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TORNIAMO ALLA COSTITUZIONE. Di Francessco Mario Agnoli

Il 1° gennaio 1897 la rivista Nuova Antologia pubblica un articolo anonimo destinato a fare molto rumore: “Torniamo allo Statuto”. Ne è autore, come si scoprirà quasi subito, l’autorevolissimo uomo politico Sidney Sonnino, che scrive: “ il parlamentarismo quale si esplica in Italia è ammalato, e conviene studiarne le condizioni ed approntare i rimedi se non vogliamo vedercelo intisichire nelle mani, minato dall’indifferenza e dal disprezzo della nazione. Non è, del resto, solo in Italia che ciò si verifica. Il Governo parlamentare è messo in questione in tutto il continente europeo”. Quindi

ritorno allo Statuto per sottrarre al controllo e ai giochetti del Parlamento il potere esecutivo, di cui in base allo Statuto il Re era esclusivo titolare.

Lo Statuto Albertino appartiene al passato, la situazione italiana ed europea è del tutto irriconoscibile rispetto alla fine del secolo XIX. Per di più non sono un ammiratore (tutt’altro) di Sonnino, fra l’altro uno dei principali responsabili della partecipazione, contro il volere del parlamento e del popolo, dell’Italia all’inutile strage della prima guerra mondiale. Tuttavia, se nel brano sopra riportato si sostituisce a “parlamentarismo” la parola “europeismo” subito vi echeggia un qualche non peregrino riscontro con l’attualità, che rende non del tutto fuor di luogo il “torniamo alla Costituzione”, che ha iniziato a ronzarmi insistente per la testa dopo la lettura delle tre ordinanze del Tribunale di Catania sul “trattenimento” (ritenuto illecito) di tre immigrati tunisini. Del resto sia allora che oggi l’idea del “ritorno”, praticabile o no, nasce come rimedio ad un conflitto fra poteri dello Stato. All’epoca, Governo e Parlamento, oggi potere politico (comprensivo di Governo e Parlamento) e giudiziario.

So benissimo che, se non si fece nulla della proposta dell’allora autorevolissimo Sonnino, il mio “Ritorno alla Costituzione”, che, fra l’altro presupporrebbe l’Italexit, non è nemmeno un’utopia. Ferma l’irrealizzabilità, resta, come per tutte le utopie, il rimpianto perché questo ritorno, anche se risultasse incapace di dare soluzioni definitive a più di un problema dell’attualità, in prima linea, per le sue proporzioni immani e le sue cause, quello dell’immigrazione, fornirebbe almeno quelle regole certe che oggi a fatica si cercano fra le contrapposte onde di sistemi e ordinamenti diversi.

Così le ordinanze in questione, che, sulla scorta di una decisione della Corte di Giustizia dell’Ue, hanno bocciato il “trattenimento” dei tunisini, si fondano, più che sugli articoli 10 e 13 della Costituzione (uno dei quali, il 10, certamente citato a torto), sopra una direttiva europea, che però secondo alcuni critici risulterebbe inapplicabile, perché non ancora espressamente recepita in Italia (ma una specifica norma di attuazione è poi davvero necessaria per rendere questa direttiva applicabile ed efficace anche nel diritto interno dei paesi membri?).

La Costituzione del 1948, sia o no “la più bella del mondo”, anche se apertissima alle esigenze della collaborazione internazionale e disponibile “in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”, ha le idee molto chiare su cosa sia (o fosse allora o ancora dovrebbe essere) lo Stato con i suoi confini, territoriali e giuridici, e i suoi cittadini, che, in quanto tali, sono, pur nel riconoscimento della comune umanità, in parte oggetto di trattamenti diversi rispetto a chi, non essendo cittadino, viene, dalla stessa Costituzione, definito “straniero”.

Così è indubbio che la disposizione di cui all’art. 13, che vieta qualsiasi forma di restrizione della libertà personale se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria, vada interpretata nel senso della sua applicabilità non solo ai cittadini, ma a chiunque si trovi legittimamente nel territorio dello Stato, ma ciò non significa che la condizione giuridica dello straniero sia necessariamente identica a quella del cittadino, dal momento che l’art. 10/2° comma dispone che questa è regolata dalla legge “in conformità delle norme e dei trattati internazionali”. Tanto meno che lo straniero abbia incondizionato diritto di accesso e permanenza nel territorio dello Stato salvo che gli “sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana”. In questo caso, e solo in questo, lo straniero diviene, per così dire in automatico, titolare di un vero e proprio diritto soggettivo d’asilo nel territorio della Repubblica (art. 10/3° coma), come ribadito dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 4674/1997. Una decisione citata a torto dal Tribunale di Catania dal momento che l’esercizio delle libertà democratiche ha poco a che vedere tanto con le linee della mano che rendono uno dei “suoi” tunisini oggetto di sgradite attenzioni da parte di connazionali convinti che queste chiromantiche caratteristiche lo rendano particolarmente idoneo alla ricerca di miniere d’oro, quanto con i debiti non pagati di un altro e le conseguenti richieste degli insoddisfatti creditori. E anche – qui, se si vuole, da un punto di vista umanitario purtroppo – con l’inadeguatezza del servizio sanitario nazionale del proprio paese lamentata dal terzo.

Ci si può chiedere se i costituenti avessero previsto che le pur consentite, anzi addirittura auspicate in vista dei fini superiori della pace e della giustizia, limitazioni di sovranità avrebbero portato alla liquefazione non solo dei suoi confini, ma del concetto stesso di Stato che costituiva, saldo e indubitabile, l’indefettibile presupposto del loro lavoro. Mi azzardo a dire: probabilmente no, sulla scorta dei lavori della Costituente, dai quali emerge con chiarezza come la nostra Costituzione appartenga ancora – ne è un prodotto – alla modernità, come il mondo del diritto e della politica nel quale affonda le sue radici. Con l’ingresso, imprevedibile per i costituenti, nella post-modernità si sono fatti “liquidi”, assieme all’intera società di cui sono componenti essenziali, anche il diritto e la giustizia, sicché troppo spesso liquidi sono, esattamente come quelli della politica, anche i provvedimenti dell’autorità giudiziaria.

Francesco Mario Agnoli

 

 

 

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