Condividi:

Share on facebook
Share on twitter
Share on linkedin
Share on whatsapp
Share on telegram
Share on email

Esplora:

NON TI CURAR DI LOR MA GUARDA E PASSA 2 – RITRATTAZIONE SCUSE CONFERME. Di Francesco Mario Agnoli

Covid e lavoro dipendente
La strafottenza è un peccato e, anche se ho cercato di nobilitarla con il celebre verso dantesco, me ne sono reso colpevole quando nel precedente intervento in materia ho commentato con un sussieguoso “non ti curar di loro, ma guarda e passa” la proposta di alcuni industriali di non consentire l’accesso al posto di lavoro ai dipendenti non vaccinati e, comunque, non in possesso del green pass. Strafottenza giustamente punita, perché subito dopo l’accesso al lavoro (e, da ultimo, anche alle mense aziendali) è divenuto uno dei punti centrali del dibattito “pandemico” sia per le iniziative del governo, in particolare sull’uso obbligatorio (o quasi – il decreto legge n. 105/2021 elenca all’art. 3 una serie di servizi fruibili solo dai detentori della certificazione -) del green pass anche per accedere al posto di lavoro, sia per decisioni giudiziarie che hanno respinto il ricorso dei lavoratori contro provvedimenti di esclusione dal lavoro con conseguente non corresponsione dello stipendio. In questo senso la sentenza n. 18441/2021 del Tribunale di Roma, che definisce “legittima (anzi doverosa) la sospensione dal lavoro del lavoratore che, sottoposto a visita del medico di fabbrica, sia risultato non idoneo a stare a contatto con la clientela perché non sottoposto al vaccino Covid-19. Non essendoci la prestazione lavorativa è altrettanto legittimo non erogargli la retribuzione”. Alla responsabilità del datore di lavoro si accompagna, ad avviso del Tribunale quella del dipendente a norma dell’art. 20 del Testo Unico sulla Sicurezza (Decreto Legislativo n. 81/2008): “Ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro”.
A sua volta l’ordinanza in data 23/7/2021 del Tribunale di Modena richiama, oltre all’art. 2087 del codice civile, che impone al datore di lavoro “di adottare tutte le misure di prevenzione e protezione che sono necessarie a tutelare l’integrità fisica di lavoratori e dei terzi che per diverse ragioni si trovano all’interno dei locali aziendali”, la Direttiva Ue n. 739/2020, che include il coronavirus nell’elenco degli agenti biologici per i quali deve essere garantita un’adeguata protezione della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro in quanto suscettibili di cagionare malattie infettive.

In fatto: l’evidenza scientifica
Il doveroso mea culpa (accompagnato dalla richiesta delle attenuanti generiche per la naturale irritazione di un ex-giudice del lavoro di fronte alla pretesa di “padroncini e padroncioni” di approfittare del Covid per un giro di vite sui diritti dei lavoratori) non incide sulla realtà di una situazione di fatto in radicale contrasto con quella presupposta tanto dai provvedimenti legislativi quanto dall’appena menzionata giurisprudenza in tema di vaccini e “certificazioni verdi”. Dopo le dichiarazioni del celebre immunologo Usa Anthony Fauci, convalidate dalla grande maggioranza dei suoi colleghi (italiani inclusi), è un’evidenza scientifica che, in caso di infezione, vaccinati e non vaccinati presentano lo stesso livello di carica virale, quindi di contagiosità. Resterebbe però, a favore della vaccinazione, il dato di un certo grado di immunità personale in quanto i sintomi e gli esiti sarebbero, di norma, meno gravi nel vaccinato. In altri termini, “i vaccini non proteggono contro l’infezione, ma solo contro la malattia”. E’ sulla base di questa evidenza scientifica, (evidentemente da lui condivisa) che il microbiologo Andrea Crisanti ha potuto dichiarare che il green pass “non è una misura di sanità pubblica, come viene fatto passare dal governo in modo totalmente errato”, ma che “il suo unico scopo positivo è quello di aumentare la percentuale dei vaccinati”. A sua volta, l’ “Osservatorio permanente per la legalità costituzionale Stefano Rodotà” ne ha dedotto la carenza del presupposto di legittimità del green pass cioè che “il titolare sia potenzialmente meno pericoloso ai fini della diffusione del contagio” (“Sul dovere costituzionale e comunitario di disapplicazione del cd decreto green pass” in Questione Giustizia 6/8/2021).
In definitiva, con buona pace del presidente di Federmeccanica, che pretende di lasciare a casa senza stipendio i lavoratori non muniti di green pass (o, in mancanza, di tamponi a loro cura e spese) il green pass non assicura affatto la messa in sicurezza dei luoghi di lavoro.

