dell’andamento dell’economia: tassi di interesse, cambio valutario, debito pubblico, debito estero, livello di occupazione, rigidità dei mercati… Sorprendentemente, nessuno di questi parametri mostrava variazioni significative in concomitanza con l’avvio e il perdurare della crisi. Il fenomeno venne infine spiegato dal professor Richard Werner che constatò come una variabile, fino ad allora trascurata, era mutata drasticamente in modo perfettamente sincrono alla recessione e si trattava del money supply: la quantità di denaro disponibile. In pratica le banche avevano mantenuto un alto livello di offerta monetaria per 45 anni, poi, per un decennio, avevano operato una restrizione del credito causando così la crisi, e infine, ri-espandendolo, l’avevano fatta cessare. Si trattava in definitiva di una consueta crisi da deflazione, tipica delle economie moderne industrializzate e ad alta tecnologia. Laddove le capacità produttive e le risorse naturali sono sotto controllo e perfettamente capaci di assicurare la prosperità, ma venendo a scarseggiare il mezzo di scambio si blocca tutto il mercato, vanificando i vantaggi del lavoro suddiviso e specializzato. Essendoci meno denaro la gente spende meno, le aziende vendono meno, lavorando e guadagnando meno, perciò si vedono costrette a licenziare; i nuovi disoccupati spenderanno meno, alimentando così il terribile circolo vizioso, ben noto e inarrestabile se non con interventi estranei al mercato. Certi esponenti delle dottrine monetariste sostengono un’autoregolazione del valore del denaro in relazione al totale delle merci in vendita, come se all’aumentare della massa monetaria crescessero automaticamente i prezzi e al diminuire della stessa, altrettanto automaticamente, i prezzi scendessero, di modo che il totale della massa monetaria sarebbe pressoché ininfluente. (Una) … idea grossolana e vicino alla superstizione, basti dire che la realtà è totalmente diversa e che al decrescere della massa monetaria non solo si osservano gli effetti di impoverimento generale descritti sopra, ma le aziende, dovendo ammortizzare i costi fissi su un più basso volume di affari, si vedono costrette ad alzare i prezzi, all’esatto contrario di ciò che prevede la scuola di von Mises. Gli unici prezzi che si abbassano sono quelli delle svendite fallimentari e di realizzo per stato di necessità, penultimo capitolo prima del finale, che descrive le macerie fumanti di un’economia rasa al suolo e di una drammatica miseria generalizzata. Pertanto considero un punto fermo per il buon andamento dell’economia, la necessità di una sufficiente massa monetaria disponibile» (1).

Il punto è capire se le banche sono parte di una cospirazione che mira a gonfiare o deprimere l’offerta monetaria, per lucrarci sopra, oppure se esistono meccanismi macroeconomici che determinano le fasi di espansione e di restrizione del credito. Un approccio esclusivamente cospirazionista, come quello di molti autori, ai problemi monetari spesso fa perdere di vista sia le acquisizioni scientifiche, ed il dibattito in corso tra le varie scuole economiche, sia la realtà più pregnante quando si parla di scienze umane – e l’economia è una scienza umana –, ossia la natura dell’uomo che, imperfetta (teologicamente si direbbe “ferita”), è sovente preda di febbri “millenariste” prodotte dal miraggio del denaro facile che pratiche creditizie ambigue e speculazioni finanziarie consentono di lucrare a danno del prossimo e della Comunità Politica. Non esitiamo a chiamare questa perversa pulsione dell’uomo con la denominazione con la quale il vecchio Catechismo tridentino la definiva ossia “peccato di avarizia” (2).

La Teoria quantitativa della moneta nella lettura “umanista” di Fisher ed Allais

Secondo la Scuola di Vienna (Hayek e Mises) la moneta – considerata, alla stregua dell’antesignano del liberismo Adam Smith, soltanto una merce alla pari delle altre – sarebbe un fattore esogeno al sistema economico la cui quantità eccessiva (per colpa dello Stato sociale, della spesa pubblica e degli aumenti salariali) comporterebbe inflazione, aumento dei prezzi, calo della fiducia nel valore del denaro con conseguente depressione degli investimenti ed aumento della disoccupazione (3). Ergo per far riprendere l’economia si deve tagliare la spesa pubblica, ridurre o eliminare il Welfare, contenere la spinta salariale. In una parola bisogna praticare politiche di “austerity”. E’, questo, il programma tipico del liberismo, vecchio e nuovo (monetarismo).

Alla radice delle analisi della Scuola di Vienna, quale massima esponente nel XX secolo dell’ortodossia economica liberale, c’è la cosiddetta “Teoria quantitativa della moneta”, detta anche Teoria della moneta esogena. Secondo tale teoria i prezzi aumentano o diminuiscono seguendo l’andamento dell’aumento o della diminuzione della massa monetaria in circolazione sicché la causa principale dell’inflazione è l’eccesso di offerta monetaria da parte innanzitutto della Banca Centrale – ossia nella visione “viennese” dello Stato – ed in secondo luogo, come andiamo immediatamente a vedere per alcuni pensatori che pur formatisi in alveo liberale hanno declinato in senso “sociale” il loro iniziale liberalismo, delle banche ordinarie (4). Stiamo parlando di Irving Fisher e Maurice Allais, quest’ultimo premio Nobel per l’economia, i quali hanno elaborato la loro pungente e condivisibile critica agli abusi del sistema bancario presupponendo come valido strumento di analisi la predetta Teoria quantitativa della moneta (5).

Sia Fisher che Allais, infatti, partono dai postulati di tale teoria per criticare il sistema della riserva frazionaria e, come rimedio a detto abuso, propongono normative che costringano le banche a prestare soltanto quanto da esse effettivamente posseduto in depositi. In tal modo si eviterebbe il formarsi di “bolle finanziarie speculative”, le quali hanno la loro origine primaria, affermano Irving Fisher e Maurice Allais, nella pratica bancaria della “riserva frazionaria”, ossia dei prestiti più che proporzionali rispetto all’ammontare effettivo dei depositi posseduti. Una pratica che alimenta l’effetto moltiplicatore del denaro fino a crearne di nuovo sotto forma di promesse di pagamento bancario ossia di prestiti erogati senza effettiva copertura, sottostante, di denaro reale. Il sistema della “riserva frazionaria” è all’origine della formazione anche dei cosiddetti “derivati”, ossia di quei contratti, frutto dell’ingegneria finanziaria protesa al profitto speculativo più immediato, che hanno quale base un altro contratto, o una azione, o un bene reale, o ancora un altro derivato, oppure un titolo di Stato, od altro, ma che per la dinamica speculativa, propria di un’economia di borsa autoreferenziale e progressivamente senza più legami con l’economia reale, acquistano valore economico indipendentemente dal valore del “sottostante” fino ad essere contrattati per conto loro ed a costituire una piramide economica cartacea, denominata appunto “bolla”, che crollando, ossia esplodendo, brucia ingenti risorse finanziarie. Le ricorrenti esplosioni delle bolle finanziarie si ripercuotono sull’economia reale desertificandola ovvero prosciugandola di liquidità (i mutui “subprime”, che sono stati all’origine dell’attuale crisi finanziaria globale, erano, per l’appunto, dei derivati).

