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IL TRIONFO DEL MULTIPOLARISMO PONE FINE ALLA GEOPOLITICA CLASSICA? Di Lorenzo Maria Pacini

Nella transizione ad un mondo multipolare, sul piano della teoria si aprono numerose questione, fra le quali spunta una delle principali: il trionfo del multipolarismo pone fine alla geopolitica classica, oppure no?

Il padre della teoria del mondo multipolare, il filosofo russo Aleksandr Dugin, nella prima fase della composizione teorica non ha formulato correttamente e del tutto una risposta al quesito in quanto, ai tempi, era prematuro ragionare sugli scenari di successo della teoria. Oggi, invece, urge trovare una risposta.

Partiamo dai fondamentali. La geopolitica classica, codificata fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, vede nelle parole dell’ammiraglio Halford Mackinder uno degli assiomi caratterizzanti, che ha dettato legge indiscutibilmente fino ad oggi: «L’Eurasia è l’Heartland. Chi controlla l’Heartland, controlla il mondo». Attorno a questo asse geografico della storia si è iscritta tutta la geopolitica a noi conosciuta. Oggigiorno, il concetto che ha in sé tutte le conseguenze scientifiche nel contesto della trasformazione dalla geopolitica classica alla geopolitica del mondo multipolare è l’Heartland distribuito, o ripartito, se si preferisce. Solo con questo possiamo guardare la struttura semantica della geopolitica classica con il dualismo essenziale fra Civiltà del Mare (anche nel senso del Proclo di Platone dove descrive la antica civiltà di Atlantide, definita come “la peggiore” della Storia) e Civiltà della Terra, che si conserva, resta presente, e tutte le implicazioni ed elaborazioni che provengono dagli studi di Carl Schmitt circa le due civiltà. La geopolitica classica opera con due proiezioni di questi principi nella geografia e nella storia mondiale, identificando come si incorporeranno e manifesteranno nelle grandi potenze mondiali.

Conserviamo, dunque, questa interpretazione dei due tipi di civiltà. Il dualismo già sostenuto dal filosofo greco Proclo viene totalmente confermato da Mackinder, che sottolinea questo dualismo come fatto di principi permanenti, due fattori di sviluppo delle civiltà dell’umanità e che sono individuabili in tutta la Storia umana: attrazione al tempo, alla materialità, al fugace; attrazione alla verticalità, allo spirito, ai valori stabili. È interessante che l’acqua del mare non si possa bere, in quanto tossica per l’essere umano, e quindi mare è in un certo senso la morte, mentre l’acqua dolce, terrestre, è acqua di vita. Questa dualità “esclusiva”, fra due punti di attrazioni storico-geografici, è il cuore della geopolitica classica. I conflitti che noi viviamo si inscrivono perfettamente nella lettura dualistica di cui sopra. Le geopolitica classica rintraccia la sua validità anche nel contesto attuale, se pensiamo a conflitti noti come quello russo-ucraino, che ben sappiamo essere uno scontro di civiltà fra Occidente e Russia, o in quello israelo-palestinese. Non si può dire che la geopolitica classica è superata perché le sue leggi lavorarono a pieno regime ancora oggi e pertanto la si può ancora utilizzare come metodologia interpretativa. Resta però una domanda: si può andare oltre?

Si può osservare con pacifica obiettività che l’Heartland classico, l’Eurasia, non basta più come polo di contro-bilanciamento contro la Civiltà del mare. Consideriamo quindi due forme della geopolitica post-classica, quella di oggi: la geopolitica unipolare, che afferma l’assenza del dualismo e il trionfo della civiltà talassocratica così come descritto da Francis Fukuyama, Yuval Noah Harari, Clauss Schwab, i democratici americani che sono i partigiani di questo mondo unipolare o, in taluni casi, a-polare, che prevedere l’assoluta cancellazione della Civiltà della terra anche come concetto. Questa prima forma della geopolitica post-classica la possiamo battezzare come post-polarismo, perfettamente in linea con la postmodernità, e questa è la geopolitica “dogmatica” contemporanea (in senso talassocratico, chiaramente), è nata da pensatori impregnati di geopolitica classica talassocratica e non ammette dissenso.

Leggendo gli eventi attuali con questa lente, appare chiaramente come la Russia oggi stia lottando “guerra del passato” per aprire il mondo il futuro: è l’ultima guerra geopolitica del passato, l’ultima combattuta secondo gli assiomi mackinderiani; ciò che viene dopo sarà “altro”, diverso, ambiziosamente multipolare. Si osservi bene: la Russia oggi, dopo la catastrofe degli Anni ’90, non ha più le risorse per stabilirsi da sola come potenza mondiale in competizione con la civiltà unipolare dell’Occidente. L’Eurasia non basta più da sola: mancano la stabilità demografica ed economica e questo obbliga i russi che lottano per la geopolitica tradizionale classica a combattere con nuove norme, a tracciare rotte diverse ed esplorare territori incogniti. La Russia ha bisogno di alleati e partner per completare questa missione epocale. Da un punto di vista più metafisico, i russi sono i portatori dell’ultima volontà sacrale tellurocratica, combattono per l’eternità rispetto alla temporalità.

