In un interessante docufilm del giornalista e scrittore basco Alberto Santana, “Una historia de Vasconia 9. Triumpho y caida del carlismo basco”, Malmasin Kultur Elkartea (1), il Santana, nel contesto di una interessante serie di programmi che riguardano la storia basca, di tutti i tempi, ha affrontato il tema del Carlismo e dei suoi rapporti con il nazionalismo basco.
Com’è noto, i reparti militari carlisti, i Requetés, dalla divisa cachi e dal caratteristico basco rosso, la boina roja, dettero un contributo fondamentale alla vittoria dei nazionalisti (nel senso degli insorti contro la Repubblica spagnola) nella guerra civile spagnola del 1936 – 1939, dapprima, con un totale di circa diecimila uomini mobilitati lo stesso 19 luglio 1936, nella Plaza del Castillo di Pamplona agli ordini della guida della cospirazione militare, il generale Emilio Mola Vidal, governatore militare di Navarra e poi comandante dell’Esercito del Nord e, successivamente, del Generalissimo Francisco Franco, fino ad arrivare ad un totale di circa centomila uomini per tutto il periodo della guerra civile.
È dai carlisti e dall’entusiastica adesione all’insurrezione della pressoché totale popolazione della Navarra e di Álava che quello che, in altre aree della Spagna, si presentò come un colpo di Stato, per di più fallito all’inizio, sarebbe divenuto l’ Alzamiento nacional.
Accanto ai requetés carlisti combatterono, oltre a parte dell’esercito e al Tercio de los extranjeros (la “Legione straniera” spagnola), la Falange española la y de las Jons, una formazione nata poco tempo prima dell’Alzamiento su imitazione del fascismo italiano, oltre a formazioni minori.
Insieme alle formazioni repubblicane, ma in posizione distaccata per l’orientamento cattolico dei nazionalisti baschi, fu costituito l’Eusko Gudarostea, l’esercito basco, il
cui nucleo fondamentale era costituito dai gudaris, i soldati baschi che avevano uniformi eterogenee, ma indossavano anch’essi la boina che, a differenza dei carlisti, era nero o sostituito da un elmetto in dotazione alle forze armate spagnole.
L’argomento, oggetto del presente studio, merita un particolare approfondimento sotto molteplici profili ( autonomia e separatismi, problema del postconcilio, rapporti tra le diverse anime del cattolicesimo, genesi del più antico partito democristiano della storia, quello nazionalista basco e rapporti, dapprima fraterni, poi confliggenti, tra il carlismo basco e il movimento nazionalista di Sabino Arana y Goiri) perché, normalmente quando si parla di “Baschi”, ci si riferisce a una parte, più o meno alla metà di questo popolo che, dopo molte esitazioni (questo non lo si ammette), ritenne di doversi schierare con la Repubblica contro la cospirazione “militare – carlista” e falangista che aveva, come ho detto, il suo epicentro “direttivo” a Pamplona, in Navarra, nel quartier generale del governatore militare Emilio Mola Vidal che operava con l’appoggio entusiastico dei Requetés navarresi e della stragrande maggioranza delle popolazioni di Navarra e Álava.
Nell’ordinamento militare di allora, la Navarra era sede, in particolare, della X Brigata di Fanteria e di formazioni minori, tutti reparti inquadrati nella VI divisione organica di Burgos, al comando del generale Domingo Batet che, essendo rimasto fedele alla Repubblica, sarebbe stato passato per le armi dagli uomini di Mola.
La vulgata dominante, fatta propria da tutta una corrente di intellettuali francesi di impronta “cattolico – democratica” e “bergsoniana”, come Jacques Maritain (e la moglie Raissa Oumançoff), Georges Bernanos e François Mauriac, prese, com’è noto, una posizione del tutto isolata e “controcorrente” nell’ambito del mondo cattolico.
Si trattava di una guerra, quella civile spagnola, dai fronti singolarmente netti in cui ciascuno dei due “Bandi”, per usare la terminologia di allora, stava, come dire, nel posto giusto, nel senso che il discrimine tra i due schieramenti era l’atteggiamento verso la Chiesa cattolica che aveva “battezzato” l’Alzamiento. Non si discute.
I cattolici stavano tutti con i generali insorti, mentre i loro nemici erano nemici anche, anzi, soprattutto, della Chiesa.
Tutti i cattolici con l’Alzamiento, ma con una eccezione: i cattolici “baschi”, proclamati con sconcertante superficialità da questi intellettuali, filosofi, letterati e (in parte) teologi, ma singolarmente privi di cultura storico linguistica. Già perché questi intellettuali, isolati allora ma acclamati nel post concilio, specie da Paolo VI, non sapevano che i baschi della Vizcaya e della Guipúzcoa, quelli che (non del tutto convinti) parteggiarono per la Repubblica, non esaurivano il popolo basco perché ne rimanevano fuori la Navarra e Álava che, invece, si schierarono con gli insorti.
Sempre prendendo la “parte per il tutto”, cioè i baschi “atlantici” della Vizcaya e (in minor misura) della Guipúzcoa dai caratteristici baschi verdi o neri, enfatizzandone il loro cattolicesimo di stampo “democristiano”, questi intellettuali francesi, esperti dal punto di vista teologico ma singolarmente sprovveduti dal punto di vista storico e politico, cercavano, quindi, di negare l’aperta azione anticattolica delle formazioni comuniste ed anarchiche e la persecuzione della Chiesa nella zona repubblicana invocando, in sostanza, l’esiguo e strumentale cattolicesimo dei nazionalisti baschi, come se questo potesse controbilanciare l’appoggio unanime della Chiesa all’Alzamiento Nacional e, soprattutto, il profondo e onnipervadente cattolicesimo (tradizionalista) dell’Esercito e soprattutto della Comunion Tradicionalista cioè dei carlisti.
Dopo la guerra civile, il nazionalismo basco sarebbe scivolato addirittura in un’incredibile deriva rivoluzionaria, sfociando nel separatismo e poi nel terrorismo dell’ETA (Euzkadi ta Askatasuna, cioè Patria Basca e Libertà), giungendo addirittura quasi a rinnegare il tradizionale retaggio cattolico.
La Navarra invece è rimasta fedele alla sua storia ed estranea a questa deriva tanto che, mentre le tre province basche di Vizcaya, Guipúzcoa e anche Álava formano la Comunidad Autónoma de Euzkadi, la Navarra costituisce, invece, la Comunidad Foral de Navarra e resiste tenacemente e risolutamente a tutti i tentativi della prima di inglobarla.
Tutte queste quattro aree sono, quindi, culturalmente e linguisticamente basche; la Navarra in maniera prevalente (non esclusiva) ma, politicamente, quest’ultima è separata dalle altre.
Chi sono i baschi ?