Per porre fine al sistema della “riserva frazionaria”, Irving Fisher propose, nel suo testo del 1936 «100% money», che le banche siano obbligate a prestare soltanto quanto effettivamente sono in grado di raccogliere sul mercato e che quindi effettivamente possiedono nei loro depositi. Sulle orme di Irving Fisher e dell’economista liberale ottocentesco Clement Juglar, Maurice Allais, dal canto suo, ha avanzato una proposta di riforma bancaria che contempla l’esistenza di due tipi di banche, quelle cosiddette di deposito e quelle cosiddette di investimento. Mentre le prime si occuperebbero soltanto della custodia del denaro depositato dai loro clienti senza alcuna possibilità di fare prestiti, sicché dovrebbero essere questi ultimi, i depositanti, a pagare la banca per il servizio di custodia (analogamente a quanto fa chi deposita il proprio bagaglio presso il bagagliaio di una stazione ferroviaria per esservi custodito per un certo tempo), le seconde, invece, sarebbero le uniche autorizzate ad effettuare prestiti, lucrandone gli interessi, agli operatori economici ed alle famiglie ma senza più riserva frazionaria ossia prestando soltanto quanto effettivamente da esse raccolto tra i risparmiatori. O meglio, quanto raccolto da quei risparmiatori che, depositando presso di esse il loro denaro, sanno già in anticipo che esso sarà destinato ai prestiti e quindi rinunciano ad ottenerlo indietro, caricato degli interessi, per un certo tempo secondo quanto pattuito con la banca al momento del deposito. Al fine di evitare, appunto, che i prestiti siano effettuati mediante riserva frazionaria, la riforma bancaria di Maurice Allais prevede che le banche di investimento possano effettuare soltanto «prestiti a medio/lungo termine assicurati da fondi di prestito a scadenze maggiori o tutt’al più alla stessa scadenza». In altri termini, i prestiti concessi dalle banche di investimento dovrebbero avere una scadenza più breve, o almeno pari, di quella dei depositi esistenti nelle loro casse, in modo da essere sempre sicuri che i prestiti non creino moneta bancaria dal nulla ossia dall’assenza di copertura degli stessi con moneta legale effettivamente posseduta dalle banche (6).

Queste soluzioni, quella di Irving Fisher e quella di Maurice Allais, hanno alla base lo schema per il quale sono i depositi a creare i prestiti, che è poi il postulato della Teoria quantitativa della moneta. Si tratta di una applicazione della legge classica del Say, in gran parte confutata, per quanto riguarda l’economia reale non monetaria, da John Maynard Keynes. Secondo la “Legge del Say” è l’offerta a crearsi la propria domanda (7). Si afferma cioè, in ambito monetario, che sarebbe l’offerta di denaro – ossia il complesso costituito dall’emissione della moneta legale, da parte della Banca Centrale, dal risparmio depositato nelle banche e dall’entità della riserva legale cui sono obbligate le banche stesse – a creare la domanda di denaro. L’offerta di denaro, poi, sarebbe influenzata dal tasso di sconto, ossia dal saggio di interesse praticato dalla Banca Centrale alle banche ordinarie all’atto della monetizzazione delle stesse da parte della prima: l’interesse che le banche, a loro volta, praticheranno al pubblico sarà necessariamente superiore al tasso di sconto.

Partendo da questa prospettiva, classica ossia liberale, tuttavia Maurice Allais, in questo discostandosi dall’ortodossia economica liberale che generalmente, in rigida osservanza del “laissez faire”, si disinteressa completamente degli effetti dell’attività bancaria sull’economia reale (salvo la feroce critica “viennese” alle Banche Centrali, erroneamente identificate con lo Stato o ritenute comunque sempre strumento della politica monetaria dei Governi intenti, secondo la visione hayekiana, a deformare, con illegittimi interventi politici, le intoccabili leggi, presunte “naturali”, del libero mercato, anche monetario), ne desume, coraggiosamente, che deve essere lo Stato e non il sistema bancario a creare ed offrire al mercato la moneta legale necessaria, vietando la creazione di moneta bancaria e di qualsiasi forma di pagamento eccedente la base monetaria emessa dalla Banca Centrale.

L’intuizione allaisiana per la quale lo Stato deve riappropriarsi della sovranità monetaria, togliendola al sistema bancario, è giusta. Il punto debole della proposta di Allais è, però, costituto da una sorta di implicito ritorno al “Gold Standard”, sotto forma di vincolo restrittivo all’emissione, statuale, di denaro (8). E’ questa, nel pensiero di Allais, una evidente eredità della scuola viennese. Certo nulla vieta, nella prospettiva allaisiana, che lo Stato emetta più denaro di quanto necessario al mercato, inducendo un po’ di inflazione da monetizzazione, per ottenere, con immissione di maggior liquidità, un aumento di produttività mediante aumento della domanda. Ma, nell’ottica “viennese” da cui dipende Allais, la norma è pur sempre quella della pedissequa parità tra quantitativo di moneta emessa e quantitativo di beni e servizi prodotti, ossia di capacità produttiva dell’economia di una nazione.

La Teoria endogena della moneta

Anche Keynes, nel formulare il suo pensiero, accettò come presupposto la Teoria quantitativa della moneta, benché in una prospettiva per la quale gli effetti inflazionistici, dello stampare moneta per gli investimenti pubblici diretti a sostenere la domanda aggregata, si registrerebbero solo alla lunga, e talvolta alla lunghissima, distanza, ossia solo a pieno impiego, o quasi, conseguito. John Maynard Keynes è stato, nel XX secolo, colui che rivoluzionò la scienza economica affermando, contro Say e contro quanto sostenevano i classici per i quali è l’offerta a creare la domanda, che invece è la domanda a creare l’offerta. In effetti, nessuno si mette a produrre un bene se di quel bene non vi è domanda. Che poi la domanda si possa indurre o “drogare”, ed a questo serve la pubblicità, è altra questione che non inficia il principio. Che poi sia necessario anche assicurare condizioni idonee perché l’offerta possa manifestarsi (ad esempio, assicurando la sicurezza pubblica, la certezza del diritto o una giustizia civile celere, etc.) è altrettanto vero senza che il principio keynesiano ne resti inficiato.

Ora sulla base di questa scoperta keynesiana, gli autori postkeynesiani e neokeynesiani, tra i quali spiccano in particolar modo Nicholas Kaldor, Randall Wray e Hyman Minsky, hanno elaborato un modello diverso dalla Teoria quantitativa della moneta. Si tratta della cosiddetta “Teoria endogena della moneta”. Secondo questa prospettiva l’offerta di moneta bancaria dipende dalla domanda di moneta delle imprese e delle famiglie. E’ una applicazione del principio per il quale la domanda crea l’offerta. La sequenza non sarebbe dunque depositi – prestiti ma, al contrario, prestiti – depositi. Ovvero, a fronte della domanda di moneta, sempre inevitabilmente eccedente la base monetaria emessa dalla Banca Centrale la quale quasi mai, per una molteplicità di fattori, è in grado di individuare l’effettivo fabbisogno monetario del sistema nel suo complesso, sono le banche, mediante la “creatio ex nihilo” di moneta bancaria (promesse di pagamento sotto le più svariate forme), a soddisfare la domanda. Ciò che permette di soddisfare la domanda è il potere delle banche di creare moneta bancaria dal nulla. Quando una impresa chiede un prestito la banca emette un “pagherò” ben prima di aver raccolto, in termini di depositi (risparmi) o di moneta accreditata dalla Banca Centrale (riserva legale), l’equivalente monetario ossia la copertura reale del prestito concesso. L’impresa userà il prestito, ottenuto sotto forma di promessa di pagamento, investendolo nella produzione e quindi ricavandone un profitto con il quale, in parte, andrà a saldare il prestito coprendo, in tal modo, ossia in un momento successivo a quello di concessione del prestito, il relativo deposito bancario. In altri termini la copertura monetaria reale del prestito, mediante la copertura del deposito bancario aperto in favore del mutuatario, arriva dopo la concessione del prestito medesimo.

