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NON E’ POSSIBILE SERVIRE SIA GLI ATTIVISTI ESG CHE GLI AZIONISTI. A cura di Valerio Savioli

È sempre importante tenere viva l’attenzione sui commentatori statunitensi, soprattutto quando questi affrontato tematiche relative al cosiddetto woke che altro non è che una propaggine di quello che comunemente viene definito col termine “politicamente corretto”. Come noto, negli USA si affrontano due schieramenti ormai del tutto antitetici, profondamente incompatibili e quindi a buona ragione, e da tempo, si discute della profonda crisi americana. Questa crisi che molti commentatori riconducono meramente alla proiezione di potenza e quindi affrontata sotto la lente della geopolitica, in realtà custodisce anche (e forse soprattutto) profonde ragioni culturali e di conseguenza politiche.

Il politicamente corretto, sebbene non abbia un fondatore o un vero e proprio manifesto, comincia a comparire con una certa frequenza, come terminologia, in occasione di quella che potremmo considerare come una rivoluzione che ha centrato i suoi obiettivi, soprattutto quelli al tempo meno evidenti e dichiarati. Come avrete intuito, stiamo parlando del Sessantotto e dei moti di liberazione in chiave iperindividualista sapientemente innestati all’ombra di una vaga e strumentale contestazione all’oppressione del sistema occidentale. Come ormai dovrebbe essere noto, il Sessantotto ebbe in realtà come obiettivo primario quello di abbattere valori e istituzioni secolari e identitarie, lasciando spazio a un nichilismo economico-finanziario sorretto da un’ideologia di fiducia fanatica nei confronti di quello che viene definito progresso: un ircocervo ideologico che abbiamo definito “neoprogressismo radicale”.

Il neoprogressismo radicale, fattosi portatore di tutti quei precetti dogmatici che costituiscono il nucleo del politicamente corretto, non avrebbe avuto il mirabile impatto senza il supporto dell’intero apparato capitalistico occidentale. Recentemente, infatti, saggisti e intellettuali si stanno interrogando su questo connubio in cui l’ideologia ha assunto il ruolo di fluidificante per un sistema le cui chiare venature totalitarie trovano espansione e compimento grazie alle mirabolanti innovazioni tecnologiche, dimostrazione ulteriore, qualora ce ne fosse ancora bisogno, del ruolo ancillare della scienza e della tecnica nella postmodernità.

Nell’articolo che segue, Isaac Willour ci racconta del controverso connubio tra grandi concentrazioni economiche e attivismo politico e se risulta essere assai interessante, e a tratti anche divertente, leggere dell’harakiri di Lululemons, dovrebbe immediatamente balzare all’attenzione del lettore quanto la principale preoccupazione del commentatore sia quella che l’azienda torni a fare il suo mestiere e a non curarsi dei deliri politicamente corretti imposti dagli attivisti, motivando l’adesione a questi ultimi solo ed esclusivamente a una logica economica.

Rimane quindi fondamentale far notare che sia le critiche da “sinistra” come quelle di Carl Rhodes, autore di Capitalismo Woke, che quelle conservatrici (quindi riconducibili, per semplificare, a una prospettiva di centrodestra liberal liberista) non hanno nessuna intenzione di contestare il sistema in atto nelle sue radici, l’unica cosa che si chiede a gran voce a “sinistra” è che le companies siano veramente woke, mentre nel mondo conservatore l’attenzione è per il law and order la legge e l’ordine. Punto che tra l’altro sarebbe sacrosanto se però incardinato su una visione di società al cui timone ritroviamo la Politica e non gli interessi finanziari, in quest’occasione invece tutelati proprio dalla base conservatrice, le cui uniche preoccupazioni restano perimetrate esclusivamente nel raggio d’azione del proprio io.

Un’ulteriore dimostrazione di quanto le differenze tra destra e sinistra di sistema siano funzionali al mantenimento dell’equilibrio socioeconomico vigente.