Immaginando la vittoria della Russia in questa ultima guerra della geopolitica classica, non è congeniale l’estensione dell’idea russa sul mondo intero, perché la Russia non ha un’ideologia universale – che invece hanno gli americani, come l’ideologia dei diritti umani, il genderismo, ecc. – che possa attrarre le élite di tutto il mondo e i popoli. La Russia è troppo piccola in questo senso. Può salvarsi come “piccola Eurasia”, limitata alla Russia stessa, ma questo non sarà decisivo perché è una lotta difensiva, non offensiva, e sul lungo andare non paga. Sopraggiunge, dunque, la multipolarità: se non possiamo accettare il dominio talassocratico e non possiamo proporre l’Eurasia come idea universale, ecco che dobbiamo passare alla multipolarità. La grande Cina, l’India in ascesa, l’Africa emancipata dall’Occidente europeo sono esempi di indipendenza e bisogna escludere tassativamente qualsiasi piano di ingerenza russo, anche solo concettualmente. La Russia ha una visione imperiale 8in un senso del tutto diverso dal passato), ma non globale. Nemmeno nella teoria è consentito immaginare gli altri poli come sottomessi al potere russo.

È qui che nasce fattivamente la geopolitica del mondo multipolare, là dove nasce una alternativa. L’Occidente resta un (macro)polo con la sua validità marittima, con il globalismo come ideologia; tutto l’antiglobalismo è una continuazione e trasfigurazione della civiltà della Terra: l’Heartland viene distribuito su più poli, si trasforma e riadatta, con una molteplicità di sfaccettature. Questa pluralizzazione operativa rappresenta una trasformazione decisiva che è già in atto.

Nelle elezioni americane del 2016, si vide chiaramente questo “smembramento”, almeno apparente, del macro-polo chiamato Occidente: le coste (East Coast e West Coast) votarono per i democratici, gli Stati territorialmente centrali votarono per i repubblicani. Questa “geopolitica domestica” ha cambiato non poco le sorti dell’Egemone a stelle e strisce. C’è una sorta di Heartland interiore in America che va prendendo forma, perciò non si può più considerare gli USA come una unica Civiltà del mare. Questo è un punto assolutamente decisivo. C’è una sorta di Civiltà della terra interiore a quella del mare. Bisogna cominciare a scrivere una storia dell’Heartland americano. È interessante che nello storico articolo di Mackinder sull’Asse geografico della Storia, egli parlasse degli USA come civiltà tellurocratica in maniera molto simile alla Russia, il che indica che c’è stato un cambiamento radicale, temporalmente avvenuto dopo la proclamazione dei 14 principi dell’allora presidente Woodrow Wilson. Furono quei punti a ridefinire la posizione dell’America verso la talassocrazia.

Possiamo altresì immaginare che la Russia non sia totalmente terrestre: c’è una élite talassocratica all’interno della Russia, come ad esempio i governanti degli anni Novanta, gli imprenditori liberali di stampo occidentale, molti personaggi emigrati al crollo dell’URSS e poi rientrati come signori del liberal-capitalismo. Per questo Civiltà del Mare e Civiltà della Terra diventano principi identificabili in tutte le civiltà.

Oggi possiamo oggi parlarne, per fare qualche altro esempio, di Heartland cinese, presentatosi con Xi Jinping, profondamente tellurocratico, ma che ha una potenza marittima commerciale enorme, quindi una estensione marittima, seppur la Cina non sia storicamente una potenza di mare. Similmente avviene con Nerendra Modi, che vuole proporre un’India indipendente e “decolonizzata nella coscienza”, e questo è un Heartland, ma allo stesso tempo l’India ha una forte attrazione marittima che la fa tendere verso il globalismo, con alleanze con USA, UK, Giappone secondo quanto già narrato nel Novecento. Anche il mondo islamico è fatto di Paesi più terrestri, come l’Iran, e altri Paesi squisitamente integrati nel globalismo internazionale, come avviene per i “principi del petrolio” della penisola arabica e non solo. In Africa pure tantissime forze promuovono un panafricanismo che è l’affermazione di un Heartland africano, autentica Civiltà della terra, mentre altri governanti vogliono essere parte del progetto occidentale che li affascina e corteggia. In Iberoamerica avviene lo stesso: Paesi che si stanno spingendo verso una integrazione terrestre, mentre altri leader sono spassionatamente atlantisti. Teoricamente, ciò avviene anche in Europa, che oggi è totalmente sotto il controllo atlantista: si guardi al populismo di destra che ha millantato – e continua a farlo – una apertura multipolare, partendo però da premesse errate, tanto che ha conquistato un discreto potere politico per poi tradire puntualmente la rappresentanza popolare, confermando che in un territorio militarmente, politicamente, economicamente e culturalmente occupato da una potenza straniera (gli USA), la conservazione del potere non è possibile senza l’intervento del Mare. L’Europa non può e non deve essere sottomessa ad altri poli o civiltà, me di fatto lo è a quella atlantista; c’è una Europa teoretica, che esiste virtualmente ed ha una grande Storia, che oggi si trova in una fase “occultata” e non ha niente a che vedere con la Russia. La Russia, però, lotta oggi per la multipolarità, che rappresenta per l’Europa una chance di rinascita. L’unica Europa possibile è una Europa indipendente, liberata dal potere esterno di qualsiasi tipo, autonoma e geopoliticamente per sé. Da ultimo, l’Heartland americano, vede nella lotta elettorale, oggi rappresentata dalla sfida fra Joe Biden e Donald Trump, una parafrasi dello scontro geopolitico interno fra Terra e Mare. Tutto questo è la fine della lotta geopolitica classica.

Sentiamo l’appello ad una geopolitica rivoluzionaria, non solo accademica, fatta anche di  una militanza che è una lotta con la dittatura dell’unipolarismo e del post-polarismo.

La geopolitica del mondo multipolare, d’altronde, è pericolosa, perché fa considerare sotto una nuova luce ciò che viviamo oggi. E ci offre una via per realizzarla.

Lorenzo Maria Pacini

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