La Banca Centrale, secondo gli “endogenisti”, può controllare la creazione di moneta bancaria non tanto attraverso l’obbligo della riserva legale, aumentando o diminuendo la misura di tale riserva, quanto piuttosto attraverso il tasso di interesse con cui essa sconta il denaro alle banche, perché in tal modo aumentando o diminuendo tale tasso di sconto influenza anche il tasso di interesse con cui le banche offrono denaro alle imprese e quindi influenza, alla fine, la domanda di moneta (9).

Corollario di tale teoria è quello per il quale l’inflazione, a differenza di quanto sostiene la Teoria quantitativa propugnata dal monetarismo neoliberista, non dipende dalla quantità della massa monetaria (moneta legale emessa dalla Banca Centrale + moneta bancaria emessa dalle banche ordinarie) perché quest’ultima dipende, per definizione, dalla domanda che ne crea, appunto, l’offerta (benché poi rimane necessario, a beneficio dell’economia reale, praticare politiche penalizzanti per quella parte di domanda di moneta volta a scopi speculativi o improduttivi). L’inflazione, per detto modello, deriva essenzialmente dall’aumento dei costi di produzione (inflazione da costi), quindi da un aumento del costo di materie prime o di energia, talvolta dei salari, ma non dalla quantità della massa monetaria, di base e/o bancaria, in circolazione. Ed in effetti i recenti “quantitative easing” con cui la Fed americana ha inondato il mercato di liquidità, nonostante siano passati già quasi dieci anni dal loro inizio, non si sono tradotti affatto in inflazione o iperinflazione. Sono, quindi, gli effettivi fabbisogni socio-economici, ossia la domanda, a determinare la creazione di moneta e ciò, in fondo, vale anche per lo Stato, il quale è uno degli attori della domanda di moneta per soddisfare la domanda sociale di servizi ed investimenti pubblici. Però, mentre, come accade ora, lo Stato, in un regime liberista di indipendenza e di privatizzazione della Banca Centrale, è costretto a chiedere la monetizzazione del suo fabbisogno ai mercati finanziari, unici acquirenti, in tale regime, dei suoi titoli di Stato, al contrario, in un regime di non indipendenza e di pubblicizzazione della Banca Centrale, lo Stato si troverebbe nella singolare posizione, legittimata dalla sua naturale sovranità politica, di essere ad un tempo sia dalla parte della domanda che dell’offerta di moneta. Una situazione che solo i liberisti, culturalmente incapaci di persino concepire cosa sia una Comunità Politica (Margaret Thatcher: “esistono solo gli individui, non la società”), possono disprezzare come monopolista.

Nel caso giapponese (decennio 2000 – 2010), citato agli inizi, dunque bisogna verificare se la restrizione del credito sia stata determinata da una cattiva volontà o da poca fiducia da parte delle banche oppure, dato il meccanismo di creazione monetaria di tipo endogeno, da una preventiva contrazione della domanda di moneta a causa di una recessione determinata da altri fattori, innanzitutto da un calo della domanda aggregata stante la tendenza insita nel mercato lasciato libero, ossia governato dal solo “laissez faire”, ad avvitarsi su sé stesso, ossia la tendenza a fallire nella presunta sua capacità di automatico e spontaneo riequilibrio.

Nella prospettiva “endogenista” lo Stato deve vigilare costantemente da un lato sul comportamento delle banche che sono creatrici di moneta e dall’altro sulla domanda di moneta affinché essa non si riduca. Tuttavia, a questo punto, ci si dovrebbe chiedere, proprio alla luce della teoria endogena della moneta, perché mai il potere di creazione ex nihilo di moneta debba essere lasciato alle banche private, viste anche tutte le sue implicazioni sia economiche, in termini di condizionamento della produzione, sia metafisiche: il potere creativo, qualunque potere creativo, dell’uomo – come anche la medesima intelligenza umana – slegato dal suo fondamento etico, ossia da un uso conforme alla sua essenza di dono di un più alto Amore per uno scopo di condivisione fraterna e di redistribuzione universale dei beni, si rovescia inevitabilmente in un prometeismo nichilista, che nella libido dominandi dell’egoismo, supposto motore dell’economia, distrugge ogni relazionalità umana (10).

La comune prospettiva alla luce dell’affermazione necessaria della Sovranità monetaria della Comunità Politica

Sia il pensiero di Irving Fisher e di Maurice Allais, da un lato, ancora ancorato alla classica Teoria quantitativa della moneta, sebbene in una lettura del tutto peculiare e dai risvolti “umanisti”, sia il pensiero di Nicholas Kaldor, Randall Wray e Hyman Minsky, basato sulla più moderna Teoria endogena, appaiono, sotto un certo profilo, come due modi diversi di leggere lo stesso fenomeno, visto però da latitudini differenti. Per il primo, nella sequenza sinallagmatica tra offerta e domanda di moneta, vengono prima i depositi e poi i prestiti, mentre per il secondo vengono prima i prestiti e poi i depositi. Però entrambi concordano sul fatto che il sistema bancario crea moneta dal nulla esercitando un potere incontrollato sull’economia (anche nella prospettiva endogenista non è affatto indifferente l’atteggiamento delle banche in termini di “preferenza per la liquidità”, nei periodi di recessione, ossia la loro scarsa propensione a concedere prestiti, nonostante la forte domanda di moneta, oppure la loro propensione a tesaurizzare gli accrediti di moneta legale ad esse concessi dalla Banca Centrale, come è accaduto con il LTRO di Mario Draghi quando la BCE ha monetizzato, a interessi bassissimi, le banche ma queste, anziché sostenere l’economia reale, hanno preferito, per paura della crisi, o depositare il denaro così ricevuto presso la stessa BCE o comprare titoli di Stato ad alto interesse, lucrando nell’uno e nell’altro caso sulla differenza del tasso di interesse, ossia guadagnando denaro da denaro senza alcun sostegno agli investimenti produttivi).

Le due teorie hanno questo di comune: il mettere in evidenza il potere bancario di creatio ex nihilo, un potere che è a doppio taglio, potendo essere usato per il bene comune oppure per il predominio di alcuni sugli altri, dei forti sui deboli. La questione, infatti, alla fine è soprattutto antropologica, e quindi teologica, ed ha a che fare con la natura umana perché ogni strumento, per quanto esso sia comunque capace di influenzare l’utilizzatore, resta sempre primariamente appeso alle scelte di fondo che ne regolano l’uso e queste scelte, comprese quelle dell’Autorità Politica che, stante l’imperfezione (teologicamente la “ferita”) della natura umana, è pur legittimata a perseguirle con mezzi anche coattivi, dipendono, in ultimo, dal grado di apertura del cuore umano all’Amore Trascendente.

Quindi è necessario, anzi, in un’ottica di Rivelazione, è di ordine naturale, dunque afferente al Politico, che sia la Comunità Politica ad esercitare questo potere di creazione monetaria – naturalmente con i vincoli (che poi in concreto si traducono in doverose ed opportune forme di controllo e sindacato da parte dei governati sull’Autorità politica) derivanti dalla stessa natura non onnipotente della Comunità Politica e pertanto, ad esempio, solo in funzione della spesa di investimento – nazionalizzando o pubblicizzando l’Istituto di Emissione e, contemporaneamente, sottoponendo l’intero sistema bancario a stringenti normative e regolamentazioni finalizzate ad impedire alla creazione di moneta bancaria di deviare dalla sua funzione di soddisfazione della domanda di moneta, per invece cadere nella pura speculazione e nel parassitismo della rendita da interesse slegata dalla produzione e dall’economia reale. Nella prospettiva endogenista, come integrata dalla nostra proposta di “pubblicizzazione” della Banca Centrale (mediante nazionalizzazione, dovendo essere l’autonomia dell’Istituto di Emissione soltanto tecnica senza surrogare la decisione politica) e di stringente regolamentazione del sistema bancario, sarebbe superato il punto debole, di eredità “viennese”, proprio alle soluzioni avanzate da Maurice Allais, ossia quello di reintrodurre vincoli restrittivi di liquidità che rischiano sempre di portare il sistema verso la deflazione, realizzando, però, al tempo stesso, l’auspicio dell’economista francese di vedere riaffermato in modo chiaro, forte ed indiscutibile la sovranità monetaria dello Stato. E senza cadere in rischi di iper-inflazione.

