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ALLA RICERCA DI TOLKIEN (UOMO, PROFESSORE, AUTORE): UNA RECENSIONE DELLA MOSTRA DI ROMA. Di Adolfo Morganti

Ovvero: anche una cosa semplice come la visita ad una Mostra tolkieniana ha una sua storia…

Come sempre, devo – come sovente mi accade – prima di tutto ringraziare Vu’Minchia per averci comunicato che non sarebbe mai andato a vederla; al di là dei successivi cori da stadio (“e chissenefrega”) e di tristi considerazioni sui costi dei biglietti aerei da Pyongyang, già questa proletaria e rivoluzionaria dichiarazione non poteva che accenderci l’animo e mobilitarci: c’era se non altro almeno un motivo per andare a vederla.

In realtà questa Mostra – Tolkien. Uomo, Professore, Autore, alla Galleria Nazionale di Roma dal 16 novembre al 11 febbraio 2024 – era nell’aria da tempo, avendo come motore immobile l’inarrestabile Oronzo Cilli (la prova vivente che non è vero che i meridionali non lavorano), e in squadra comando padre Guglielmo Spirito e Beppe Pezzini, il simpatico prof. ciellino, oxoniense per scelta ed adozione, che nell’estate del 2022 riuscì a mettere in piedi al Meeting di Rimini una notevole Mostra multimediale sul nostro Autore (schivando con notevole abilità l’eterna, amletica domanda che pericolosamente aleggia in quegli ambienti: «cosa c’entra Tolkien (ma anche Guareschi, Alianello etc.) con don Giussani?»: ricchi premi a chi sa rispondere).

Fatta epoché delle polemiche in rete platealmente politicizzate, non rimaneva che andare a fare un giretto a Roma. Con la scusa di un breve intervento sulle Lettere di JRRT, in mezza giornata sono andato e venuto, confermandomi un dato geografico di fondo: Rimini è più vicina a Roma della Corea del Nord.

La Mostra è intanto inserita in una cornice particolare, quella della Galleria nazionale d’Arte Moderna; pagando il biglietto d’ingresso alla Galleria si accede gratuitamente alla Mostra tolkieniana, e nel tragitto si può inoltre recuperare qualche bella immagine di neo-medievalismo ottocentesco (strepitoso l’Hayez). La Mostra su Tolkien è collocata in un’ala laterale dell’immensa sede della GAM, con un percorso ad anello su due piani che si percorre, con calma e guardando per bene le belle cose che vi sono riunite, in un tre-quattro orette. Il canonico Catalogo Skira – su cui torneremo – ospita i testi e molte belle immagini della Mostra, dimenticandosi però completamente dei temi e del contenuto dell’ultima sala della Mostra, quella dedicata all’eredità pop di JRRT, di cui pubblichiamo qui un’importante testimonianza fotografica:

Primo sguardo. La Mostra è MOLTO istituzionale: è raro vederne una promossa ufficialmente da un intero Ministero, quello della Cultura della Repubblica Italiana; il Catalogo ufficiale, infatti, generosamente ci elenca tutte la struttura del Ministero, dal Ministro al Capo Segreteria, senza la qual cosa avremmo ovviamente restituito il volume al bookshop e tornati a casa. Importante anche la presenza fra i Maggior Consulenti della Mostra, accanto a Beppe Pezzini, di Adriano Monti Buzzetti, giornalista di lungo corso e sempre da lungo corso collaboratore del ministro Sangiuliano sin da quando lavorava in TV.

Una Mostra MOLTO istituzionale utilizzerà necessariamente un linguaggio ed un modus operandi MOLTO istituzionale, attento a smussare angoli, polemiche, tutti gli spigoli possibili che OGGI potrebbero provocar polemiche giornalistiche che d’altronde il Ministro Sangiuliano ben conosce, da entrambe le parti della barricata; ciò non è privo di aspetti utili, perché quantomeno consente di evitare tutte le Vu’Minchiate del recente passato e ricordarsi di Tolkien/Tolkien, ossia l’uomo, il professore, l’autore, come promesso. Nel contempo tale cautela assume profumate sfumature dorotee quando riesce a narrare la storia delle traduzioni in lingua italiana de Il Signore degli Anelli elencando in stretta successione i nomi di Vittoria Alliata di Villafranca e di Ottavio In. Fatica. Punto. Silenzio. Vabbè.

Nota per i naviganti. Correttamente questa Mostra NON vuole essere l’Encyclopedia Britannica del Mondo Tolkieniano, e non si arroga pretese di esaustività nemmeno quando invece potrebbe, ovvero quando reca le impronte digitali di Oronzo Cilli. Espone molti materiali di grande rilevanza storica e culturale (le stroncature dell’opera di Tolkien di Elio Vittorini & c. colpiscono ancora oggi per il dogmatismo beceromarxista, la plateale malafede e le valutazioni poi sbaragliate dalla realtà), ma non pretende di esporli TUTTI; paragonarla quindi con la mostra di Oxford del 2018 non è solo sbagliato: è inutile.

