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DEL FESTIVAL DI SANREMO E DELL’EGEMONIA CULTURALE. Di Antonio de Felip.

Scrive Gianluca Kamal su questo sito (https://domus-europa.eu/2023/02/13/lo-specchio-della-surrealta-di-gianluca-kamal/ ): “Del Festival di Sanremo si deve parlare. Soltanto chi possiede la (rarissima) capacità di vivere nel mondo senza per questo essere del mondo, in ispecie quello attuale, può permettersi di parlare dello spettacolo più orrido con la giusta distanza necessaria per un’analisi sin quasi oggettiva.”

Sono totalmente d’accordo. Chi scrive si è ben guardato dall’assistere all’evento televisivo dell’anno e ha visto le infernali oscenità in riproduzioni “di cronaca” successive, ma trovo masochistiche le osservazioni di chi sostiene che “è bene non dare troppa pubblicità a quello che si è visto”. E’ esattamente il contrario: dobbiamo continuare a parlarne, dobbiamo denunciare, dobbiamo protestare, dobbiamo “gridare dai tetti”, dobbiamo esigere conseguenze, anche giudiziarie, per i pervertiti che, dall’alto dell’audience dell’evento, hanno offeso, scandalizzato, insultato milioni di italiani, il buon gusto e il buon senso prima ancora di una morale “basica” in cui la maggioranza della popolazione si ritrova ancora, nonostante le ambiguità, se non le giustificazioni bergogliane che, negando la Dottrina di sempre, “condannano chi condanna”. Tacere significherebbe dare ragione a chi banalizza, minimizza, quasi giustifica (“è solo uno spettacolo”), ciò che si è visto.

In una trasmissione che, tradizionalmente, cattura milioni di spettatori nella vana speranza di una buona musica, abbiamo visto una disgustosa apologia della sodomia, del travestitismo e del transessualismo;  abbiamo visto due partecipanti mimare un coito omosessuale; abbiamo assistito a un appassionato bacio omoerotico, abbiamo ascoltato partecipanti inneggiare alla droga libera o all’aborto; abbiamo sentito un presentatore ordinare ai genitori di corrompere i loro figli: “Spiegate ai bambini che esiste un uomo che ama un uomo e una donna che ha una donna, e che questo è normale.” Sarebbe bene ricordare a questo signore la massima del Vangelo: “Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare.”

Chiediamoci: solo dieci anni fa, solo cinque anni fa, avremmo visto un simile abominio? Probabilmente no. La realtà è che in corso un accelerato processo di anestetizzazione dell’opinione pubblica, di spostamento più in alto dell’asticella dell’accettazione sociale della perversione. Dopo questo, sdoganeranno anche la pedofilia o la zoofilia?

Ciò che rattrista è la significativa mancanza di reazione dell’opinione pubblica, salvo i pigolii di sommessa presa di distanza (ma nulla di più) di alcuni (pochi) esponenti delle destre politiche. Nessuno ha richiesto le dimissioni dei vertici del Festival e della RAI. Solo alcune associazioni pro-famiglia hanno presentato un esposto in Procura. Ovviamente, non avrà seguito: i magistrati d’Imperia, con inusuale solerzia, hanno già chiesto l’archiviazione. L’ex ministro Giovanardi, che ha co-denunciato, ha dichiarato: “L’aver mimato in pubblico un rapporto sodomitico con relativo orgasmo rappresenta un atto osceno che lede il comune senso del pudore”. Le sue parole sono state silenziate dalla stampa mainstream. Riteniamo, impopolarmente, che anche un disgustoso bacio sodomitico tra maschi rappresenti un atto osceno. O anche qualcosa di peggio.

Ma fa ancor più male il clamoroso silenzio della chiesa, anche locale, evidentemente intimorita dalle prese di posizione di Bergoglio che non solo ha rinunciato ad ammonire riguardo a un peccato “che grida vendetta dinnanzi a Dio”, come afferma la Dottrina e il Catechismo di sempre, ma, di più, è giunta all’inversione del giudizio, a “condannare chi condanna”, come abbiamo visto. Osserva la scrittrice cattolica Silvana De Mari: “Nessuna autorità ecclesiastica ha protestato. Qualcuno comincia a sospettare qualche conflitto di interesse. Il cattolicesimo sta diventando una religione molto carina: opinabile, discutibile, porzionabile, vegetariana, gay friendly, sostenibile e di basso impatto.”

Perché questa scandalosa esibizione? Potenza della intoccabile lobby omosessuale? Volontà di épater le bourgeois? Certo, in questa gente c’è anche un gusto infantile e adolescenziale di stupire, di scandalizzare, di provocare per poi godere delle reazioni, di ammantarsi di un vittimismo piagnucoloso, di accusare tutti di censura.

L’esaltazione del brutto, dell’osceno, del sacrilego che spesso vediamo nell’arte contemporanea ha un che di infero: il trionfo del brutto, dell’orrido, dell’informe, del deforme. Lo storico dell’arte Hans Sedlmayr nel suo testo Perdita del centro testimonia del prevalere nell’arte contemporanea dell’elemento “notturno, pauroso, morboso, molle, morto, putrefatto e sfigurato, il tormentato, dilaniato, ottuso, osceno, l’invertito”. Mutatis mutandis, questo elenco può anche applicarsi all’offerta televisiva odierna, a molte sue trasmissioni, documentari, film, fiction. Più che dai normali programmi informativi, pur impregnati di menzogne e omissioni (avete mai visto in TV la recensione di un libro “di destra”?), il pervasivo inquinamento etico-politico passa soprattutto per la cosiddetta offerta di entertainment, soprattutto film e fiction, rispetto alle quali la nostra personale “vigilanza mentale” si abbassa inevitabilmente. Così, attraverso queste trasmissioni viene imposta una strisciante, quasi inavvertita irrisione della famiglia, la propaganda omosessualista, gender e transessualista, la proposizione/imposizione delle cosiddette “famiglie arcobaleno”, la condanna e la diffamazione di idee e modelli tradizionali. Questo trend di crescente propaganda liberal-progressista, prodromica alla criminale cancel culture, è iniziato nei soliti Stati Uniti fin dagli anni ’80 (forse anche prima) con fiction volte a modificare nel profondo il comune sentire delle famiglie americane. Le fiction italiane sono oggi un trionfo di vittimismo femminista, omosessualismo, propaganda immigrazionista, assenza di modelli familiari virtuosi (o forse dovremmo dire solo “normali”).