Luigi Copertino

NOTE

1)Cfr. A. Cavalleri “Perché il denaro-debito non funziona” in Effedieffe 17.05.2014.

2)Il peccato di avarizia non consiste, secondo l’antica casistica, soltanto nell’attaccamento morboso a quanto si possiede ma anche, ed innanzitutto, nell’ansia di ottenere ancor di più, sempre di più, di quanto si possiede, in una affannosa ricerca dei sistemi migliori per aumentare a dismisura le proprie ricchezze senza più alcun collegamento con le necessità primarie o un certo grado di benessere tale da consentire la “buona vita” ossia il potersi dedicare, senza eccessive preoccupazioni materiali, a tutto ciò che rende la vita degna di essere vissuta, cultura, spiritualità, relazionalità, amore, etc.

3)Per i “viennesi” la responsabilità della distorsione inflattiva del valore del denaro, da essi considerata una vera e propria truffa o una illecita ed occulta tassa, sarebbe delle Banche Centrali che in quanto strumenti degli Stati si dimostrano inevitabilmente prone, mediante la stampa di denaro ed i bassi o fittizi tassi di interesse da esse praticate ai Governi nell’acquisto dei Titoli di Stato, a monetizzare in eccesso ovvero a gonfiare il fabbisogno di denaro oltre quanto effettivamente necessiterebbe al mercato. Dimenticano i “viennesi” quanto invece avevano ben presente Karl Marx ed Ezra Pound ossia che sin dal loro comparire, coincidente con la nascita nel 1694 della Banca d’Inghilterra, le Banche Centrali sono sempre state club privati di affaristi intenti a lucrare interessi dal denaro creato dal nulla dopo aver ottenuto dai Sovrani il monopolio dell’emissione monetaria, che per sua natura dovrebbe essere pubblico ossia dello Stato. Soltanto nella prima metà del XX secolo, fino alla rivoluzione neoliberista di Reagan e della Thatcher, le Banche Centrali furono nazionalizzate o comunque pubblicizzate per farne strumento delle politiche keynesiane di deficit spending. Ma dopo quel breve periodo esse tornarono ad essere private conquistando per di più l’assoluta autonomia, dai governi, nelle scelte di politica monetaria sicché oggi esse sono diventate, almeno in Europa, lo strumento del monetarismo neoliberista e non monetizzano più gli Stati, abbandonati alla mercé dei mercati finanziari e della speculazione. A coloro che attualmente, di fronte allo strapotere assunto dalle banche ordinarie, creatrici come vedremo di “moneta ex nihilo”, auspicano la restituzione del potere di creazione monetaria alla sola Banca Centrale vogliamo, da parte nostra, ricordare che ciò non sarebbe sufficiente se poi questa resta privata. E’ necessario, come fece l’Italia fascista nel 1936 e l’America di Roosevelt nello stesso periodo, pubblicizzarla, nazionalizzarla. Un tentativo ripetuto da Giulio Tremonti, qualche anno fa, e mai poi attuato per mancanza di regolamenti esecutivi della legge tremontiana. In compenso i governi successivi (Monti, Letta e Renzi) hanno ben pensato di ricapitalizzare la Banca d’Italia al fine di indirettamente ricapitalizzare le banche private proprietarie della prima in vista dei stress test di Mario Draghi. Operazione che in concreto ha significato far superare i test europei alle banche private italiane con i soldi pubblici dei cittadini contribuenti.

4)Checché ne dica la scuola monetarista, le cause dell’inflazione, ossia dell’aumento dei prezzi, sono molteplici e diverse. A volte esse agiscono insieme, altre volte separatamente. Non sempre l’inflazione è dovuta, come invece sostiene il monetarismo, all’aumento della massa monetaria. L’inflazione può essere dovuta al rarefarsi delle materie prime, il cui aumento di prezzo si ripercuote sull’aumento dei costi di produzione con conseguente aumento dei prezzi, pur restando invariata la massa monetaria (cosiddetta “inflazione da costi”). Oppure, secondo la scuola keynesiana, può essere causata da un eccesso di domanda sull’offerta che provoca, data la rarità dei beni richiesti, un aumento dei prezzi almeno fino a quando la produzione di tali beni non riesce ad eguagliare la domanda (cosiddetta “inflazione da domanda”). L’inflazione dei cosiddetti “assegnati” durante la Rivoluzione Francese (gli “assegnati” erano moneta cartacea coperta dai “beni nazionali”, ossia dalle terre espropriate alla Chiesa, ed emessa in misura oltre che più che proporzionale rispetto al valore dei beni posti a copertura) e l’inflazione del marco nella Germania del 1920-23, a causa dell’eccesso di stampa di moneta, dovuta alle imposizioni del Trattato di Versailles in tema di riparazioni di guerra, cui l’atteggiamento vendicativo di Francia ed Inghilterra costrinsero la Germania, sono esempi di inflazione monetaria. L’inflazione che colpì l’Occidente negli anni ’70 del XX secolo, a causa dell’aumento del prezzo del petrolio, provocato dal rarefarsi di detta materia prima in concomitanza con la crisi militare e politica arabo-israeliana, è un esempio di inflazione da costi. L’aumento del prezzo delle patate conseguito alla grande carestia che colpì l’Irlanda tra il 1845 ed il 1849, quando a causa di un fungo, la peronospora, (complice anche la criminale politica coloniale liberoscambista inglese) che distrusse i raccolti, ed a causa dell’incremento demografico registratosi nei decenni precedenti, la domanda di patate superò di gran lunga l’offerta disponibile, è un esempio di inflazione da eccesso domanda (un eccesso certo dovuto a restrizione calamitosa dell’offerta ma pur sempre relativo alla domanda).

5)Irving Fisher fu docente di economia all’Università di Yale. Egli tuttavia iniziò a riflettere sul problema monetario solo a seguito del Grande Depressione del 1929. Fino a quell’anno, anzi, egli era un entusiasta sostenitore del sistema finanziario così come esso era senza nulla capire di quanto si andava profilando. Persino quando i primi sintomi dello tsunami in arrivo iniziarono a manifestarsi, Fisher con pubbliche dichiarazioni di stampa tranquillizzò a più riprese gli americani affermando che il mercato azionario era sano e che si poteva con serenità continuare a speculare, tanto i titoli non si sarebbero fermati nella loro ascesa. In proposito, circa le fallite “profezie” di Irving Fisher, si consiglia la lettura del classico di J. K. Galbraith “Il Grande Crollo” (Bur, Milano, 2003): un testo che fa comprendere, tra l’altro, alla luce del grande crollo del 2008, come il genere umano, offuscato da un velo di oscura avidità, non apprenda in alcun modo dai propri errori. Infatti l’avidità conduce le persone ad attuare comportamenti speculativi opportunistici nel breve periodo, alimentando quindi la probabilità di crisi finanziarie. Per quanto riguarda Maurice Allais, scomparso recentemente nel 2010, egli iniziò la sua carriera come ingegnere e statistico per poi approdare agli studi economici fino a conseguire il Nobel, non però per le sue proposte di riforma bancaria, tese a moralizzare il credito, ma per altro genere di studi di economia. Maurice Allais fu co-fondatore, negli anni ’50, insieme a von Hayek e von Mises, della Mont Pelerin Society, un club liberista che, in piena epoca di egemonia del pensiero keynesiano, si faceva portavoce della scuola economica classica. Tuttavia, Allais ben presto si allontanò dalle posizioni liberiste “integraliste” dei “viennesi” per approdare su posizioni definibili liberal-sociali e che egli invece preferiva chiamare “umaniste”. Valente indagatore delle oscurità del potere finanziario ma, erede della scuola viennese, ossia liberale, ha conservato troppa fiducia – riforma monetaria a parte – sulla capacità autoregolativa del mercato, anche di quello azionario e finanziario. In altre parole, benché le proposte di riforma del sistema bancario avanzate da Fisher ed Allais abbiamo aspetti di notevole interesse e quindi di auspicabile realizzazione, riteniamo che il banco-centrismo, ossia la finanziarizzazione dell’economia, non possa essere efficacemente combattutasenza tornare a praticare politiche di “repressione finanziaria”, ossia senza costringere la finanza ad operare esclusivamente al servizio degli Stati e dell’economia reale. Politiche che gli Stati, proprio a seguito del 1929 e della“rivoluzione keynesiana”, praticarono per decenni e che assicurarono quella stabilita finanziaria che fu alla base, nel dopoguerra, del “miracolo” economico dell’Europa occidentale. “Repressione finanziaria” significa molte altre cose insieme alla pur auspicabilissima riforma bancaria di Fisher ed Allais.