Valerio Savioli

 

When Life Gives You Lululemons. Non è possibile servire sia gli attivisti ESG che gli azionisti

Quattro anni dopo la morte di George Floyd, stiamo finalmente iniziando a vedere le conseguenze del tentativo di compiacere la classe degli attivisti progressisti.

La spinta per il DEI (diversity, equity, inclusion) ha raggiunto il picco nell’anno successivo alle rivolte del 2020, e ogni azienda Fortune 1000 ha dovuto scegliere se accettare lo zeitgeist della politica razziale o resistere alla tempesta. Osare difendere un modello fiduciario e concentrarsi sul valore degli azionisti (stakeholder economy) piuttosto che sui sentimenti degli attivisti, all’epoca avrebbe significato una copertura mediatica negativa, accuse insensate ma ad alto volume di parzialità sul posto di lavoro e la piena ira dell’autodefinita intellighenzia antirazzista. Forse non sorprende che molte aziende abbiano capitolato e in grande stile. Le aziende Fortune 1000 hanno donato oltre 340 miliardi di dollari a cause e organizzazioni percepite come capaci di contribuire a risolvere i problemi razziali dell’America. Come ho sottolineato al Daily Wire diverse settimane fa, questa somma ammonta a “più dell’intero budget 2024 del Dipartimento dell’Istruzione”.

Tra le società in capitolazione compare il rivenditore di abbigliamento sportivo Lululemon. “Sosterremo e finanzieremo l’inclusione, la diversità, l’equità e l’azione all’interno della nostra organizzazione”, ha pubblicato nel giugno 2020 dopo un episodio in cui i suoi dipendenti hanno riferito di essere stati “innestati e traumatizzati” da un project manager che ha suggerito all’azienda di non inserire la frase Black Lives Matter sulla home page dell’azienda. Lululemon si trovava ad affrontare attivisti sia esterni che interni, avendo contemporaneamente a che far con dipendenti che credevano che ricevere feedback su un progetto di lavoro contasse come un trauma razziale.

Successivamente, come riportato dal BLM Funding Database del Claremont Institute, la società ha promesso 300.000 dollari a gruppi [attivisti politici NdT] tra cui Black Lives Matter, NAACP e Reclaim the Block. Probabilmente avete sentito parlare di BLM e NAACP, ma non di Reclaim the Block (RTB). RTB è un’organizzazione con base a Minneapolis (Minnesota) formatasi nel 2018 come “coalizione per chiedere a Minneapolis di disinvestire nella polizia e investire in alternative a lungo termine” [Per approfondire si veda defund police NdT]. Questo è la posizione degli attivisti a favore del taglio dei fondi alla polizia, in particolare al dipartimento di polizia di Minneapolis. RTB ha esercitato con successo pressioni per un disinvestimento di 1,1 milioni di dollari, con i fondi reindirizzati a programmi comunitari e al “sostegno alla razza e all’equità”. Meno di due anni dopo aver tagliato i fondi al dipartimento di polizia, Minneapolis sarebbe precipitata nella violenza della folla e Lululemon avrebbe promesso centinaia di migliaia di dollari a un’organizzazione che aveva contribuito a realizzare tutto questo.

Le aziende che si politicizzano non lo fanno a vuoto. Come per molte decisioni aziendali questo è il risultato di un’approfondita analisi costi-benefici. A metà del 2020 le aziende venivano indotte a credere che placare gli attivisti razzisti fosse una strada più semplice da percorrere rispetto al tentativo di difendere il business. Tuttavia, poiché il mio datore di lavoro, Bowyer Research, collabora con centinaia di aziende, spesso scopriamo che le concessioni fatte agli attivisti ESG e DEI non finiscono quasi mai con un allentamento della pressione da parte degli attivisti. Piuttosto si traducono in una valanga: “creare una task force DEI” muta immediatamente in “cambiare la composizione razziale/di genere del vostro consiglio di amministrazione senza motivo” [in Italia il caso più celebre è quello di Barilla, datato 2013 NdT] e “monitorare le emissioni di carbonio” diventa poi “smettere di fare affari con le aziende di combustibili fossili” e così via. Una decisione aziendale iniziale volta a placare gli attivisti spesso dà la falsa premessa che siano gli attivisti, e non gli azionisti, a dettare il tono delle prospettive di un’azienda.