Il green pass strumento di promozione vaccinale
In realtà, se davvero i vaccini, pur impotenti contro l’infezione, proteggessero (il dubbio è d’obbligo) contro la malattia, questa immunità personale dei vaccinati sarebbe comunque un risultato meritevole di essere perseguito e potrebbe giustificare la politica dei green pass, intesa ad aumentare, sia pure in maniera surrettizia, “la percentuale dei vaccinati” (resta la domanda del perché si preferisca una via traversa a quella diretta dell’obbligo vaccinale). Vengono invece totalmente meno i presupposti per l’applicazione da parte degli organi giudiziari tanto dell’art. 2087 del codice civile, quanto dell’art. 20 del Decreto Legislativo n. 81/2008 e, dal momento che la vaccinazione non incide sulla contagiosità del virus, della stessa Direttiva Ue n. 739/2020.

Risarcimento danni da vaccinazione volontaria
1) Il sospetto
Nell’accennata difficoltà di comprendere la ragione per cui al fine di aumentare il numero dei vaccinati si sia scelto uno strumento surrettizio in luogo dell’obbligatorietà della vaccinazione, si è da più parti avanzato il sospetto che si conti in tal modo di evitare, in caso di effetti collaterali, l’applicazione della legge 25/2/1992 n. 210 (“Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni di emoderivati”). Si è però tentati di definirlo un sospetto infondato, per la difficoltà di credere che governo non conosca la giurisprudenza della Corte di Cassazione ormai consolidata nel senso di equiparare, ai fini del risarcimento, ai danni collaterali da vaccinazioni obbligatorie quelli conseguenti a vaccinazioni volontarie “raccomandate” dai pubblici poteri.

2) La Giurisprudenza
In questo senso Cass. n. 27/1998 riguardante la vaccinazione antipolio (prima della sua obbligatorietà), n. 423/2000 (epatite B), n. 107/2012 (morbillo, rosolia, paraotite), n. 268/2017 (influenza “annuale”). La più recente, la n. 118/2020 (per la cronaca Collegio presieduto dall’attuale Ministro della Giustizia, Marta Cartabia), riguarda i danni riportati da una donna volontariamente vaccinatasi in un periodo in cui nella sua regione, la Puglia, era in corso una campagna per la vaccinazione volontaria contro l’epatite A. La decisione, che ha attirato l’attenzione della dottrina anche per il suo riferimento ad un ambito regionale, ha, difatti, dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’art.1, comma 1, della legge 25 febbraio 1992 n. 210 nella parte in cui non prevede il diritto a un indennizzo, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla medesima legge, a favore di chiunque abbia riportato lesioni o infermità, da cui sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica, a causa della vaccinazione contro il contagio del virus dell’epatite A”.
Per giungere a questo risultato la Cassazione parte dal dato di fatto della scelta della Regione Puglia di conseguire il risultato di una congrua copertura immunitaria della popolazione con la tecnica, invece che della obbligatorietà, della raccomandazione, per altro in forma molto viva e pressante, anche se nemmeno lontanamente paragonabile a quella a sostegno della vaccinazioni anti-Covid, fatta – scrive in “Abbecedario liberale” il pro-vax e pro-green pass Raffaello Morelli – “sui mass-media con modalità proprie dei sistemi della propaganda totalitaria di massa”. Rileva al riguardo la Corte che, pur nella diversità d’impostazione (più rispettosa dell’autodeterminazione individuale la raccomandazione), non vi è differenza qualitativa fra le due tecniche. Difatti entrambe, muovendo dal comune presupposto della salute quale interesse (anche) obiettivo della collettività, si pongono come due strumenti a disposizione delle autorità sanitarie pubbliche per il perseguimento della tutela della salute collettiva attraverso il raggiungimento della massima copertura vaccinale. In realtà, come già osservato in precedenti decisioni, “nell’orizzonte epistemico della pratica medico-sanitaria la distanza tra raccomandazione e obbligo è assai minore di quella che separa i due concetti nei rapporti giuridici. In ambito medico raccomandare e prescrivere sono azioni percepite come ugualmente doverose in vista di un terminato obiettivo, cioè la tutela della salute (anche) collettiva”. Appunto per questo “in presenza di una effettiva campagna a favore di un determinato trattamento vaccinale, è naturale che si sviluppi negli individui un affidamento nei confronti di quanto consigliato dalle autorità sanitarie: e ciò di per sé rende la scelta individuale di aderire alla raccomandazione obiettivamente votata alla salvaguardia anche dell’interesse collettivo, al di là delle particolari motivazioni che muovono i singoli”.