Prima di affrontare l’evoluzione dei rapporti tra carlisti e nazionalisti baschi fino allo scontro aperto, verificatosi nella guerra civile, sono indispensabili alcune brevi considerazioni sui baschi e sulle loro origini e storia.
Il basco (euskera ) è un concetto etnolinguistico che caratterizza una certa area della Spagna (e della Francia) e che si collega alle popolazioni cromagnoidi, all’origine dei gruppi umani che popolarono l’Europa, grosso modo attorno al 30.000 a. C. Sotto il profilo linguistico, l’euskera è una lingua preindoeuropea e, tra l’altro, agglutinante (in cui il prefisso, il tema e il suffisso non si modificano ma rimangono inalterati), come in antico l’etrusco e oggi, ad esempio, l’ungherese e rappresenta il più antico sostrato delle lingue che precedettero l’espansione e l’affermazione delle lingue indoeuropee.
I baschi sono, quindi, una sorta di relitto preistorico, un fossile sia dal punto di vista etnico che linguistico.
La Navarra si costituì in Regno che è, formalmente, all’origine anche degli altri Regni spagnoli di Castiglia, Aragona e León; conquistati un po’ militarmente, come il Regno del León, un po’ per via matrimoniale, come la Contea di Castiglia, furono quindi oggetto di successione tra i figli del grande re navarro Santxo III el Mayor che morì nel 1035, suddividendo il Regno per via familiare. I due figli a cui Santxo lasciò rispettivamente la Contea di Castiglia e quella d’Aragona, morto il padre, proclamarono Regni indipendenti e non riconobbero la loro filiazione dalla Navarra. Questa perdette piano piano la sua influenza sulle Provincias Vascongadas, cioè su Vizcaya, Guipúzcoa e Álava che erano state istituite come sviluppo dell’espansione dei Vascones, cioè della tribù insediata nel territorio della futura Navarra e che diedero il nome all’intero popolo (2)
La Navarra rimase per molti secoli indipendente, mentre gli altri territori baschi si staccarono da essa di cui erano pertinenza e furono assoggettati per lo più dalla Castiglia.
Se si esamina la bandiera del Regno di Spagna si noterà, su campo giallorosso, uno scudo racchiudente altri quattro scudi e in fondo, in basso, un melograno. Lo scudo in alto a sinistra presenta un castello che esprime il Regno di Castiglia; quello in alto a destra, con l’effigie di un leone, rappresenta il Regno del León; in basso a sinistra, a strisce giallorosse, è lo scudo del Regno di Aragona, mentre quello in basso a destra, con una catena gialla in campo rosso, è lo scudo del Regno di Navarra. Il melograno, sul fondo sotto tutti gli altri, è il Regno di Granada, l’ultima ridotta islamica rimasta dopo la vittoriosa Crociata iberica dei quattro Regni cristiani del Nord chiamata Reconquista.
Nella vittoria sui Mori, un ruolo decisivo lo giocarono proprio i Navarri di Sancho VII che, alla battaglia fondamentale di Las Navas de Tolosa, di martedi’ 17 luglio 1212, con un’audace manovra aggirante, riuscirono a penetrare nei pressi della tenda che ospitava il califfo Al Nasir che, vestito di verde, fece appena in tempo a darsela alla fuga, abbandonando i suoi uomini. Robuste catene proteggevano quella tenda e tenevano fermi gli uomini della “guardia negra” del califfo ma le catene furono spezzate dalla furia dei navarri e ora esse ornano lo scudo di Navarra insieme ad un’altra preda bellica, uno smeraldo verde, posto al centro, in ricordo di quello che il califfo portava sul turbante e che, nella fretta di fuggire, lascio’ agli audaci uomini di Santxo (o Sancho) VII.
I simboli della bandiera spagnola indicano anche, con estrema chiarezza, quello che fu il fine dei quattro regni cristiani del nord e che costituisce anche il fine particolare della Spagna (o, meglio, delle Spagne), la sua missione storica e cioè proprio la Reconquista e l’affermazione di un cristianesimo cavalleresco e combattivo.
Il momento centrale e unificante della storia della Navarra e delle altre terre basche fu il Carlismo il cui elemento scatenante fu una disputa dinastica scoppiata nel 1833, alla morte senza eredi maschi del Re Ferdinando VII.
In ossequio alla riforma della legge successoria, era stata incoronata l’infanta Isabella che avrebbe governato attraverso la reggenza della madre Maria Cristina di Borbone Due Sicilie.
Il fratello del Re, il principe Don Carlos Maria Isidro, ritenendo valido il precedente sistema successorio, rivendicò la corona di Spagna e considerò illegittima la decisione del fratello.
Dal 1833 e sino al 1876, i carlisti scatenarono tre guerre civili contro la monarchia liberale, rivoluzionaria e centralistica di Madrid, guerre che li videro sempre soccombenti. Poi, col progredire del processo rivoluzionario verso il radicalismo, l’anarchismo e il social comunismo, i carlisti, organizzati nella Comunión Tradicionalista, si prepararono all’insurrezione armata contro la Repubblica anticattolica che prese il posto della monarchia liberale.
Il Carlismo come reazione cattolica e controrivoluzionaria.
Vi è nella storia un movimento di adesione al messaggio evangelico non solo degli uomini singolarmente presi ma anche della società. Questa risposta positiva ha portato alla nascita della civiltà occidentale col suo caratteristico connubio di annuncio del Vangelo di Cristo, diritto romano, filosofia greca e retaggio “eroico” del mondo germanico. Era un mondo perfettibile come tutte le cose umane purché fosse rimasto fedele alle sue origini. Finché ciò è accaduto, l’Europa e le sue propaggini nel resto del mondo sono rimaste unite ma, ad un certo punto della storia, ha preso il sopravvento uno spirito di divisione e di confusione, una tendenza di “aversio a Deo et conversio ad creaturas”.
Questa tendenza è un male ingravescente, un processo in cui questo fenomeno si è via via aggravato percorrendo un iter con una scansione in tappe di sovvertimento.
Dalla rottura dell’unità religiosa, provocata dalla riforma protestante, si è passati alla rivoluzione francese con l’espulsione di ogni riferimento a Dio nella società civile e politica. E poi, al socialcomunismo e poi all’ultima fase, quella che stiamo vivendo, quella della “rivoluzione” “in interiore homine”.
Quando si produssero gli aspetti più gravi e pericolosi del fenomeno rivoluzionario “giacobino”, cioè il “Terrore”, iniziò la reazione del popolo della Vandea e dell’ovest francese, sotto il segno del Sacro Cuore, della devozione mariana e dei frutti della predicazione di San Luigi Maria Grignion de Montfort.
Il fenomeno raggiunse anche l’Italia e anche le nostre campagne del Trasimeno, di Castel Rigone e Città di Castello e, più tardi, Arezzo e la Toscana, con i “Viva Maria”.