6)Circa la proposta di Maurice Allais, si legga il suo interessante saggio, disponibile anche sul web, “La crisi mondiale dei nostri giorni” originariamente pubblicato su “Le Figarò” del 12, 19, e 26 ottobre 1998. In detto saggio, tra l’altro, Maurice Allais analizza puntualmente l’eccessivo aumento di crediti, ossia di prestiti bancari senza correlativa copertura di depositi, da cui fu caratterizzata l’economia surriscaldata degli Stati Uniti nel corso dei ruggenti anni ’20, quando il valore dei titoli azionari cresceva esponenzialmente, dando l’impressione di una crescita infinita e stimolando la febbrile euforia a tal punto che tutti giocavano in borsa, persino le cameriere d’albergo, e la professione dell’agente di borsa divenne tra le più redditizie. L’analisi storica di Maurice Allais, che concorda in gran parte con quella di un altro indagatore delle cause del 1929, il già citato J.F. Galbraith, evidenzia che alla base della bolla speculativa, che poi causò, scoppiando, la Grande Depressione, ci fu il troppo facile credito senza contropartite e garanzie reali che fornì la liquidità necessaria all’impennata speculativa.

7)Legge economica, quella postulata alla fine del XVIII secolo, da Jean Baptise Say, per la quale l’offerta si crea la propria domanda in quanto l’imprenditore salariando il lavoratore realizza, insieme al suo profitto, i presupposti reddituali perché la domanda possa essere soddisfatta. Due secoli più tardi un altro imprenditore, l’americano Henry Ford, di note idee stupidamente antisemite, si fece propugnatore del miglioramento salariale dei suoi operai quale presupposto di sostegno della domanda e quindi di garanzia per l’offerta ossia per i profitti imprenditoriali (nulla dunque di caritatevole o filantropico ma solo di utilitario pro domo sua). Ford, il quale fu anche l’inventore della catena di montaggio che caratterizzò l’industria prima della rivoluzione tayloristica e della robottizzazione, sosteneva che egli doveva pagare i suoi dipendenti in misura tale che essi potessero comprare, magari a rate, l’auto che producevano. In tal modo, però, Ford smentiva, praticamente, il postulato del Say dichiarando che, proprio perché il capitalista tende inevitabilmente a comprimere il costo del lavoro, l’offerta non è effettivamente in grado di crearsi la sua domanda. La legge del Say corrisponde alla realtà dei fatti economici solo in minima parte, dal momento che, essendo scopo primario dell’imprenditore quello di lucrare un profitto al netto dei costi di produzione ad iniziare da quello del lavoro, il reddito dal lato della domanda, ovvero del lavoro, senza una regolazione normativa e contrattuale ossia sindacale, viene compresso a favore dei profitti. Nei sistemi liberisti, caratterizzati dal “laissez faire”, il potere di acquisto, che è base della domanda, si presume garantito dal primato dell’offerta, lasciata libera, di incontrarsi con la domanda alle condizioni da essa offerta stabilite. In realtà, laddove l’offerta egemonizza la domanda, il potere di acquisto è garantito soltanto in misura molto contenuta e meno che proporzionale al prezzo di mercato del prodotto ricomprendente, quest’ultimo, anche il margine o saggio di profitto imprenditoriale del capitale. Da ciò si desume che in regime di libertà del mercato del lavoro, come quello auspicato a suo tempo dal Say e dopo di lui da tutti i liberisti, l’offerta crea non la domanda, ma comprimendo quest’ultima a vantaggio immediato e cieco del profitto, soltanto, alla lunga, i presupposti delle giacenze produttive e del fallimento del “libero mercato” ossia delle recessioni. Già Thomas Robert Malthus – un cinico razzista e classista ante litteram che propugnava la castrazione dei poveri e delle razze non anglosassoni, onde impedire agli uni ed alle altre di riprodursi, come rimedio alla soprapopolazione (idea attualmente ripresa dall’O.N.U. quando propugna l’estensione più vasta possibile delle pratiche anticoncezionali ed abortive nei Paesi del Terzo Mondo) e come rimedio alla presunta scarsità di risorse naturali sufficienti per tutti – aveva osservato, contro Say, che non è affatto automatico che il reddito erogato dall’imprenditore sia poi effettivamente tutto speso dai lavoratori, i quali potrebbero preferire risparmiare, o che i ricchi spendano in misura sufficiente a sostenere l’offerta anziché, invece, tesaurizzare. Sviluppando queste critiche maltusiane, più tardi, Keynes elaborò le sue idee in tema di “preferenza per la (o trappola della) liquidità”, individuando la generale tendenza alla tesaurizzazione che si manifesta soprattutto in tempi di crisi (cosa che rende di poca efficacia, rispetto al deficit spending keynesiano, la politica liberista dei tagli fiscali), per poi concludere che l’offerta non è affatto capace di crearsi la sua domanda come pretendeva Say.

8) Il “Gold Standard” è stato il regime arcaico della moneta che originariamente nasce in forma metallica, aurea o argentea. Successivamente, in età medioevale, i cambiavalute hanno introdotto la moneta cartacea, la “banconota” ossia la nota del banco, garantita nel suo valore dai depositi bancari di oro ed argento. Le Banche Centrali, in regime di sistema aureo, erano legate, nell’emissione di moneta cartacea, all’ammontare dei depositi aurei da esse detenuti sulla base di un cambio fisso tra unità monetaria cartacea ed unità, oncia, di oro. E’ evidente che questo sistema deprimeva la possibilità di far circolare maggior liquidità e quindi sviluppare produzione e scambio, senza al contempo assicurare il mercato in modo assoluto dal rischio di inflazione dal momento che un aumento dell’oro a disposizione, come accadde quando gli Spagnoli importarono in Europa ingenti quantità di oro dal Nuovo Mondo appena scoperto, oppure un aumento del prezzo dell’oro comportava modifica del cambio moneta-oro con conseguente modifica della massa monetaria e dell’inflazione da circolante. Un po’ alla volta si comprese che con l’introduzione del corso legale della cartamoneta – quindi dell’obbligo di usare la moneta emessa dallo Stato, o meglio dalla Banca Centrale a ciò autorizzata dal Sovrano, quale unico mezzo di pagamento fiscale – non era più necessaria alcuna copertura aurea della cartamoneta dal momento che il suo valore era determinato dal mix dell’accettazione fiduciaria, ormai consolidatasi nel corso dei secoli, da parte del pubblico e dell’imposizione del corso legale. Lo stesso Keynes, nella conferenza di Bretton Woods, si dichiarò convinto che il Gold Standard fosse un reperto archeologico ma, nei lavori di detta conferenza, le potenze vincitrici del secondo conflitto mondiale, preferirono mantenerlo legando all’oro la copertura del dollaro statunitense scelto come moneta degli scambi internazionali (Keynes aveva invece proposto, sia per evitare l’egemonia americana assicurando un qualche peso alla sua patria inglese, il cui impero mondiale era in via di sostituzione da parte di quello americano, sia per ragioni di equità tra i popoli, una moneta internazionale comune, a fianco delle varie monete nazionali, il “bancor”). Il Gold Standard aveva avuto già una prima parziale abolizione negli anni ’30, quando a seguito della crisi del 1929, molte nazioni lo abbandonarono, lasciando fluttuare liberamente il cambio della loro valuta nazionale. Esso cessò completamente di operare, dopo la temporanea restaurazione di Bretton Woods, nel 1971 allorché Nixon dichiarò unilateralmente la inconvertibilità in oro del dollaro, moneta usata a copertura delle altre negli scambi internazionali, decretando la fine degli accordi monetari del 1944.