3) Il patto di solidarietà
Di qui il passaggio al punto essenziale di una giurisprudenza che fonda il diritto del singolo al risarcimento non sulla natura obbligatoria del trattamento cui si è sottoposto e, tanto meno, sul maggiore o minor grado di affidabilità medico-scientifica della somministrazione di vaccini, ma “sul necessario adempimento, che si impone alla collettività, di un dovere di solidarietà, laddove le conseguenze negative per l’integrità psico-fisica derivino da un trattamento sanitario (obbligatorio o raccomandato che sia) effettuato nell’interesse della collettività stessa, oltre che in quello individuale”. Quindi un diritto al risarcimento che “completa “il patto di solidarietà” tra individuo e collettività in tema di tutela della salute”. Di conseguenza, non lo escludono o diminuiscono né l’ambito solo regionale anziché nazionale della campagna promozionale, né il prevalente indirizzo di questa verso una platea di soggetti “a rischio” (nel caso il criterio di selezione era l’età) e nemmeno la gratuità della vaccinazione (nella fattispecie a carico del Servizio sanitario nazionale) dal momento che in tutti questi casi la tutela indennitaria trova comunque la sua logica nel patto di solidarietà, che vuole ripagato “ a spese di tutti un danno subito nell’interesse di tutti”.

Un’ulteriore (sommaria) riflessione
La Cassazione non si occupa di questo aspetto, ma, in presenza di una situazione di cui necessariamente si partecipa per il fatto di essere cittadini (o forse anche, più ampiamente, per effetto della semplice presenza nel territorio dove vige il nostro ordinamento costituzionale), pare doversi concludere per la non rinunciabilità del patto di solidarietà anche se, per quanto riguarda i suoi aspetti economici (nella fattispecie il risarcimento del danno da trattamento sanitario), si può, di fatto, rinunciare al risarcimento col non proporre la relativa richiesta. Ne discende, in concreto, oltre all’annullabilità di una rinuncia in via preventiva (ad esempio in sede di consenso informato o comunque al momento della vaccinazione) ad un diritto che si concretizza solo al verificarsi dell’irreversibile lesione dell’integrità psico-fisica del vaccinato, la nullità in assoluto (ex art. 1343 cc.) della rinuncia al risarcimento anche a diritto maturato per contrarietà all’ordine pubblico. Difatti, alla luce di quanto si è detto, il patto di solidarietà risponde perfettamente alla nozione delle norme di ordine pubblico elaborata dalla dottrina giuridica, che le definisce “norme fondamentali dell’ordinamento giuridico, spesso non facilmente individuabili nei codici e nelle leggi scritte, riguardanti i principi la cui osservanza ed attuazione è ritenuta indispensabile per l’esistenza stessa dell’ordinamento”. In altri termini, se così è, il diritto al risarcimento può essere fatto valere, nonostante qualsiasi rinuncia sia preventiva che successiva, fino al suo venir meno, col decorso del tempo, per prescrizione.

Francesco Mario Agnoli

Condividi:

Share on facebook
Share on twitter
Share on linkedin
Share on whatsapp
Share on telegram
Share on email

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Dai blog