Un secolo dopo, come reazione alla pressione liberale e accentratrice della Corona di Madrid e alla recezione del modello illuministico che gli ambienti “infrancesati” volevano imporre alla Spagna e sfruttando l’occasione della disputa dinastica, si affermò il Carlismo il cui programma si può sintetizzare in queste quattro parole : “Dios, Patria, Fueros, Rey”. Tutte, nessuna esclusa.
Dio e la Sua Chiesa cattolica sono alla base di tutta la visione del mondo carlista e i membri della Comunion Tradicionalista sono impegnati nell’attiva difesa della Chiesa nella società.
La Patria come comunità di destino delle Spagne.
Nessun nazionalismo e nessun centralismo. Il contesto culturale carlista è medioevale, non assolutista.
Fueros. Sono le consuetudini delle comunità locali formatesi nel corso dei secoli a cui il Re, sotto la quercia di Gernika, riconosceva la sua protezione e la sanzione contro il comportamento “contrafuero”.
Re, che era tale se asceso al trono secondo la legittimita’ forale, era il “difensore del povero” e il “custode della giustizia”. Esercitava un potere di governo limitato dal deposito della fede, dai consigli e dai corpi intermedi (si veda la voce “Carlismo” in wikipedia, “Dios, Patria, Fueros e Rey“)
Il Carlismo non era un fenomeno esclusivamente basco – navarro ma era esteso a tutta la Spagna. È innegabile però che le sue terre d’elezione fossero proprio la Navarra e le Province basche oltre alla Catalogna, cioè le aree della Spagna che oggi presentano i più forti sentimenti autonomistici.
In definitiva, che il Carlismo difenda l’identità storico culturale dei popoli ispanici e, in particolare, di quelli che si chiamano gli euskaldunak, cioè i parlanti la lingua euskera, cioè il basco, è un dato di fatto incontestabile, ma questo non faceva dell’adesione di un basco della Navarra o dell’Álava al Bando nacional, cioè allo schieramento insorto, un fatto di natura etnico linguistica. Nel modo più assoluto. Essa aveva una motivazione prettamente religiosa e di adesione al modello medioevale delle Spagne.
Quando, verso la fine dell’Ottocento, nacque quella realtà moderna che è il Partito Nazionalista Basco, la sua diffusione era del tutto limitata alla città di Bilbao e a una parte del tutto minoritaria della Provincia a cui la città apparteneva, cioè la Vizcaya. Tutto il resto del paese basco, nel senso linguistico, era massicciamente dominato dai carlisti, che nel 1869, avevano dato vita alla Comunión Tradicionalista.
Balzano da questo sunto le caratteristiche della Navarra rispetto alle altre due province basche, Vizcaya e Guipúzcoa, con l’ Álava in una posizione intermedia.
Occorre precisare che vi è un’area basca anche in Francia, l’Iparralde, comprendente le tre province storiche di Labourd, Soule e Bassa Navarra, amministrativamente ricomprese nel dipartimento dei Pirenei atlantici, in Nuova Aquitania. Al di là delle alterne e complesse vicende amministrative, questi territori formavano con la Guascogna, una caratteristica koinè euskariana; la capitale storica di tale ultima “regione culturale” è Auch, oggi nella regione dell’Occitania; è la patria del personaggio di Chares de Batz de Castelmore, conte d’Artagnan, nato nel castello di Castelmore, a una trentina di chilometri dalla città, immortalato nei romanzi di Alexandre Dumas.
Ma lasciamo da parte l’area basca francese e limitiamo l’analisi è circoscritta all’area basca spagnola.
La Navarra, ampiamente romanizzata, sin dal 75 a. C., quando Pompeo fondò la città di Pamplona sul piccolo villaggio basco di Iruña, divenne presto sede di un Regno che accorpava non solo la terra abitata dai Vascones, cioè la Navarra propriamente detta, ma anche le proiezioni atlantiche della futura “Euzkadi”, abitate allora da tribù di incerta origine, come i “caristi” che occupavano (più o meno) la Vizcaya, gli “autrigoni” insediati tra l’ Asòn e il Nerviòn (probabilmente celti), i “varduli”, situati tra i cantabri e i vasconi. Neppure i “varduli” erano baschi (3).
In sostanza, erano i “vascones” i futuri navarri, i veri baschi dei popoli preromani della zona; è dall’epicentro navarro che si costituì, progressivamente, il Regno di Pamplona e, successivamente, di Navarra, che unificò dall’anno 1000 fino al 1035 circa tutte le genti parlanti la lingua euskera, cioè il basco, e divenne uno dei quattro Regni cristiani del nord, protagonisti della Reconquista.
La Navarra è un “prodotto” diretto del Medioevo, ed è rimasta psicologicamente un Regno, cioè una comunità di destino e non etnica, pur difendendo ed affermando la sua identità culturale e linguistica, cioè il suo “baschismo” che è il più profondo di tutti perché rimonta alle origini preromane. Ancor oggi, nel Paseo de Sarasate di Pamplona, svetta il monumento ai Fueros, e, dietro, vi è il palazzo della Diputación Foral de Navarra.
Ma tutto, entro una cornice: prima Dios, poi la Patria, cioè le Spagne, poi i Fueros e, infine, in ultimo, il Rey “que los es por fuero”, cioè per diritto.
Il Partito Nazionalista basco (Eusko Alderdi Jeltzalea – EAI).
Il luogo dove nasce questa realtà, che avrebbe a lungo convissuto con il Carlismo, è la Vizcaya. Anch’essa era stata e in parte sarebbe rimasta carlista. Affacciata
sull’Atlantico, scarsamente romanizzata, si organizzò sin dal X secolo come signoria nell’orbita della sovranità della Navarra, finché, più o meno dal 1040, sotto i Lopez de Haro, voltò le spalle a quest’ultima e si volse verso la Castiglia, conservando però i propri fueros, a cui i Re di Castiglia dovevano giurare fedeltà sotto la secolare quercia di Guernica, in basco Gernikako Arbola (albero di Gernika), che divenne il simbolo della secolare autonomia basca e anche il titolo di un inno che avrebbero cantato con identico entusiasmo, sparandosi l’uno contro l’altro, i tercios navarros e alaveses, da una parte, e i gudaris repubblicani, dall’altra
Poi la Vizcaya sarebbe divenuta l’epicentro del “baschismo” nazionalista.
Anche la Guipúzcoa nacque nell’orbita della Navarra, come signoria, fin quando i suoi abitanti (pescatori e commercianti) non preferirono anch’essi la Castiglia.
