Esiste un legame profondo, di carattere archetipico e quasi ontologico, fra la filosofia e la politica, e fra il Filosofico e il Politico. Occorre stabilire come sia possibile questa omologia e quali siano le sue implicazioni.
Guardando la storia della filosofia e dei sistemi politici, è chiara sin da subito una regolare continuità fra filosofia e politica. Le due discipline, infatti, si sono sviluppare in parallelo, quasi inscindibili, come ci testimoniano anche i padri della tradizione filosofica presocratica greca[1]. D’altronde l’intera filosofia greca ci ricorda il profondo legame fra le due materie, specie in Platone quando viene rammentata l’importanza dei filosofi come consiglieri di governo del monarca[2]. Il contenuto tematico della filosofia e della politica è quella sfera originaria che unisce filosofia e politica in un certo comune orientamento. In altre parole, voglio dire che non stiamo unendo artificialmente due sfere, una della politica e una della filosofia, ma piuttosto rimuovendo una distinzione artificiale. Non si tratta di studiare la politica con l’aiuto della filosofia, ne stiamo parlando della filosofia politica dell’una o dell’altra scuola, epoca, cultura o civiltà. Quando parliamo di filosofia della politica, stiamo parlando da un lato dell’essenza della politica, di ciò che rende tale la politica; dall’altro, facciamo riferimento dell’essenza politica della filosofia, di ciò che rende la filosofia quel che è. C’è però una differenza da rilevare: la filosofia è preponderante, perché la politica senza la filosofia non può sussistere. La politica è, dunque, una forma di filosofia applicata ad un certo ambito della vita umana. La filosofia senza politica è invece teoricamente possibile, tant’è che molti rami di essa non si occupano di politica. La disuguaglianza in cui la filosofia predomina viene in un certo senso colmata con lo studio che essa fa della politica, cercandone i presupposti filosofici ed osservandone la prassi, dall’elemento più generale fino al più dettagliato.
È in questa organica esistenza di filosofia e politica che si originano tutti i sistemi politici e allo stesso tempo avviene la cristallizzazione del sapere filosofico. Sebbene esista una filosofia che, libera dalla politica, si occupa di questioni non politiche, anche una tale filosofia libera e non-politica e collegata in un modo o nell’altro alla politica, in quanto filosofia e politica hanno una radice comune. Pertanto, se la filosofia tratta di questioni estetiche, storiche e culturali, senza dir nulla sulla politica, ciò non significa che si tratti di un fenomeno completamente separato da quest’ultima. Qualsiasi filosofia, anche la più astratta, ha una dimensione politica, in alcuni casi espressa esplicitamente. Quando la filosofia non dice nulla sulla politica, vi è comunque in essa la presenza di un paradigma filosofico di un particolare tipo, che porta in se la possibilità di una dimensione politica. In un caso questa e esplicita, accessibile e manifesta; nell’altro e implicita e repressa.
Studiare la filosofia senza la politica è un chiaro indebolimento del concetto di filosofia e, d’altra parte, lo studio della politica senza filosofia non e in alcun modo valido. Qui si può rintracciare una scaturigine del problema dell’ignoranza ed incapacità di molti politici, i quali non sono in grado di svolgere il loro compito perché non conoscono la filosofia e, conseguentemente a ciò, attuano una politica malfatta. Di più, in rispetto all’omologia che abbiamo stabilito, potremmo dire che chi non studia filosofia non può essere un politico, risultando invece un semplice impiegato per la burocrazia del governo, o peggio ancora un servo di un potere sovraordinato.
Dacché ogni sistema filosofico porta in sé una dimensione politica, ma non tutti i sistemi sviluppano tale potenza, è sensato cercare di capire come la nostra omologia in questione si dispieghi nella storia e come la si possa definire parte di un tutt’uno ancora valido per il nostro tempo.
La storia della filosofia e la storia della politica seguono pedissequamente lo stesso andamento: se la filosofia si muove in una direzione, la politica non può muoversi in un’altra direzione. La politica si muove insieme alla filosofia. Se qualcosa cambia nella filosofia, qualcosa si modificherà in politica. Se qualcosa muta in politica significa che qualcosa e mutato nella filosofia, predeterminando tale cambiamento in politica. La politica non è autonoma in relazione alla filosofia. La politica è spesso, non sempre, più visibile. Sotto il profilo storico, gli avvicendamenti di dinastie, leader, principi, imperatori, guerre, tutto ciò scaturisce da una evidente decisione politica, la quale però non e mai distinta dalla filosofia. Ciò che osserviamo e la decisione politica, ma ad essa e sottesa una decisione filosofica che noi non vediamo e che tuttavia e presente. Dal punto di vista della filosofia della politica, la storia politica e una sezione della storia della filosofia, totalmente dipendente da quest’ultima. Nessun politico è libero dalla filosofia, e nessun filosofo può fare a meno di essere considerato alla luce della sua dimensione politica implicita. In altre parole, il quadro storico, la storia in quanto tale, l’ascesa e il crollo dei regni, la creazione e la morte delle civiltà, i conflitti tra civiltà, le rivoluzioni politiche, tutto questo ha una dimensione filosofica alle spalle, non sempre evidente e non sempre riconoscibile, ma il compito di chi studia la filosofia della politica e quello di elaborare questa totale omologia nella sua interezza, questo simile (ὁμο, Omo) discorso (λόγος, Logos). Il senso della storia è politico-filosofico o filosofico-politico. Tutta la storia è caratterizzata da queste due facce: da un lato essa e la storia dei regni, dall’altro e la storia delle idee. Così, se ci focalizziamo sulla dimensione filosofica, per esempio sul passaggio dall’idealismo soggettivo all’idealismo oggettivo, questa sarà necessariamente connessa ad una dimensione politica identica, ad una transizione da un modello politico all’altro, a cambiamenti nelle configurazioni delle religioni – e questo è un problema in primo luogo filosofico, teologico– e a mutamenti radicali nel contenuto dei processi politici in atto nella società in cui tale filosofia viene a diffondersi.