In compenso, vi emerge in modo cospicuo ed interessante la biografia familiare, con materiali rari e a nostro sapere inediti, nonché il mondo quotidiano di JRRT e il suo lungo rapporto con l’Italia e la sua secolare cultura storico-letteraria, la lingua italiana, la religione cattolica, le testimonianze dei due viaggi della famiglia Tolkien in Italia (d’altronde Oronzo Cilli è l’autore di quel meraviglioso saggio che è Tolkien e l’Italia, in cui ha pubblicato anche la prima traduzione italiana del “Diario di viaggio” di JRRT in Italia del 1955); e le foto in bianco/nero e sfocatelle scattate dal medesimo JRRT in Umbria e a Venezia nel corso del medesimo viaggio e custodite dal nostro Gandalf francescano, padre Guglielmo Spirito, un poco ci commuovono e ci rinfrancano: anche i più grande scrittori possono svelarsi fotografi, come anche noi siamo, forse men che mediocri.

Divertente l’immane parete con le varie edizioni del Signore degli Anelli e de Lo Hobbit, accrocchio di grafiche disparate e sovente disperate in cui la Francia conquista a mani basse Le Grand Prix de la Laideur Éditoriale 2023; peccato che nelle sale dedicate alle opere a stampa non vi sia traccia di una storia anche solo parziale, anche solo italiana, della critica letteraria su Tolkien, che dal 1980 in poi, dopo il semi-mitico e oramai rarissimo Omaggio a J.R.R. Tolkien: fantasia e Tradizione di Mario Polia avrebbe potuto veder vicine molte opere di scuole ed approcci ben diversi fra loro, utili a tratteggiare un’interessante parabola della cultura, non solo letteraria, italiana degli ultimi 45 anni; ma forse anche qui la felpata esigenza di evitare ogni terreno minato ha consigliato di procedere come se tutto ciò non sia esistito o non sia stato rilevante. Sbagliando.

E poi, sala dopo sala, il visitatore è coinvolto e divertito da copertine di dischi, fumetti e un buon numero di illustrazioni, provenienti in gran parte da un paio di notevoli collezioni private, ove le dimensioni contenute della maggior parte delle opere, per lo più disegni in bianco-nero, consenton di esplorare un’arte tolkieniana molto prossima all’editoria, alle illustrazioni di copertina ed interne delle varie edizioni – quasi tutte europee – del Signore degli Anelli. Ovviamente molte opere mancano, compresa la riproduzione della più celebre illustrazione tolkieniana mai realizzata, quella che hanno visto proprio tutti, la Compagnia dell’Anello dei fratelli Greg e Tim Hildebrand:

Forse proprio per questo era inutile aggiungerla, e lo spietato elenco delle tavole ivi mancanti che il noctivolante Dalmazio Frau ha steso, intingendo nel sangue umano fresco il suo stiletto, è in realtà solo una parte di ciò che l’esperto di editoria fantasy, o anche solo il tolkienomane attrezzato, ha visto coi propri occhi dal 1980 (data di nascita del mondo tolkieniano in Italia) ad oggi; per questo forse è il caso di ammettere che l’idea stessa di una Mostra completa dell’illustrazione tolkieniana (anche solo limitandoci all’Italia, anche solo limitandosi, per ricordare un illustre dimenticato, a Luca Michelucci) è oramai impossibile per eccesso di produzione. D’altronde di eccellente qualità media, visti alcuni sgorbi ivi incorniciati.

Insomma, una visita divertente e anche istruttiva, quasi intima, che alla fine lascia un bel sorriso e un ulteriore dose di affetto per l’avventura umana, e la mirabolante capacità di visione simbolica, di John Reuel Ronald Tolkien.

L’affetto che non è possibile non nutrire per il mondo tolkieniano e il suo Omero non riesce a celare, a conclusione della visita, elementi di un retrogusto un poco amaro. In questa bella Mostra vi sono alcune cose che gridano vendetta agli Ainur, inutilmente. Nel senso che sarebbe bastato pochissimo per colmare non lacune, ma crateri abbastanza incomprensibili, nell’economia di una Mostra importante che, al contrario, in alcuni ambiti può ben vantare una ampia primogenitura europea. Ne abbiamo scelte tre – che uniamo idealmente al vuoto sulla critica sopra evidenziato -, tenendo anche conto del fatto che non è obbligatorio affrontare temi con tutta evidenza non sufficientemente conosciuti; ancor più tracimando dai locali della Mostra alle pagine del Catalogo. Il cui più dolente pezzo resta infatti, a nostro modesto parere, quello relativo a “La Grande Musica di Tolkien”, che accenna sin troppo brevemente ai temi della creazione di Arda attraverso la Musica che si fa Luce e materia nell’Ainulindalë tolkieniano, senza nemmeno accennare alla pur modesta discografia radunata in Mostra, che – a parte alcune colonne sonore – si limita oltretutto alla scena musicale anglosassone in un periodo limitato dal 1970 al 1982. Non è solo l’indifferenza reciproca fra il pezzo in questione e i dischi in mostra a colpire il visitatore, ma anche la completa assenza in entrambi di ogni testimonianza attorno alla ricca scena musicale tolkieniana italiana, che da decenni ha saputo muoversi fra i registri classico-sinfonici (A. Ferrari, E. Volpi-Kellerman), jazz (A. Pellegrini) quelli folklorici (G. Festa e Lingalad, Giandil, Myrddin, Keltica), quelli rock e progressive (A. Stalteri, RuinThrone) ed anche in quelli “militanti” (Hobbit, Compagnia dell’Anello). In tema di Ainulindalë, manca anche un qualsivoglia accenno al progetto sinfonico omonimo del 2015, che per la prima volta ebbe una “prima” di grande successo all’interno di una delle più consolidate rassegne di musica sinfonica italiana, la Sagra Musicale Malatestiana, con la collaborazione e la lettura dei testi di Angelo Branduardi. Peccato: un’occasione persa ed una sala che rimane una di quelle più scarne e meno interessanti dell’intera Mostra.