La terza “provincia”, Álava, fu sottratta alla Navarra con la forza. E infatti, tra le tre, è sempre stata una sorta di “provincia” sorella di quest’ultima con la quale avrebbe aderito al Bando nacional e, finita la guerra, avrebbe goduto (come la Navarra) di una limitata ma significativa autonomia. Poi, nel 1978, scelse di entrare nella Comunidad Autónoma de Euzkadi, pur in presenza di una popolazione più conservatrice rispetto alle altre due “ex Province” e non entusiasta della nuova configurazione, ottenendo però come concessione che la capitale della nuova regione fosse Vitoria, in basco Gasteiz.
Quest’area atlantica delle terre basche, lasciando perdere per un attimo Álava, che vi appartiene per contingenze politiche, è decisamente moderna e proiettata verso l’esterno. Il nazionalismo basco che sorse a Bilbao come una vera e propria eresia carlista, è la tipica espressione del nazionalismo ottocentesco con simboli (in gran parte inventati a tavolino) quali l’ikurriña, la bandiera della nuova Comunità, creata nel 1894 dai fratelli Luis e Sabino Arana. Si tratta di un emblema che si riferiva in origine alla sola Vizcaya: lo sfondo rosso era appunto il colore di quest’ultima, la croce di Sant’Andrea verde era il simbolo del patrono della Vizcaya, mentre la croce bianca sovrapposta a quella verde, è il simbolo della religione cattolica.
Sabino Arana y Goiri, proveniente da una ricca famiglia carlista di Bilbao, costitui nel 1894 il Partito Nazionalista Basco o PNV (Eusko Alderdi Jeltzalea). Si trattava e si tratta di un partito democristiano conservatore, il più antico della storia ma con una forte venatura razzista contro i “maketos” castigliani e comunque non baschi.
Il PNV era una sorta di derivazione e deviazione, o meglio, di eresia del carlismo; anche il PNV aveva il suo motto religioso e “tradizionalista” che si rende in basco col termine “Jaungoikoa Eta Lagi – Zara” cioè “Dio e la Vecchia Legge“: in altri termini i “fueros”. Due dei quattro termini del programma carlista erano nel PNV, ma solo quelli. Mancavano (e mancano) la “Patria” e il “Rey” e vi è una sottolineatura spropositata dell’elemento etnico. In poche parole manca la cornice che caratterizzava e caratterizza il lemma carlista.
In altri termini, che il PNV sia “figlio” del Carlismo è innegabile ma è altrettanto vero che la sua fisionomia, sin dall’inizio, lo avrebbe distanziato con forza progressiva dalla matrice originaria fino ad arrivare allo scontro armato che sarebbe esploso nel 1936.
Dalle origini fino al 1931.
Fino all’avvento della Repubblica, i due movimenti avrebbero comunque convissuto con alterne vicende nel paese basco e Navarra e, anzi, avrebbero poi collaborato a livello elettorale tanto che nelle elezioni successive alla proclamazione della Repubblica stessa, il 28 giugno 1931, il futuro Lehendakari (capo del governo basco) José Antonio Aguirre, il sindaco di Getxo che avrebbe governato l’Euzkadi durante la guerra civile, fu eletto deputato alle Cortes col voto determinante dei carlisti navarresi.
Con lui, fu eletto, tra gli altri, il carlista Marcelino Oreja Elósegui, politico cattolico e direttore de la Unión Cerrajera de Mondragón, che sarebbe stato assassinato da elementi socialisti il 5 ottobre 1934. E’ in corso il processo di beatificazione.
Sempre in quel periodo, in sede di stesura del progetto dello statuto di autonomia basco navarro, del 1931 – 1932, tutte le province bascofone sarebbero state riunite nello
Statuto, ivi compresa la Navarra, a dimostrazione che vi era ancora un clima di unione e collaborazione, fondato sulla difesa dell’identità basca e della fede cattolica.
Si trattava dello “Statuto di Estella”, che riservava allo Stato basco i rapporti con il Vaticano, fatto questo bocciato dalla Repubblica per la sua incostituzionalità e perché a Madrid si vedeva in questa operazione il tentativo di creare una “Gibraltar vaticanista” in Spagna. Fu allora redatto un nuovo testo che la Navarra non accettò e che coinvolgeva le future “province” della futura Euzkadi ma, nel frattempo, scoppiò la guerra civile e l’iniziativa si bloccò.
Anche l’assassinio di Marcelino Oreja Elósegui contribuì a turbare e poi a interrompere i buoni rapporti che, nonostante le differenze, intercorrevano tra i carlisti e i seguaci di Sabino Arana y Goiri.
Per i carlisti, infatti, veniva prima di tutto l’adesione incondizionata e combattiva alla fede cattolica, senza incertezze di sorta e quello era il valore assolutamente preminente in base al quale orientare le proprie scelte. La Repubblica, con il suo corredo di “liberalismo” e di massoneria, erano i nemici numero uno del carlismo e, con i suoi “figli” ed eredi socialisti, anarchici e comunisti, era una realtà intollerabile contro cui i carlisti si erano preparati ad insorgere sin dal 1934, chiedendo armi e munizioni a Benito Mussolini. L’incontro si verificò a Palazzo Venezia tra il 31 marzo e il 1 aprile 1934, tra il Duce da una parte e il leader monarchico António Goicoechea, il generale Emilio Barrera, Rafael Olázabal e il cospiratore carlista navarrese António de Lizarza dall’altra. 4).
Identico atteggiamento intransigente caratterizzava la “provincia” sorella della Navarra, cioè Álava.
Per i nazionalisti baschi, invece, che prevalevano nelle altre due province, cioè nella Vizcaya e nella Guipúzcoa, pur essendo anche loro attaccatissimi alla fede cattolica, la priorità era l’identità basca e il sogno dell’autonomia.
E, quando iniziò la “crociata” contro la Repubblica che massacrava i cattolici e perseguitava la Chiesa, i “baschi” dell’interno e delle montagne non ebbero dubbi di sorta a schierarsi con la Chiesa, mentre i “baschi” della costa atlantica optarono per chi sembrava favorevole, per motivi strumentali, alla loro autonomia. L’autentico odio che si attirarono dal Bando sublevado e soprattutto dai carlisti fu così drammatico perché i nazionalisti baschi apparvero dei traditori della fede cattolica.
La guerra civile del 1936 – 1939.
La situazione della Spagna, almeno dall’avvento della Repubblica in poi, era caratterizzata da un’estrema conflittualità e, soprattutto, da una crescente violenza contro le espressioni del cattolicesimo in Spagna, soprattutto da parte delle formazioni anarchiche e anche da parte di quelle più o meno legate ai comunisti, sia a quelli staliniani che trotskisti.
Dal 16 febbraio al 17 giugno 1936, la violenza politica provocò 269 morti, 1.287 feriti, 160 chiese distrutte e 251 saccheggiate.