Per capire ancora meglio, conviene richiamare il concetto di Politico espresso da Carl Schmitt nel XX secolo. Schmitt distingue la politica dal Politico[3]. Nel considerare il Politico, egli usa un aggettivo come un sostantivo: l’articolo das indica precisamente che abbiamo a che fare con un sostantivo. In tedesco questo e molto chiaro: das Politische, in contrapposizione a mero politische. Politico e politica sono pertanto due cose differenti. Per politica, intende l’applicazione del politico a una specifica realtà sociale. La concretizzazione della politica è la materializzazione del Politico, das Politische, che è quel punto di connessione del figlio (politica) con il padre (filosofia), in senso generativo e derivativo ma, al contempo, sostanziale. Il Politico, cioè, rappresenta precisamente l’ambito della politica filosofica, la sfera dove la filosofia si collega direttamente alla politica, ciò che abbiamo chiamato l’omologia di filosofia e politica.
Altro concetto che possiamo rilevare da Schmitt è quello di pre-concetto, in tedesco Vorgriffe: si tratta di una singolarità del Politico nella sua forma pura e che costituisce interamente il campo del Politico stesso. Il pre-concetto politico è un fenomeno interessante, perché coincide con il momento in cui la filosofia diventa politica, è la fase di transizione, il divenire di questo mutamento. Quando la filosofia è diventata politica, ecco che abbiamo a che fare con il Politico. Siamo propriamente davanti ad un pre-concetto quando un concetto politico viene predisposto sulla base di un contenuto filosofico. Studiando, quindi, i pre-concetti, studiamo l’omologia di cui abbiamo detto in precedenza.
Lo studio dell’omologia di filosofia e politica, di ciò che è comune a queste due sfere asimmetriche, e lo studio dei pre-concetti è il compito della filosofia della politica. Una sorta di campo dell’esistenza, dove la molteplicità della filosofia si interseca con la molteplicità della politica. Qui si situa precisamente ciò che è comune ad entrambe: il Politico, che la filosofia della politica si incarica di studiare.
Abbiamo dunque stabilito, in brevis, l’omologia sussistente fra filosofia e politica, e ancora fra il Filosofico e il Politico. Un tutt’uno, un unico amore, μια αγάπη per dirlo in greco antico, la cui importanza perdura nel tempo e la cui considerazione può essere valido fondamento per un rinnovato slancio ad una buona politica.
Bibliografia
- d’Aquino, Commento alla Politica di Aristotele, a cura di L. Perotto, ESD, Bologna 1996
- Catenaro, Il pensiero politico in Platone. La vita politica come scelta di vita morale, Edizioni Ricerche&Redazioni, Teramo 2013
- Dugin, Platonismo politico, tr. It. D. Mancuso, AGA Editrice, Milano 2020
- M. Pacini, Scuola di Pensiero Forte. Volume 1, Il Pensiero Forte, Wroclaw 2019
- M. Pacini, Scuola di Pensiero Forte. Volume 2, Il Pensiero Forte, Wroclaw 2020
Platone, La Repubblica, ed. it. M. Vegetti, testo greco a fronte, BUR, Milano 2019
Platone, Protagora, ed. it. G. Reale, La Scuola, Brescia 2013
- Schmitt, Le categorie del Politico, ed.it. G. Miglio, Il Mulino, Bologna 1972
- Schmitt, Sul concetto di politica, ed.it. D. G. Bianchi, Mimesis, Milano-Udine 2013
[1] I cosiddetti Sette Savi, ricordati anche da Platone nel Protagora (343 a), che sono Talete di Mileto, Pittaco di Mitilene, Biante di Priene, Solone, Cleobulo di Lindo, Misone di Chene e Chilone di Sparta.
[2] Cfr. Platone, Repubblica, Libro VI. Ai filosofi viene affidato il compito non solo di consigliare il sovrano, ma anche di trasferire le norme assoluto e universali dal mondo delle idee alla realtà umana, in quanto sono gli unici che possono capire cosa sia il Bene e, quindi, derivarne le norme etiche per l’agire.