9)Al fine di rendere con maggior plasticità tecnica quanto detto fin qui, proponiamo al lettore una lunga, ma a nostro giudizio necessaria, citazione da un articolo di Randall Wray nel quale vengono spiegate le tesi di Hyman Minsky in tema di endogenità della moneta: «Dagli anni ’20 si è sviluppato un equivoco tipicamente americano, secondo il quale la quantità di riserve bancarie emesse dalla Fed (la Banca Centrale statunitense, ndr) sarebbe in qualche modo in grado di controllare i prestiti bancari e la creazione dei depositi. Questa è stata chiamata la teoria della “moneta esogena” (l’offerta di moneta è “esogena”, controllata dalla Banca Centrale attraverso la limitazione della quantità di riserve in dotazione). E’ diventato il punto di partenza per il monetarismo di Milton Friedman che alla fine si è concluso nel disastroso Grande Esperimento Monetarista dei primi anni ’80 negli Stati Uniti e nel Regno Unito, in cui le Banche Centrali tentarono formalmente di controllare la crescita dell’offerta di moneta. Non funzionò, e dal 1990 gli obiettivi monetari sono stati completamente abbandonati da tutte le Banche Centrali dei paesi sviluppati. C’era poi un’altra tradizione, che risale alla Banking School dei primi del 19° secolo, passando attraverso Marx e Keynes, fino a Schumpeter, Gurley e Shaw, Minsky, N. Kaldor, B. Moore e, infine, al sottoscritto, alla fine degli anni ’80. Si chiama approccio della “moneta endogena” che insiste sul fatto le Banche Centrali non possono controllare la creazione di moneta da parte delle banche private attraverso il controllo sulle riserve. E’ materia troppo complicata e tecnica (…). Ma in estrema sintesi l’idea funziona in questo modo. Le moderne Banche Centrali sono responsabili di un funzionamento regolare del sistema dei pagamenti, che tra l’altro richiede che i debiti bancari siano liquidati “alla pari” (un deposito di un dollaro alla Chase ha lo stesso valore di un dollaro depositato a Bank of America). La Fed fa in modo che gli assegni siano liquidati tra banche e che i depositanti possano … (effettuare prelievi automatici o elettronici in qualsiasi momento ed in qualsiasi quantità, mediante bancomat o il web). Ciò significa che le banche devono disporre di riserve, su richiesta. Quindi il controllo della Fed si basa sul “prezzo”, non sulla “quantità”: può impostare il tasso di interesse al quale presta riserve alle banche, ma non può determinarne la quantità. Inoltre, in pratica, i requisiti di riserva delle banche sono calcolati sulla base dei depositi creati fino a sei settimane prima. Quindi la quantità di riserve che le banche devono tenere, in sistemi … con coefficienti di riserva obbligatoria è sempre una funzione dei depositi storici. Anche in questo caso, il controllo della Banca Centrale avviene sul prezzo, non sulla quantità. Alla fine, le moderne Banche Centrali lavorano sugli obiettivi dei tassi di interesse … il che significa ancora una volta che la Fed può impostare il “prezzo”, quindi fornisce le riserve necessarie per raggiungere l’obiettivo (di tasso di interesse) prefissato. (…). (La Teoria classica sostiene che) le banche non possono emettere assegni “dal nulla”, ma piuttosto devono usare “i fondi che hanno a disposizione”. E, inoltre, le banche sono limitate dal contante che “è in quantità limitata”, secondo le “decisioni della Fed”. Invece, (in base all’)approccio di Minsky (su)lla natura dell’attività bancaria (bisogna domandarsi): che cos’è che fanno le banche? Un deposito bancario è un debito della banca, registrato sul lato delle passività del bilancio della banca. Le banche hanno trilioni e trilioni di dollari di questi debiti nei loro bilanci (negli Stati Uniti ci sono due banche ognuna delle quali da sola ha $ 2 trilioni di questi debiti, e molte altre non sono molto più piccole). Questi debiti sono “passività potenziali”, nel senso che i creditori della banca possono insistere sul “pagamento” o “conversione in contanti” sia a vista (“deposito a vista”), o dopo un certo periodo di attesa (“deposito a tempo”) o dopo un certo determinato evento. (…) sbaglia (chi) pensa (che) … le banche … prendono dei depositi in contanti e poi li prestano ad un tasso di interesse più alto (…). (Chi pensa in tal modo suppone che) le banchetengano una parte del denaro come riserva per soddisfare il ritiro dei depositi (e che) … dal momento che la Fed limita la quantità di contante, il credito bancario è limitato. Ma come potrebbe essere così? In primo luogo … la quantità totale di denaro contante in circolazione è meno di un trilione di dollari (…). Quindi, solo una piccola parte del denaro contante totale è disponibile per le banche come depositi con cui far fronte ai prestiti. Eppure hanno trilioni e trilioni di prestiti nei loro bilanci e hanno almeno altrettanti depositi. Pensate all’ultima volta che siete andati in una banca. Avete portato una carriola di soldi per depositarla, in modo che l’amichevole banchiere possa concedere qualche mutuo? (…). Se ci pensate, è raro vedere qualcuno fare un grande deposito in contanti in qualsiasi banca. A meno che non abbiate un grande business in cash (… ma anche in tal caso) … non ricevereste abbastanza denaro contante da mantenere la vostra banca rifornita di biglietti verdi. In realtà quello che vedo io è che quasi tutti quelli che vanno in banca ritirano cash! Le banche erogano il contante, non lo ricevono per fare prestiti. E allora come può funzionare? Perché ogni volta che le banche hanno bisogno di cash per soddisfare i prelievi, non si rivolgono ai depositi, piuttosto si rivolgono alla Fed. La Fed porta camionate di denaro contante alle banche per rifornire i bancomat. A sua volta, la Fed addebita le riserve bancarie detenute presso la Fed medesima (questi sono solo i “conti correnti” che il sistema bancario privato tiene presso la Fed). Ora, cosa succede se una banca è a corto di riserve, la Fed si rifiuta di inviare il denaro? No. La Fed presta riserve per coprire le esigenze di cassa. In caso contrario, la banca dovrebbe chiudere i battenti – rifiutando di soddisfare le richieste di cassa – cosa che spaventerebbe gli altri depositanti e condurrebbe a una corsa agli sportelli. Dunque, salvo intoppi occasionali, non si trova il bancomat sbarrato o le porte delle banche chiuse a causa della carenza di cassa. Infatti, tutti i testi monetari e bancari … insistono sul fatto che il pubblico non bancario determina la fornitura di cash. Nel momento in cui le banche promettono di pagare a vista, la Fed rifornisce le banche di tutto il n
ecessario per far fronte ai prelievi. E’ la Fed che porta le carriolate di denaro contante alle banche: NON i depositanti. E la Fed rifornisce il denaro NON per fare in modo che le banche possano concedere prestiti. Piuttosto, il contante serve a coprire i prelievi dai depositi. Ma da dove la Fed ottiene le riserve che accredita sui “conti correnti” delle banche (
accesi presso la) Fed? Dal nulla, dalla pressione di un tasto al computer. E da dove la Fed prende le banconote verdi con cui rifornisce i bancomat? Dal nulla, da una pressione di tasti che ordina alla stampante di stampare di più. Avete notato uno schema di fondo? Il denaro è sempre creato dal “nulla”. (…). Qualunque deposito voi facciate nelle banche è quasi sempre un deposito di moneta bancaria. E’ tutta moneta bancaria. Da dove proviene? Beh, dalle banche. Dove l’hanno presa? L’hanno creata. Come? Dal nulla. Guardatela in questo modo. Potete firmare una cambiale al vostro vicino: “Io ti devo cinque dollari”. E’ una vostra passività finanziaria e un’attività finanziaria del vostro vicino. Da dove proviene? Dal nulla. Avete dovuto procurarvi del denaro prima di scrivere la cambiale? No. Dovete avere 5 dollari in contanti in tasca per scrivere la cambiale? No. Ora, dovete “riscattare” il debito ad un certo punto. Il vostro vicino di casa vi presenta la cambiale per la riscossone e dovete tirar fuori i soldi, o firmare un assegno sul vostro conto bancario, o dovrete fornire qualcos’altro di valore che sia reciprocamente accettabile. Quando vi riscattate in maniera soddisfacente, il vostro vicino vi restituisce la cambiale e voi la stracciate. In questo processo, voi “avete creato il denaro” dal “nulla”, il “denaro” era la vostra cambiale denominata in dollari. Il denaro creato viene distrutto quando si ripaga il debito. Ora, si potrebbe obiettare: ma come può essere questo il denaro? Era solo il mio debito detenuto dal mio vicino. E non circolava. Il vicino non poteva comprarci niente. Sì, può essere vero. D’altra parte, è possibile che voi siate ben conosciuti e reputati degni di fiducia in tutto l’intero quartiere. In tal caso, il vicino di casa certamente potrebbe essere in grado di passare la vostra cambiale in pagamento ad un altro vicino di casa (un “terzo”). In tal caso, questo altro vicino può