Questo da’ un quadro del precipitare della Spagna verso la guerra civile. E gli attacchi alle chiese e agli uomini di Chiesa erano triste ed esclusivo retaggio delle formazioni anarchiche e, in misura più contenuta per la maggiore disciplina, di quelle socialcomuniste. Se questa era la situazione a un mese dall’Alzamiento, pensiamo a quale fosse nell’imminenza di quel 17 – 18 luglio 1936, dopo la sequenza di omicidi che culmino’ con l’assassinio del deputato monarchico Calvo Sotelo il 14 luglio.
Tra il 18 luglio 1936 e il primo aprile 1939 i repubblicani distrussero il 70 % delle chiese, uccisero quasi diecimila persone tra cui 13 vescovi, 4.184 sacerdoti e seminaristi, 2.365 religiosi e 283 religiose. (5)
Nel frattempo, il pretendente carlista Don Alfonso Carlos, duca di San Jaime, a causa dell’età avanzata e della mancanza di figli, il 23 gennaio 1936 nominò il principe Javier di Borbone Parma Reggente della Comunione Carlista anche in previsione del futuro Alzamiento Nacional, mentre capo politico dei carlisti era l’avvocato andaluso Manuel Fal Conde.
Tutto spingeva verso un violento scontro tra una parte delle Forze Armate e in particolare dell’Esercito, guidata dal generale José Sanjurjo, navarrese e carlista, che stava per tornare dall’esilio di Lisbona dopo il fallito golpe del 1932 per unirsi al generale di brigata Emilio Mola Vidal, “el Director” che coordinava l’azione dal suo quartier generale di Pamplona, la ” Iruña” basca, dove era stato imprudentemente trasferito dalle autorità repubblicane. Un altro generale sospetto alla Repubblica, Francisco Franco, venne trasferito invece alle Canarie. Il basco di Vitória, il generale Joaquin Fanjul Goñi, a Madrid, Goded fu destinato alle Baleari. Il generale Queipo de Llano, estroso e brillante, l’unico massone, insieme al generale Cabanellas, tra le fila dei generali sollevati, si trovava al comando dell’Andalusia ed era
considerato, a torto, un sicuro repubblicano. Luis Orgaz Yoldi, anche lui di Vitória, si trovava alle Canarie. Secondo i piani, mentre Mola era l’organizzatore del colpo di stato, il capo militare della sollevazione era il generale José Sanjurjo Sacanell, di Pamplona e, per di più, di famiglia carlista e con tradizioni militari, ma un incidente aereo avvenuto il 20 luglio 1936 lo privò della vita proprio agli inizi dell’Alzamiento.
La sua morte e, poi, quella analoga di Mola, avvenuta il 3 giugno 1937, avrebbero oggettivamente spianato la strada al futuro Caudillo Francisco Franco.
Quest’ultimo non era convinto di partecipare al golpe pianificato da Mola, ma l’uccisione dell’esponente monarchico José Calvo Sotelo avvenuta a Madrid il 13 luglio 1936, fece sì che Franco rompesse gli indugi e comunicasse a Mola la sua decisione di partecipare al golpe, mentre era in corso l’ultimo giorno della festa di San Fermín che, per tutta la settimana precedente era stata la copertura dei preparativi del golpe, per l’afflusso di spettatori, ma anche di ufficiali e di esponenti politici, da tutte le parti della Spagna, mentre i sanfermines, oltre a correre davanti ai tori la mattina, trasmettevano gli ordini di Mola e si preparavano a combattere per Dio e per la Spagna.
Stavolta, i carlisti si sarebbero sollevati nell’ambito dell’esercito al quale, secondo gli accordi, sarebbero stati accorpati, insieme agli uomini di José António Primo de Rivera, il figlio del vecchio dittatore generale Miguel Primo de Rivera e ad altri gruppi minori, ma il fondatore della Falange, arrestato il 14 marzo 1936, sarebbe stato fucilato dai repubblicani, nella prigione di Alicante, il 20 novembre dello stesso anno, insieme a due falangisti e a due requetés carlisti.
Cosa succedeva, intanto, nelle province “atlantiche” del paese basco ?
Queste terre si trovavano in una sorta di zona intermedia tra le aree dove prevalevano i partiti dell’estrema sinistra e gli anarchici, caratterizzati da un fortissimo sentimento
anticattolico e le aree nelle quali avrebbe prevalso il Bando nacional, come la Navarra e Álava, dove tutto spingeva verso la cruzada verso la “corrotta” ed “empia” Repubblica. Ma la decisione della maggioranza scaturita dalle elezioni del 1936, cioè dal Fronte Popolare, di includere l’approvazione definitiva dello Statuto basco spinse il PNV a orientare le proprie preferenze politiche verso la Repubblica, pur non assecondando, in alcun modo, la persecuzione anticattolica che la caratterizzava.
Poi, approfittando dell’isolamento che caratterizzava le province basche filorepubblicane rispetto al territorio della Repubblica e delle caratteristiche peculiari e strumentali
di tali province rispetto al grosso dei territori filorepubblicani del centro e dell’est della Spagna, con le grandi città di Madrid, Barcellona e Valencia, i paesi baschi “atlantici” avrebbero potuto disporre per un certo periodo di una libertà di manovra che altrimenti non avrebbero avuto. Nell’Euzkadi (Vizcaya e Guipúzcoa) si sarebbe costituito così l’Eusko gudarostea, cioè l’esercito basco, al comando di Candido Saseta e il corpo di polizia dell’Ertzainza, previo scioglimento dei preesistenti corpi, tra cui la Guardia civil.
La cospirazione militare si svolse, come detto, con la copertura della festa di San Fermín che si svolge tutti gli anni a Pamplona dal 7 al 14 luglio e che quell’anno termino’ cosi’ alcuni giorni prima della data scelta per il colpo di stato, in cui uno dei Tercios di Requetés insorti, era intitolato proprio a “San Fermìn”. I tercios erano l’equivalente di
un battaglione.
A proposito dei Requetés, dirà Arrigo Petacco, che : “I Requetés offriranno agli insorti il più combattivo e spietato corpo volontario della futura guerra civile” 6).
Allo scoppio della sollevazione, mentre la Navarra e l’altra provincia basca di Álava si schierarono essenzialmente in difesa della Chiesa e dell’ordine sociale e, quindi, con gli insorti, le altre due province basche, cioè la Vizcaya e la Guipúzcoa, pure con forti esitazioni e non del tutto convinte, fecero una scelta strumentale e non in sintonia con il loro cattolicesimo. Scelsero la Repubblica, come s’è detto, sperando che questa avrebbe loro garantito l’autonomia. Combatterono così contro l’Alzamiento e in favore della Repubblica che non mostrò mai piena fiducia in loro perché considerava i baschi una enclave “vaticanista” in Spagna. Furono una specie di corpo estraneo all’interno della Repubblica e crollarono, la Guipúzcoa nei primissimi mesi e la Vizcaya un anno dopo l’Alzamiento. È la solita storia del piatto di lenticchie a causa del quale Esau’ cedette la sua primogenitura .