In secondo luogo Fabio Celoni, cui dobbiamo le 5 pagine che presentano la sezione della Mostra dedicata al Fumetto; in essa si accoglie, sfuggito all’occhio vigile dei curatori, uno sfondone canonico per chi Tolkien l’ha certamente letto, ma poco ricordato: a pag. 229 si parla degli Hobbit, i quali abiterebbero «in case-tane che ricordano quelle degli animali», supponiamo in quanto scavate nelle rotondità di Hobbiville; qui il professor John R.R. Tolkien aprirebbe il suo Lo Hobbit, al capitolo 1, e citerebbe (nella traduzione di Elena J. Conte): «In una caverna sotto terra viveva uno hobbit. Non era una caverna brutta, sporca, umida, piena di resti di vermi e di trasudo fetido, e neanche una caverna arida, spoglia, sabbiosa, con dentro niente per sedersi o da mangiare: era una caverna hobbit, cioè comodissima.», e via descrivendone lussi e peculiarità. Penna rossa e ripetizioni estive. Ma poi, questo catalogo ha avuto un curatore?

La terza ci riporta in casa: nelle 2 paginette – 2 in cui Paolo Paron e Ninni Dimichino narrano, come dire, “a modo proprio” la storia della Società Tolkieniana Italiana e dell’associazionismo tolkieniano in Italia, forse al fine di ritagliar fuori dalla storia narrata dettagli sgraditi, a pag. 166 parlando delle due mitiche riviste della STI delle origini, ci rammentano che una di queste, Minas Tirith, «raccoglieva e pubblicava, e ancor oggi lo fa, relazioni e testi delle conferenze dei tanti esperti e docenti che hanno collaborato con la STI». Ciò è effettivamente, purtroppo, solo ciò che Minas Tirith è divenuta ad un certo punto, dopo il 2000 circa; la sua nascita è invece legata a tutt’altro impegno e progetto, che al tempo, essendo dalla fondazione della STI vice-Presidente della medesima, curai personalmente per alcuni anni, firmandone anche alcune editoriali: dar vita ad una testata interdisciplinare che illuminasse con contributi di tutto il mondo l’ampiezza e la profondità simbolica dell’opera tolkieniana; basterà qui ricordare che essa ospitò nei suoi primi numeri preziosi contributi scientifici di E.M. Allen, W.H. Auden, M. Eliade, C. Giannone, E. Jünger, F.G. Jünger, E. Lassalle, G. St.Claire, M. Zlahtic e un pezzo quantomeno curioso di Isaac Asimov; i quali, sia per motivi anagrafici che fattuali, non hanno mai avuto il piacere e l’onore di far conferenze per la STI…  Purtroppo la differenza fra un periodico criticamente fondato e un centone di chiacchierate fra amici sbobinate si dev’esser persa lungo il crepuscolo della quarta Era. Infine è un piccolo, ma significativo prodigio di smemoratezza l’aver totalmente dimenticato il ruolo che i Calendari tolkieniani italiani, per molti anni promossi proprio dalla STI, ebbero per anni nel tirar su almeno un paio di generazioni di giovani illustratori tolkieniani italiani; mentre ho condiviso la triste necessità di occultar felpatamente la triste fine che le Hobbiton, le Convention tolkieniane che da San Marino 1994 iniziarono a far incontrare giovani di tutt’Europa nel segno de Il Signore degli Anelli, hanno purtroppo fatto, da troppi anni: qui la pietas in effetti obbliga. Sarebbe stato necessario un poco di autentica memoria e di coraggio, ma è quel “poco” che da anni invece non trova spazio, ed ha condannato ad una crescente insignificanza quella che una volta, per qualche tempo dopo la nascita, nel 1993, fu la seconda Associazione Tolkieniana d’Europa, dopo quella inglese.

Tuttavia tutto ciò riguarda, in fondo, solo un’altra generazione. Chi spende un pomeriggio in questa bella Mostra ne uscirà interessato e incuriosito, all’inizio del lungo sentierino di feeria. Questo in realtà è tutto quello che conta. Et de hoc, satis.

Adolfo Morganti

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