presentarla a voi per il riscatto. Oppure, il vostro vicino potrebbe assumere un ragazzino del posto per falciare il prato, e poi il ragazzo ve la presenta per il pagamento. Così, almeno in teoria, la vostra cambiale potrebbe circolare per pagare debiti o acquistare servizi. Come ha sempre detto Minsky: chiunque può creare denaro, il problema consiste nel far sì che venga accettato. Quello a cui stiamo arrivando è il grado di “liquidità”. Non pretendo che la vostra cambiale sia buona come quella di una banca: chiaramente non lo è. Le banche sono speciali. Fatta eccezione per la moneta del governo, niente svolge le funzioni del denaro come i pagherò dei depositi bancari. Quindi, a meno che non abbiate lo zio Sam dietro di voi, le vostre cambiali saranno “meno liquide” e, quindi, “denaro inferiore” in confronto ai depositi bancari. La posizione (classica, riproposta dal monetarismo, sulla genesi della moneta) … è l’equivalente della fisica del 19° secolo, così superata che non solo è ingannevole, ma addirittura imbarazzante. Le opinioni (monetariste) sul controllo del credito bancario da parte della Banca Centrale attraverso vincoli quantitativi sulle riserve è stata respinta nel corso degli ultimi tre decenni da quasi tutti coloro che lavorano in questo campo. E l’… opinione che le banche ricevono i contanti e poi fanno prestiti è stata abbandonata già nel 19° secolo. (…). Ci sono molti tipi di istituzioni finanziarie. Minsky distingue tra banche commerciali tradizionali, investment banking, banche universali e modelli di holding pubbliche. Una banca commerciale tradizionale fa prestiti solo a breve termine, che sono garantiti da beni nel campo della produzione e della distribuzione. I prestiti vanno a buon fine, non appena le merci sono vendute – questo è il vecchio modello. La posizione della banca è finanziata attraverso l’emissione di passività a breve termine quali depositi a vista e a risparmio (o, nel 19° secolo, banconote). Il collegamento tra banca, “offerta di moneta” e produzione reale è stretto: (questo è) il tipo di relazione supposto dalla teoria quantitativa della moneta. In sostanza, l’azienda si indebita per pagare i salari e le materie prime, con la banca che riceve i depositi bancari a vista dei lavoratori e fornitori. Quando i prodotti finiti sono venduti, le imprese sono in grado di rimborsare i prestiti. Le banche caricano degli interessi più alti sui prestiti rispetto a quello che pagano sui depositi con il margine di interesse netto che è la fonte del profitto delle banche. Si noti che le banche non stanno ad aspettare i depositi per poter prestare. Piuttosto il processo è esattamente l’opposto: la banca accetta la cambiale della ditta che deve pagare i salari e le materie prime, crea quindi un deposito (o ai vecchi tempi, una nota di banco) che l’impresa utilizza per i suoi acquisti. Come dice la teoria della moneta endogena: “i prestiti creano i depositi” … (ovvero) la banca “compra” la cambiale dell’impresa mediante l’emissione dei suoi depositi. Essa “finanzia” la sua posizione nel debito dell’impresa rilasciando il suo proprio deposito a debito. Una volta che l’azienda finisce la produzione e vende l’output, riceve i depositi e li usa per ritirare il suo prestito a breve termine. (…) la ditta “si riscatta” riportando alla banca i pagherò propri della banca; il rimborso del prestito “distrugge” i depositi bancari (i prestiti e i depositi sul bilancio della banca sono addebitati contemporaneamente). Ora è probabile che molte delle vendite dell’azienda siano fatte a consumatori che hanno qualche altra banca, in modo che la ditta riceva assegni bancari (o, ai vecchi tempi, banconote), tratti su altre banche, e li presenta alla propria banca. Ma gli assegni vengono liquidati (sia attraverso la Fed che attraverso un sistema privato di regolamento interbancario) alla pari. Quindi non è necessario che l’impresa porti alla sua banca i suoi propri titoli di credito, ma i titoli di qualsiasi banca. Se i depositi devono mantenere la parità (l’uno con l’altro e con denaro contante), le perdite su attività devono essere molto piccole perché il patrimonio netto della banca commerciale deve assorbire tutte le riduzioni di valore di assets. (…). Se è vero che i prestiti possono essere effettuati a fronte di garanzie (per esempio, le merci nel processo di produzione e distribuzione), una banca di successo non dovrebbe quasi mai essere costretta a prendersi la garanzia. Una banca non dovrebbe funzionare come un monte di pegni. Come dice Martin Mayer, il banking è sempre stato un business in cui i profitti vengono nel tempo man mano che i mutuatari pagano capitale e interessi. Egli allude alla moralità di un funzionario di banca, il cui successo dipende dal successo del mutuatario. Inutile dire che scommettere sul fallimento del mutuatario è una cosa contraria ai doveri di una banca commerciale. (Memo per Goldman Sachs: prestare attenzione). Il banchiere ha la chiave – egli è l’”Eforo del capitalismo”, come dice il consulente originale delle tesi di Minsky, Josef Schumpeter – perché non solo gli imprenditori devono essere sufficientemente ottimisti da investire, ma devono anche trovare un banchiere disposto ad anticipare il monte salari per produrre l’output dell’investimento. Con il finanziamento della massa salariale dei lavoratori del settore dei beni di investimento, le banche commerciali promuovono lo sv
iluppo del capitale dell’economia, anche se in realtà non forniscono finanziamenti per prese di posizione in beni di investimento. Quindi, siamo in grado di separare la questione della produzione dei beni capitali dalla proprietà di essi. Per Schumpeter, e per Minsky, l’”Eforo del capitalismo” spezza il semplice circuito della produzione e consumo di beni salariali, in cui le banche semplicemente finanziano la produzione di beni di consumo da parte dei lavoratori il cui consumo esaurisce esattamente la massa salariale necessaria per produrli. In altre parole, l’Eforo permette la generazione di profitti finanziando la spesa di quelli non direttamente coinvolti nella produzione di beni di consumo. Andare oltre ci porterebbe in questioni complicate. Ma il passo successivo sarebbe quello di discutere il ruolo del banchiere d’investimento, che finanzia le posizioni a lungo termine in capitale fisso. Si tratta di un’attività molto diversa, che permette ai risparmiatori di scegliere tra detenere attività (finanziarie) liquide o posizioni in attività reali (sia direttamente attraverso il possesso di una fabbrica o indirettamente attraverso il possesso di azioni). (
La Legge) Glass Steagall manteneva una separazione tra le funzioni di investment banking e commercial banking. I confini sono stati confusi quando abbiamo permesso alle holding bancarie di possedere entrambi i tipi di banche, e poi svuotato ed infine abrogato la Glass Steagall. Ricapitoliamo. 1) L’attività bancaria non deve essere descritta come un accettare depositi per fare prestiti. 2) Piuttosto, le banche accettano delle cambiali o dei titoli di debito dai mutuatari, e quindi creano i loro depositi bancari a debito che i mutuatari possono spendere. 3) Infatti, spesso la banca semplicemente accetta l’impegno a pagare del debitore e poi effettua il pagamento per il mutuatario, emettendo un assegno a nome di un concessionario, per esempio. 4) Come tutti gli operatori economici, le banche finanziano le loro posizioni in attivo (compresi i pagherò dei mutuatari) mediante emissione di loro propri pagherò (compresi i depositi a vista). 5) Le banche utilizzano le riserve per la liquidazione dei debiti con altre banche (e con il governo …). Le banche inoltre possono utilizzare le riserve per soddisfare i prelievi di contanti da parte dei clienti. Quando hanno bisogno di contanti per i prelievi vengono addebitate le riserve bancarie presso la Banca Centrale. 6) In alcuni sistemi … la Banca Centrale stabilisce un coefficiente di riserva obbligatoria. Ma questo non permette alla Banca Centrale di effettuare dei controlli di quantità sui prestiti bancari e i depositi. Piuttosto, la Banca Centrale fornisce riserve a vista, ma regola il “prezzo” al quale fornire le riserve quando si pone l’obiettivo di un tasso di interesse (…). Negli Stati Uniti l’obiettivo principale è il Fed funds rate. Il controllo della Fed sulle banche riguarda soltanto il prezzo
non la quantità, delle riserve» (Cfr. R. Wray “Minsky spiegato ai non addetti ai lavori” in Economonitor ora reperibile sul sito http://vocidallestero.blogspot del 09.04.2012. Il testo, senza cambiarne affatto il significato, è stato, in alcuni punti, quelli tra parentesi, da noi adattato al fine di renderlo omogeneo con il nostro intento divulgativo. Possono consultarsi proficuamente, in materia di moneta endogena, anche gli articoli in argomento pubblicati dal sito http://keynesblog.com).