E così i cattolicissimi e “tradizionali” baschi di Vizcaya e di Guipúzcoa preferirono un’alleanza strumentale con la Repubblica per ottenere l’autonomia e combattere contro i baschi di Navarra e di Álava”, della loro stessa stirpe e del loro stesso patrimonio di fede cattolica.
È un paradosso che colpì all’epoca e colpisce ancora oggi.
L’anomalia della scelta di questi baschi fu colta immediatanente proprio dai Vescovi delle due capitali delle province basche insorte contro la Repubblica. Il 6 agosto 1936 venne diffusa la pastorale con cui i Vescovi di Pamplona e di Vitoria (Gasteiz in basco) condannarono la posizione assunta dal PNV.
Nel frattempo pero’ era morto in un incidente aereo proprio il generale Sanjurjo, il 20 luglio. Quando, l’anno dopo, il 3 giugno 1937, un analogo incidente provocò la morte anche del generale Mola, i carlisti non ebbero più appoggi diretti nell’alta gerarchia militare e questo spiano’ la strada al generale Franco che solo all’ultimo si era unito alla sollevazione Il 19 marzo 1937 il Pontefice Pio XI emano’ l’Enciclica “Divini Redemptoris” contro il comunismo ateo, nella quale denunciava gli orrori del comunismo in terra di Spagna.
Il 19 aprile 1937 Franco emano’ il Decreto di unificazione. I carlisti e i falangisti vennero unificati nel partito unico franchista, il Movimiento nacional e dovettero indossare il basco rosso carlista e la “camisa azul” falangista.
Questa unione coatta di due forze che combattevano insieme ma erano profondamente diverse avrebbe alla lunga inaridito gli uni e gli altri in una struttura burocratica soffocante. Ciò determinò la rottura tra Franco e i vertici della Comunión Tradicionalista e il 27 dicembre 1937, il principe Javier dovette abbandonare la Spagna. Da parte sua, il capo politico del Carlismo, Manuel Fal Conde, dovette andare in esilio in Portogallo dopo avere tentato di creare un’Accademia militare reale carlista, contro la volontà di Franco che, però, lo invitò personalmente, benché esiliato a Lisbona, a entrare a far parte del Consiglio nazionale della FET, la Falange Española Tradicionalista y de las Jons, il nuovo partito unico franchista che incorporava i Carlisti e la Falange, nel novembre 1937. Nonostante il rifiuto di Conde, Franco attese invano da quest’ultimo l’accettazione dell’offerta, fino al 6 marzo 1938.
Quella frattura non sarebbe stata più ricomposta ma, al posto di Fal Conde, fu l’esponente navarro Tomás Dominguez Arévalo, Conde de Rodezno, a capeggiare l’ala franchista (e navarrese) del Carlismo. Il Conte avrebbe ricoperto durante il regime l’incarico di Ministro della Giustizia del nuovo Stato.
Eppure i carlisti e i falangisti continuarono a combattere. Ai carlisti soprattutto interessava immolarsi in quell’ultima crociata.
Il 13 settembre 1936 le truppe nazionali erano entrate subito a San Sebastián e liberato la Guipúzcoa, dopo solo due mesi dall’Alzamiento. Rimaneva la Vizcaya.
Nel frattempo, i requetés carlisti erano stati inquadrati in unità d’assalto interforze, le Brigadas de Navarra, al comando del Generale José Solchaga Zala. Tali unità d’élite erano formate principalmente da tercios di requetés, ma incorporavano anche banderas della Falange e tabores di regulares marocchini.
Il 12 giugno 1937 la I e la IV Brigadas de Navarra, appoggiate dalle truppe fasciste italiane e dall’aviazione italo tedesca, sfondarono la fortificazione che proteggeva Bilbao, il “cinturon de hierro” e il 19 entrarono nella città.
Il primo luglio 1937 i vescovi spagnoli sottoscrissero una lettera collettiva ai vescovi di tutto il mondo in cui presero ufficialmente posizione in favore dell’Alzamiento e degli insorti.
Intanto, i resti dell’Eusko Gudarostea, l’esercito nazionalista basco, si ritirarono verso Santander dove i dirigenti del PNV si rivolsero al Vaticano per trovare un accordo col governo italiano. I baschi del PNV intendevano ora sganciarsi dall’alleanza con la Repubblica spagnola ed erano addirittura disposti a concedere al Re d’Italia la corona di Euzkadi. Coinvolto nell’iniziativa era ovviamente il futuro Papa, Pio XII (7). Ma i servizi segreti della Repubblica spagnola intercettarono la corrispondenza tra il cardinale Pacelli e i dirigenti baschi.
Mentre infuriava la battaglia per Santander, i dirigenti del PNV, il 22 agosto 1937, offrirono al CTV, il Corpo Truppe Volontarie, inviato in Spagna da Mussolini, la resa delle truppe basche concentrate nei pressi di Santander.
I baschi si arresero cosi’ ai fascisti italiani del generale Bastico il giorno prima della presa di Santander, il 26 agosto. Il 27 le truppe navarresi e italiane entrarono in Santander. Franco, informato dell’accordo tra i fascisti e i nazionalisti baschi, ebbe un violento scontro col generale Bastico ma non pote’ impedire che 11.000 prigionieri baschi venissero liberati. Grazie alla protezione italiana e al colonnello Gastone Gambara, capo di Stato maggiore del CTV e futuro capo di Stato maggiore dell’Esercito della Repubblica di Salò, solo 57 finirono davanti ai plotoni di esecuzione (8). Ed è facile immaginare che quei plotoni d’esecuzione fossero formati da reparti delle Brigadas de Navarra.
La guerra civile basca, all’interno della più vasta guerra civile, era così finita.
Le Brigate di Navarra, riunite ora nel Cuerpo de Armada de Navarra, uno dei quattro grandi Corpi d’Armata costituiti nella fase finale della guerra, dovettero attendere e continuare a combattere e a coprirsi di gloria fino al 28 marzo 1939 quando i “nazionali” entrarono in Madrid.
La guerra era finita.
I carlisti avevano vinto la guerra e avevano dato un contributo impareggiabile al trionfo dei “nazionali”. Pochi vantaggi in cambio: un contenuto regime forale per le due province leali, la Navarra e Álava e il ministero della Giustizia e quindi il sistema giudiziario spagnolo.
La Vizcaya e la Guipúzcoa furono punite perché considerate province traditrici della causa nazionale e in particolare della Chiesa cattolica. Persero ogni parvenza di autonomia, proprio quella per cui erano scese in campo a favore della Repubblica, per poi pentirsene amaramente, dissociandosi clamorosamente dai combattenti asturiani davanti a Santander e a Santoña e chiedendo la pace separata ai più disponibili (rispetto a Franco e agli stessi carlisti) fascisti italiani. Fu un “ritorno all’ovile” tardivo che non evito’ la rappresaglia di Franco ma certamente la contenne.
