Ho già avuto occasione di occuparmi in questa stessa sede della sentenza delle Sezioni Unite Civili riguardanti la presenza dl Crocifisso (e di altri simboli, sia religiosi che a-religiosi) nelle aule scolastiche (n. 24414 del 9/9/2021). Per il fatto e commento rinvio a quanto già scritto. Qui vorrei invece occuparmi di un aspetto che nella mia lettura (ma anche nelle intenzioni dei componenti del Collegio – così almeno mi è sembrato di intuire -) va oltre i confini della sentenza per assumere valore anche “politico” quale proposta per un corretto svolgimento della pratica democratica con particolare riferimento all’attività di governo.
Senza nascondermi che questa mia lettura è certamente influenzata dall’eccezionalità del tempo che stiamo vivendo (ma è ben possibile che a questa abbiano pensato anche i componenti del Collegio giudicante), mi riferisco al “ragionevole accomodamento”, presentato dalle Sezioni Unite come l’unica procedura possibile di soluzione dei conflitti coinvolgenti i diritti fondamentali dell’uomo quale “ricerca, insieme, di una soluzione mite, intermedia, capace di soddisfare le diverse posizioni nella misura concretamente possibile, in cui tutti concedono qualcosa facendo, ciascuno, un passo in direzione dell’altro”. Una procedura particolarmente adeguata al conflitto oggetto diretto di quel giudizio (affissione o non affissione del simbolo cristiano del crocifisso alle pareti di un’aula scolastica) e, difatti, raccomandata – si specifica in motivazione – “da autorevole dottrina quando si tratta di libertà religiosa e di coscienza”.
“Particolarmente” non significa però “esclusivamente”. In realtà molti punti della motivazione a sostegno della necessità di una procedura idonea a conseguire il risultato “mite” del “ragionevole accomodamento” non riguardano soltanto la libertà religiosa e di coscienza, ma, invece, tutte le situazioni coinvolgenti diritti fondamentali. A tutte queste fanno, difatti, riferimento le sentenze n. 264/2012 e n. 85/2013 poste a capo di questa parte della motivazione: “Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre “sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro” (sentenza n. 264 del 2012). Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona (sentenza n. 85 del 2013)”.
Le ulteriori sentenze della Corte Costituzionale citate a conferma coprono ampi territori normativi: n. 266 del 2012 (trattamenti pensionistici), n. 10 del 2015 (regimi fiscali differenziati), n. 63/2016 (legge lombarda su edifici di culto), n. 20/2017 (ordinamento penitenziario e corrispondenza dei detenuti), n. 58 del 2018 (rifiuti e ambiente).
Non per caso si è parlato all’inizio di valore “politico”, perché la sentenza si occupa anche della regola della maggioranza, propria di ogni sistema democratico, per concludere che ”senza correttivi non può utilizzarsi nel campo dei diritti fondamentali, che è dominio delle garanzie per le minoranze e per i singoli“. Quando sono in campo i diritti fondamentali la procedura del “ragionevole accomodamento”, non è in contrasto, ma “coerente con l’idea di una democrazia in cui il processo di costruzione della decisione è fondato su, e accompagnato da, una ricca e argomentata discussione e in cui la ricerca del compromesso tra la pluralità di interessi e dei valori in gioco è affidato a una limpida e pubblica capacità di ascolto delle ragioni altrui e di ricerca di un punto di mediazione e di dialogo”.
Per venire all’attualità, cui evidentemente si ispirano le presenti riflessioni, l’esigenza del “ragionevole accomodamento” è tanto più pressante quando si tratta del fondamentale diritto alla salute, per il quale l’art. 32 della Costituzione già al proprio interno evidenzia, ab origine, l’indispensabilità di una ragionevole conciliazione fra il “fondamentale diritto dell’individuo” e “l’interesse della collettività”.
Ovviamente il “ragionevole accomodamento” si estrinseca in forme diverse a seconda dei diritti fondamentali in gioco e dell’ambito di applicazione. Soprattutto nel risultato finale può variare il peso riconosciuto a uno dei diritti in gioco e il sacrificio richiesto agli altri, ma per la particolare natura di questi diritti, che mai possono venire non solo totalmente sacrificati, ma nemmeno eccessivamente compressi, resta l’esigenza di evitare esiti che facciano uno “tiranno” “ai danni delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette”. Un simile risultato lederebbe la dignità della persona, di cui questi diritti costituiscono, singolarmente e tutti insieme, espressione. Di qui la prassi seguita da tutti i paesi democratici, che quando si tratta dei diritti fondamentali procedono con grande cautela e non senza avere prima consultato i partiti politici (inclusi quelli di minoranza) ed essersi confrontati con le parti sociali per giungere a un risultato “mite” in quanto il più possibile condiviso. L’esatto contrario, quanto a risultato, della strada, estremamente rigida e dura, scelta per contrastare la diffusione del virus Sars-Cov2, che nel rapporto fra diritto dell’individuo e interesse della collettività alla salute ha totalmente sacrificato al secondo la colonna portante del primo: il “consenso informato” oltre ad avere nel corso del tempo severamente compresso altri diritti fondamentali come (ma non solo) la libertà di circolazione e soggiorno (art. 16 Cost.).
Fra i tanti possibili esempi, particolarmente significativo del disinteresse del governo per un esito “mite” (condiviso) e della scelta a favore della “tirannia” di un diritto sugli altri il sostanziale rifiuto (del tutto insufficiente la piccola riduzione di prezzo concessa) della richiesta di gratuità del tampone alternativo alla inoculazione del vaccino, avanzata dai sindacati in vista della obbligatorietà del green pass per accedere al luogo di lavoro. Un rifiuto motivato dalla volontà di ridurre al minimo, con l’accrescerne le difficoltà, le alternative alla vaccinazione. Un esito opposto a quello del “ragionevole accomodamento” suggerito dalla Sezioni Unite, per di più a rischio, oltre che di ulteriore compressione del diritto individuale alla salute (scelta della cura), di discriminazione dei cittadini che, non avendo, a differenza di altri, la possibilità di sostenerne a lungo le spese, non possono avvalersi dell’alternativa/tampone.
In conclusione: regge l’ipotesi di una implicita lezione non solo di diritto, ma anche di democrazia delle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione al Governo?
Francesco Mario Agnoli