Ma gli attivisti di Minneapolis non pagano il costo di ciò che Lululemon fa o non fa in termini di giustizia razziale: lo fanno gli azionisti, i dipendenti e i clienti di Lululemon. E come tali, le richieste degli attivisti spesso non riflettono gli interessi dell’azienda: nella migliore delle ipotesi non hanno lo stesso successo delle decisioni prese esplicitamente per la creazione di valore e, nella peggiore, creano problemi. Questo è esattamente quello che è successo quando aziende come Lululemon hanno cercato di placare gli attivisti contrari alla legge e all’ordine [law and order NdT] nella seconda metà del 2020.

Nel 2023 Lululemon è balzata agli onori della cronaca per un incidente di taccheggio in uno dei suoi negozi. Per essere chiari: due dipendenti di Lululemon hanno urlato contro le persone che rubavano la merce e sono stati licenziati senza indennità in linea con la politica di tolleranza zero del negozio nei confronti dei taccheggiatori. Il CEO Calvin McDonald ha esposto il punto di vista di Lululemon: “È solo merce”, un sentimento meraviglioso da parte di un amministratore delegato espressamente incaricato di gestire la proprietà per il ritorno degli azionisti. Come scrisse all’epoca il mio capo Jerry Bowyer, Lululemon aveva accettato l’ideologia della rivolta, l’idea che il disordine pubblico sia colpa del sistema e risolvibile solo con la spesa pubblica: “Nessuno è più danneggiato da quell’ideologia dei poveri e della classe operaia. È un peccato che due dipendenti, ora disoccupati, possano vederlo molto più chiaramente dell’amministratore delegato dell’azienda”.

Nel 2023 io e altri membri della Bowyer Research abbiamo partecipato alla riunione annuale del Consiglio di amministrazione di Lululemon e abbiamo chiesto a McDonald quale fosse il collegamento tra il crescente problema dei taccheggi dell’azienda e il suo sostegno finanziario alle organizzazioni anti-legge e all’ordine di pochi anni prima. “Qual è esattamente la politica della compagnia in materia di saccheggi, taccheggi e altre forme di furto di proprietà che appartengono agli azionisti?” abbiamo chiesto. “Secondo il Claremont Institute, avete promesso una notevole quantità di risorse azionarie alla Fondazione BLM e ai gruppi correlati. Dato che alcuni di questi gruppi incoraggiano non solo la protesta ma anche il saccheggio, può chiarire esattamente cosa pensa lei, amministratore delegato, degli atti di furto di proprietà aziendali?”

McDonald se ne è andato, dicendoci solo che Lululemon aveva un rapporto di lunga data con le forze dell’ordine e difendeva la politica di tolleranza zero dell’azienda nei confronti dei taccheggiatori. Ma in realtà i problemi dei taccheggi non avrebbero fatto altro che peggiorare nell’anno successivo. McDonald ha ragione nel dire che l’azienda ha un “rapporto di lunga data” con le forze dell’ordine, ma la maggior parte di quel rapporto sembra riguardare il recupero della merce Lululemon rubata da parte delle forze dell’ordine. Ecco un esempio di come stanno andando le cose per Lululemon sul fronte dei taccheggi:

  • Donne hanno rubato 338.000 dollari di merce di Lululemon in furti da Bellingham a Los Angeles, dicono le accuse[1].
  • Furti di Lululemon: quattro donne arrestate dopo aver rubato oggetti per un valore di oltre $ 10.000 a Lower Merion Twp[2].
  • Due uomini accusati di furto di 3.000 dollari al dettaglio da Lululemon nell’Upper Dublin, dice la polizia[3].
  • La polizia recupera $ 23.000 in leggings Lululemon in seguito al furto dal negozio Napa, incidente a Oakland[4].