Il 16 aprile 1939, il nuovo Papa Pio XII che aveva cercato di proteggere i baschi filorepubblicani inviava agli spagnoli un radiomessaggio di felicitazione per la vittoria dei nazionali che iniziava con le parole :”Con immensa gioia.. ” (da www.vatican.va > documents >).
IL REGIME FRANCHISTA
Il “matrimonio” forzoso tra Carlismo e Falange, con l’obbligo di una divisa che univa la boina roja carlista alla camisa azul falangista fu un matrimonio non gradito né dagli uni né dagli altri. Erano due realtà che avevano combattuto insieme e che si rispettavano ma, pur essendosi alleate per combattere la guerra civile, erano come espressioni non solo di due mondi diversi ma soprattutto di due tempi diversi della storia della Spagna: il primo, il Carlismo, era la riproposizione di un mondo medioevale, che conosceva l’unità nell’articolazione dei profili locali e delle loro identità e i cui nemici “preferiti” erano i liberali e i massoni, con la loro tipica visione astratta del mondo, oltre ai loro figli, cioè tutto il variegato mondo degli anarchici e dei social comunisti, mentre la Falange esprimeva la reazione moderna, centralizzatrice, che aveva come bersaglio preferito i social comunisti e i “separatisti”.
Così, entrambi i movimenti, che tanto avevano contribuito alla vittoria del Bando nacional, vissero il regime franchista e l’unificazione ai margini della politica spagnola, anche se sostenuti da prestigiosi rappresentanti, come il generale José Enrique Varela, ministro della Guerra sotto Franco, per i carlisti e, per i falangisti, il generale Agustín Muñoz Grandes, tra gli altri, che fu il secondo segretario generale del Movimiento ma che aveva anche comandato la Seconda Brigata di Navarra.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, sorsero addirittura tensioni tra carlisti e falangisti e il 16 agosto 1942, un gruppo di falangisti attaccarono con granate una folla carlista, durante una cerimonia religiosa nella basilica di Nuestra Señora de Begoña a Bilbao, provocando molti feriti e forse diversi morti. Il generale Varela, scampato all’attentato, pretese da Franco la condanna a morte dell’autore.
Nel frattempo, il 20 maggio 1952, il Reggente Javier di Borbone Parma fu proclamato successore legittimo al trono spagnolo, col nome di Javier I.
Intanto, in ambito nazionalista basco, il 31 luglio 1959 viene fondata l’E.T.A. (Euskadi ta Askatasuna, cioè Patria basca e libertà), da una scissione degli Ekin, giovani studenti, dal Partito Nazionalista basco (PNV).
L’organizzazione il cui simbolo era un serpente avvolto attorno a un’ascia, con la scritta “bietan jarrai”, cioè perseguire entrambi, cioè sia la lotta politica che quella
armata, acquistò progressivamente un’impostazione marxista che, il 14 maggio 1973, approda ad un profilo trotskista e l’E.T.A. entra nella IV Internazionale (9).
Nel PNV, pur in una cornice “ottocentesca”, era rimasto un barlume della vecchia tradizione politica basca che aveva prodotto il carlismo, ma con la creazione dell’E.T.A., ogni argine è stato eliminato a quella che appare come un’autentica deriva culturale e politica che produsse addirittura una formazione politica che avrebbe partecipato, dapprima come Herri Batasuna, poi come Batasuna, espressioni della sinistra abertzale (patriota in euskera), alle elezioni, conseguendo anche il 10 % dei voti nelle aree
Il 20 dicembre 1973 l’E.T.A. eseguì un attentato ai danni del Primo ministro franchista, ammiraglio Luis Carrero Blanco che avrebbe condizionato pesantemente l’evoluzione politica spagnola.
Il bilancio finale fu di 822 morti in 40 anni di attentati, Questo il triste risultato della rivoluzione permanente di questa organizzazione che rinunciò definitivamente alla lotta armata il 17 ottobre 2011 e si sciolse nel 2018 (10).
Nel frattempo, caduto il regime franchista, tutte le province ad eccezione della Navarra, firmarono lo Statuto di Autonomia nel 1979 ed oggi Vizcaya, Guipúzcoa e Álava formano la Comunidad Autónoma del País Vasco, mentre la Navarra forma la Comunidad Foral de Navarra e resiste ostinatamente all’antistorico tentativo della prima di incorporarla.
LA SVOLTA “SOCIALISTA” DI CARLOS HUGO E LA TRANSIZIONE SPAGNOLA
Il figlio maggiore del pretendente Javier di Borbone Parma era Carlos Hugo, che, nominato principe delle Asturie da quest’ultimo.
All’inizio degli anni ’60, nel 1962, Saverio dimenticò i gravi contrasti che lo avevano contrapposto a Franco, fino ad un’ultima espulsione avvenuta nel 1956 e incoraggiò il figlio Carlos Hugo a incontrare in più occasioni il Generalissimo, sperando che quest’ultimo, che aveva manifestato la sua intenzione di restaurare la monarchia, scegliesse Carlos Hugo come erede della corona spagnola, ma l’avvicinamento a Franco s’interruppe quando apparve chiaro che la scelta di Franco si sarebbe volta verso Juan Carlos, nipote di Alfonso XIII e figlio di Don Giovanni, conte di Barcellona. Il 22 febbraio 1972, dopo un grave incidente d’auto che colpì il padre Javier, Carlos Hugo divenne il principale leader del carlismo, ma cominciò a inaugurare una progressiva svolta filosocialista nel movimento carlista, che gli alienò progressivamente le simpatie dell’ala ortodossa della Comunione Tradizionalista, che, da quel momento, si divise in modo sempre più grave.
Il padre Javier, sempre più preoccupato dello strano comportamento del figlio maggiore, cercò di organizzare una resistenza alle manovre filosocialiste, filocomuniste e filoseparatiste di quest’ultimo, appoggiandosi discretamente ad Arturo Márquez de Prado, delegato nazionale dei Requetés e capo della Segreteria politica di Don Sixto Enrique di Borbone Parma, il figlio minore di Saverio il cui orientamento rassicurava Javier e avrebbe sempre contrastato la deriva socialista e separatista di Carlos Hugo.
Nel frattempo, il 20 novembre 1975 morì il Generalissimo Franco. Al governo vi era Arias Navarro, già ministro dell’Interno al tempo dell’assassinio dell’ammiraglio Carrero Blanco e poi suo successore come Presidente del Governo della Spagna.