L’uomo è Imago Dei sicché egli, nei limiti della sua finitudine, possiede, per dono gratuito dell’Amore Infinito, facoltà e poteri spirituali analoghi a quelli di Dio. “Analogia” nella metafisica tradizionale significa, appunto, “partecipazione ontologica” dell’essere umano – spirito, anima e corpo – all’Essere Divino. Il peccato sorge quando l’uomo pretende come attributo proprio – in autonomia (“ατο – νόμος”, auto – nomos”: che si dà, ossia pretende di darsi, da sé stesso la norma del proprio essere) – e quindi non riconosce quale dono, la sua struttura ontica e pertanto le sue stesse facoltà e potenze spirituali. Ponendosi come “autonomo”, ovvero datore a sé stesso della propria legge morale, l’uomo ripudia anche la radice etica eteronoma del proprio essere e del proprio agire, compreso l’agire politico e sociale. Credendo, in tal modo, di rivendicare o acquisire una libertà assoluta, non limitata da alcun fattore a sé esterno, l’uomo finisce per ritrovarsi schiavo delle peggiori forme di oppressione ideologica, politica, sociale, finanziaria. La tautologia umanitaria, così nobile in apparenza, si è dimostrata alla lunga generatrice di tirannia, dalle forme del vecchio totalitarismo moderno alle nuove forme del globalismo finanziario postmoderno con le quali il potere di egemonia totale del denaro, nella sua contro funzione speculativa, trova attualmente il suo, effimero, trionfo storico. In quanto immagine finita di una Infinita Intelligenza il potere intellettivo dell’uomo di creazione, artistica, scientifica, filosofica, metafisica, fisica, etc., è analogo a quello di Dio e la misura di tale analogia consiste proprio nel fatto che mentre Dio crea letteralmente ex nihilo, ossia in assenza assoluta di essere sicché la creazione è per l’appunto partecipazione analogica del creato all’Essere Divino, l’uomo crea per sola analogia e quindi sempre partendo da qualcosa di già dato che è base materiale di applicazione della propria potenza spirituale creativa. Il pittore ha bisogno della tela e dei colori, lo scultore della pietra, l’artigiano del legno o del ferro, lo scienziato della natura e degli strumenti di esperienza, il poeta delle parole e delle immagini, il filosofo dei concetti, il metafisico di ciò che è oltre la fisicità ma che non è lui a porre in essere. Allo stesso modo quando si dice “creare denaro dal nulla” si fa riferimento al potere di astrazione dell’intelligenza umana capace, in analogia al potere di Dio, di inventare simboli del potere d’acquisto, ossia moneta, sempre però partendo dall’uso di materia già data. Dapprima in forme materiali rozze e pesanti, dalle conchiglie all’oro, e poi, superando l’originaria pesantezza materiale del segno monetario, con il tempo inventando nuove forme, meno rozze e pesanti, ma pur sempre materiali e comunque forgiate da una base concreta già data, di incorporazione della potenza d’acquisto del denaro: dalla carta ai vari derivati finanziari fino alla cosiddetta moneta elettronica, conferendo, però, a queste nuove forme materiali, in luogo dell’originaria pesantezza, una nuova concretezza intellettiva e quindi, nel contesto politico della vita associata, legale. Il punto sta nell’ancoraggio di eticità riconosciuto o negato al potere intellettivo umano di creazione monetaria ex nihilo. Laddove è riconosciuto un ancoraggio di eticità, che consiste nell’uso a fini di bene comune, e non di speculazione, della moneta creata “ex nihilo” in forma di cartamoneta o in forma di altri derivati finanziari, il potere creativo dell’uomo è analogo a quello di Dio. Laddove invece, causa peccato, il potere creativo dell’uomo si proclama auto-nomo dall’eticità ontologicamente fondativa, che volente o nolente sempre lo caratterizza, quel potere, che si pretende in tal modo non più analogo a quello Divino, si rovescia, in una abissale eterogenesi dei fini, e diventa pura speculazione e quindi distruttivo, nichilista, suadentemente prometeico, luciferino.

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