Da quando ha promesso un quarto di milione di dollari alla giustizia razziale e agli attivisti con un rapporto quantomeno discutibile con la legge e l’ordine, Lululemon si è trovata nel mirino di tutti, dai saccheggiatori al crimine organizzato letterale. Questo non vuol dire che si tratti di una relazione causale uno a uno: il taccheggio è una realtà da quando c’erano negozi da derubare. Ma a un certo punto, se un’azienda dona abbastanza denaro a organizzazioni che si oppongono alla legge e all’ordine, questa ha il dovere nei confronti degli azionisti di pensare non solo all’effetto che tale sostegno sta avendo, ma anche al messaggio inviato sul valore della merce, la politica di neutralità (o mancanza di essa) della vostra azienda e la serietà con cui vi assumete la vostra responsabilità fiduciaria.

Sembra che recentemente Lululemon abbia iniziato a pensare più seriamente a queste domande. Quando quest’anno abbiamo partecipato alla riunione annuale dell’azienda, il tono era molto diverso.

“Perché Lululemon sta effettuando donazioni a organizzazioni pro-saccheggi come Black Lives Matter e a organizzazioni pro-polizia come Reclaim the Block?” abbiamo chiesto. “Non è nell’interesse degli azionisti difendere la legge e l’ordine, soprattutto per quanto riguarda le merci?”

E Lululemon ha risposto: “Al momento non stiamo facendo donazioni a queste organizzazioni”.

Questo è un passo nella giusta direzione per Lululemon. Torniamo all’idea dell’analisi costi-benefici. Durante l’estate del 2020, gli attivisti hanno convinto le più grandi aziende americane che era più facile salire sul treno pubblicitario del DEI/giustizia razziale rispetto ad essere etichettati come razzisti. Ma ora quel treno pubblicitario sta avendo problemi: ora è il nostro momento.

Mentre l’atteggiamento aziendale nei confronti dei DEI e dell’ESG [environement, social, governance NdT] si sposta verso il negativo, è tempo che i sostenitori della responsabilità fiduciaria e del capitalismo degli azionisti sottolineino che è sempre stato un argomento razionale evitare la politica e fare donazioni a gruppi di attivisti radicali a favore della creazione di valore per gli azionisti.  Forse la prossima volta non ci vorranno quattro anni e centinaia di migliaia di dollari in merce rubata per dimostrarlo.

Isaac Willour

Isaac Willour è un analista aziendale presso Bowyer Research, la principale società di consulenza per delega agli azionisti. È un giornalista e commentatore politico pluripremiato, con lavori in testate tra cui il Wall Street Journal, il New York Times, C-SPAN e RealClearMarkets. Può essere trovato su X presso @IsaacWillour.

* Traduzione e introduzione a cura di Valerio Savioli

Link all’articolo originale:

https://americanmind.org/salvo/when-life-gives-you-lululemons/?utm_campaign=American%20Mind%20Email%20Warm%20Up&utm_medium=email&_hsenc=p2ANqtz–TTcOfbyG9SwA0z34fvZxWxAqecVYqbWfG6bKmeJQ9aoxSUvI7QvK3_7zYhUH_bxlceRNNrCLFrFxOqMcXWspLdCRadw&_hsmi=315346358&utm_content=315346358&utm_source=hs_email

[1] https://www.thenewstribune.com/news/local/crime/article288166140.html

[2] https://6abc.com/post/lululemon-thefts-4-women-arrested-after-stealing-over-10-000-worth-of-items-in-montgomery-county/14821406/

[3] https://wissnow.com/news/2024/jun/21/two-men-charged-in-3000-retail-theft-from-lululemon-in-upper-dublin-police-say/

[4] https://www.cbsnews.com/sanfrancisco/news/napa-retail-theft-pursuit-oakland-4-arrested-lululemon-200-pairs-recovered/

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