Il 9 maggio 1976, la tradizionale processione carlista di Montejurra, in Navarra, in omaggio ai Requetés uccisi nella Guerra di Spagna, trasformatasi, nel corso degli ultimi anni, in un provocatorio omaggio del pretendente carlista e dei suoi sostenitori ai tradizionali nemici de carlismo che questo aveva combattuto e vinto nella guerra civile, fu duramente contrastato dal principe Sixto Enrique di Borbone Parma, di Arturo (o Pepe) Marquez de Prado e dai sostenitori del primo, sia all’inizio della processione, nei pressi del monastero di Irache, sia sulla sommità del colle. Il risultato fu la morte di due sostenitori di Carlos Hugo e diversi feriti.
Non è stata fatta piena luce sull’avvenimento.
Quello che desta interrogativi fu l’atteggiamento inerte della Guardia Civil e della Policía Armada e, soprattutto, la presenza, tra i sostenitori di Sixto Enrique de Borbón Parma, di noti esponenti italiani della destra neofascista, come Stefano delle Chiaie e Augusto Cauchi, totalmente estranei alla Comunione Tradizionalista.
La vicenda è stata oggetto di inchieste anche italiane sull’eversione neofascista, ma quello che colpisce è l’assoluta ignoranza degli inquirenti sul Carlismo e sul ruolo che aveva avuto nella guerra civile spagnola. Era come se, per gli inquirenti, il Carlismo fosse uno dei tanti movimenti “antifranchisti”, alla pari dei comunisti, dei socialisti o dei nazionalisti baschi, mentre invece era stato l’elemento centrale e propulsivo dell’Alzamiento e avesse combattuto duramente contro i nemici di Dio e della Spagna, dando un contributo di sangue impareggiabile alla vittoria del Bando sublevado. Fondandosi su questa sconcertante ignoranza, gli inquirenti non si rendevano conto del carattere provocatorio e assolutamente incomprensibile della svolta impressa da Carlos Hugo, le cui cause sono tuttora sconosciute.
CONCLUSIONE
I fatti di Montejurra ferirono in profondità la Comunione Tradizionalista e, mentre Carlos Hugo abbandonò le sue pretese dinastiche nel 1979. Dopo la sua morte, nel 2010,
la linea successoria ufficiale carlista è passata al figlio maggiore Carlos Javier I, ma la condotta del padre, non smentita dal figlio, ha intaccato la legittimità d’esercizio di entrambi. Oggi Carlos Javier I ha il sostegno di una minoranza di carlisti, compreso il Partito carlista, fondato dal padre.
Oggi il fratello minore di Carlos Hugo, il Principe Sixto Enrique di Borbone Parma, duca di Aranjuez, nato a Pau, in Francia, che si è mantenuto fedele agli ideali del Carlismo, è l’attuale reggente della Comunión Tradicionalista, in attesa che anche l’attuale pretendente Carlos Javier riveda le scelte paterne e torni nell’alveo di quest’ultima, abbandonando il Partito Carlista, o Euskal Herriko Karlista Alderdia (EKA).
La gran parte dei carlisti sono oggi con Sixto Enrique de Borbon Parma ma vi è anche la Comunión Tradicionalista Carlista (CTC) che è anch’essa fedele agli ideali di questo movimento ma ha momentaneamente sospeso ogni riferimento dinastico.
Vi è, peraltro, un partito di centro destra, di ispirazione genericamente “fuerista” e “navarrista”, l’Unión del Pueblo Navarro (UPN), maggioritario in Navarra.
Quanto al nazionalismo basco, ormai inattiva l’ETA dal 2018, vi è una pletora di movimenti che si situano a sinistra o all’estrema sinistra, ma il più importante di essi è il centrista Partito Nazionalista Basco, di orientamento democristiano personalista (Maritain) che faceva parte dei Popolari europei, ma che, in polemica con l’ingresso nella compagine del Partito Popolare spagnolo e di Forza Italia, ha abbandonato il Partito Popolare europeo ed è entrato nel Partito Democratico Europeo, sempre centrista.
Il programma di Alberto Santana di cui ho parlato all’inizio è certamente ben fatto ed è animato dalla volontà di superare le fratture della guerra civile ma, purtroppo, tutto rimane circoscritto in un ambito etnocentrico, cioè tra baschi. Va bene il carlista generale Solchaga, che avrebbe comandato il Corpo d’Armata di Navarra, perché era basco e va bene il generale repubblicano Gámir Ulíbarri, che combatté sul contrapposto fronte del Nord, perché era anchì’egli basco ma tutto, appunto, si risolve nell’ambito di questa etnia.
La fedeltà alla propria identità è, certamente, un bene ma che va inserito in una cornice, in una gerarchia di valori.
Stupirsi che i carlisti dei tercios navarresi combattessero contro i gudaris repubblicani, fianco a fianco con i falangisti madrileni o con i legionari e i regulares marocchini, significa non aver capito che ciò che accomunava questi ultimi, al di là della diversità di etnia e di origine storica, era la lotta per Dio e per la Spagna, che andava oltre le proprie origini etniche, anch’esse da rispettare, ma che sono subordinate a Dio e alla Patria, cioè alla comunità di destino delle Spagne.
Perugia, 9 aprile 2022
Giuliano Mignini
Note: 1) https://www.youtube.com/watch?v=vcNBbX3JQ8M&t=118s
2) si veda Fabrizio Simula, “Il labirinto basco dalle origini del nazionalismo a ETA”, Prospettivaeditrice, Civitsavecchia, Roma 2005.
3)EZAGUTU BARAKALDO, “Caristios, Vardulos, Autrigones: un problema para el vasquismo”, 17 luglio 2020, ezagutubarakaldo.net. L’autore li chiama i “parenti poveri” del “baschismo”.
4) si veda “El independiente”, Historia, “Conexiòn Mussolini: el cerco internacional a la República” di Agustìn Monzòn, 21 aprile 1919
5) vedi “Archivio generale Suore Cappucine di Madre Rubatto. La persecuzione dei religiosi nella guerra civile spagnola”.https://wew.archiviomrubatto.it . Si veda anche Arrigo Petacco, “Viva la muerte ! Mito e realtà della guerra civile spagnola”, le Scie Mondadori, 2006, p. 16
6) si veda lo stesso fondamentale studio di Arrigo Petacco, “Viva la muerte ! Mito e realtà della guerra civile spagnola 1936 – 39”, ed. Le scie. Mondadori, 2006, p. 28.
7) si veda Arrigo Petacco, op. cit., pp.154 – 15
8) si veda Arrigo Petacco, op. cit., pp.154 – 155
9) si veda Partito comunista dei lavoratori, “ETA : dalla nascita all’approdo alla Quarta Internazionale”, 2 ottobre 2016, pclavoratori.it/files/i…
10) si veda in Wikipedia, alla voce “Euskadi Ta Askatasuna”, capitolo “La tregua del 2011.