Ma c’è un’altra ragione che rendono molto preoccupanti trasmissioni come Sanremo. Il Festival, e quel che ci ha mostrato, è stata una straordinaria, muscolare, violenta, arrogante esibizione del dominio totale del sistema mediatico-informativo della sinistra, della sua totalitaria egemonia culturale in tutte le sue sembianze, anche quelle en travesti. Ci hanno mandato un minaccioso messaggio: “Cari piccoli borghesi clerico-fascistoidi, vi facciamo vedere chi comanda qui. Esiste una nuova normalità a cui voi non dovete opporvi. Se lo fate, vi accuseremo di censura omofoba e vi toglieremo la parola, se non vi metteremo in galera con le nuove leggi Zan.” E “qui comandiamo noi” non si riferisce solo al Festival e alla Rai. Quel “qui comandiamo noi” è riferibile a tutti i gangli della società che “loro” occupano da anni: la scuola, l’università, le associazioni di docenti di ogni livello, le case editrici, i testi scolastici, i premi letterari, le mostre librarie, le fondazioni culturali, i think-tank, i cosiddetti “social”, la stampa tutta o quasi, l’informazione televisiva, le fiction di ogni genere, il cinema, gli spot pubblicitari, le radio e poi la magistratura, i sindacati, le associazioni dei consumatori, i centri sociali, il variegato mondo omosessualista-genderista (appunto), le lobby eutanasiche e abortiste, le associazioni ecologiste, i gruppi di quartiere, le parrocchie, le Onlus e le ONG immigrazioniste, le beghine e i collitorti dell’equo-solidale, spesso anche gli ordini professionali (basti pensare al ruolo dell’Ordine dei medici nella repressione per conto della dittatura sanitaria), i gruppi di avvocati dediti alla protezione delle ONG immigrazioniste e dei clandestini. Nei comuni gestiti dagli eco-comunisti, le giunte finanziano associazioni e punti di aggregazione vicine alla sinistra e ai centri sociali. E poi fondazioni e lobby di vario genere, come quelle di oligarchi come Soros, che inondano di soldi partiti e associazioni di sinistra.

A fronte di tutto ciò, le destre non hanno mai saputo (e ancor di più oggi, visto che ormai molti dubitano dell’esistenza di una qualsiasi destra che non sia arrendevole al mainstream, a favore dei cosiddetti “diritti civili”, europoide e atlantista) mettere insieme uno straccio di strategia (chiamatela “gramsciana”, se vi piace) di contro-occupazione dei nodi della società civile che influiscono sulle mentalità collettive, sul comune sentire, sulle idee condivise. Per restare in RAI, questa ha avuto amministratori, direttori di TG e di canali, addirittura presidenti “in quota” alla destra. Hanno occupato diligentemente il loro posto, ma nulla è cambiato, la RAI ha continuato ad essere una fonte di disinformazione gauchista, beceramente antifascista e culturalmente schierata con la sinistra, se non con l’estrema sinistra, propagandando l’ecologismo più ottuso e antiscientifico, antiumano e menzognero, l’immigrazionismo più vittimistico e piagnone, la più dissennata decostruzione dei valori tradizionali, la più fanatica difesa di presunti “diritti civili”.

Eppure sono anni che intellettuali anticonformisti richiamano l’attenzione delle destre politiche sulla necessità di un maggiore impegno, soprattutto di lungo periodo, per la conquista dei molti “fortini culturali” oggi in mano alle sinistre di ogni specie, con l’eliminazione delle molte censure, la diffusione di valori realmente etici, la difesa delle identità e delle sovranità contro i falsificanti, oppressivi diktat dell’Unione europea o della NATO.

Ha recentemente scritto Marco Tarchi sulla sua rivista Diorama: “per condurre efficacemente un’azione di questo tipo occorre costruirsi preventivamente un solido retroterra fatto di scuole di formazione, laboratori di idee, intelligenze creative […] centri che offrano le conoscenze tecniche necessarie a chi voglia operare in campi oggi dominati da idee e narrative progressiste, come il cinema, il teatro, la scena musicale […] convincere chi ne ha le qualità a impegnarsi in modo intelligente e accorto in percorsi che possano condurre un domani a occupare ruoli di insegnamento nella scuola e nell’università. Insomma, con decenni di ritardo, occorrerebbe seguire la strada di chi la lezione di Gramsci l’ha imparata e divulgata sul serio. Ma per la destra, che punta da sempre al tutto e subito e alla politica spicciola, mi sembra una prospettiva utopica.”

Ecco perché, anche l’anno prossimo, in quella desolata terra di Mordor che è diventata la RAI, ma non solo, forse l’Italia tutta, gli italiani saranno nuovamente offesi, senza potersi difendere, da nuove disgustose perversioni del Festival di Sanremo.

Antonio de Felip

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