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GIUSEPPE CONTE E LE NUOVE OPPORTUNITA’.

Giuseppe Conte è un uomo sospetto, troppo convinto dei suoi proclami, di cui non può avere per forza di cose completa contezza. Non si misura apertamente con il dubbio, e questo non giova ad alcuno. Qualche tempo fa in un’intervista per l’emittente televisiva ABC aveva affermato in riferimento alla pandemia che “avrebbe rifatto esattamente le stesse scelte potendo tornare indietro”. In ogni caso mai fare autocritica, pena ridimensionare il proprio ruolo.
“Gli stati generali” hanno sentenziato la necessità di non ritornare più a quello che era prima della pandemia. Un Governo d’interesse nazionale, che comprendesse l’intero spettro della scena politica, sarebbe probabilmente meglio digerito in vista di una svolta che viene supposta di tale portata. Una svolta per altro senza mandato popolare, dove si concede di incontrare le varie componenti della società, ma per riaffermare ancora una volta che le priorità calano dall’alto, in soldoni da oltre confine.
Nei mesi passati il Governo più che autorevole si è palesato autoritario, una nomenclatura fatta anche di funzionari e tecnici, con il predominio della burocrazia. Eliminare la burocrazia significherebbe eliminare posizioni di forza, di potere. Per lo Stato allentare il proprio giogo, al contempo ridimensionare la mancanza d’efficienza cronicamente attestata. Quindi tagliare anche posti di lavoro statali, quando per il momento dal Ministro Gualtieri sono stati garantiti 16mila nuovi contratti a tempo indeterminato nelle scuole. Una lieta notizia se la cosa fosse fattibile senza aumentare la pressione fiscale non dimenticando, nell’ipotesi di non riuscire o non volere accedere a fondi europei, che per uno Stato finanziarsi sul mercato significa anche tagli di spesa pubblica.
Ci vuole unità d’intenti, insiste il Premier, la sfida che abbiamo innanzi è quella di reinventare il Paese. Con quali conseguenze, e per arrivare esattamente dove? Non bisogna perdere l’opportunità si ripete incessantemente. Più infrastrutture, come l’Alta Velocità, è cosa auspicabile, ammesso di contenerne con esattezza i costi. Ma la digitalizzazione degli uffici pubblici, la robotica e l’intelligenza artificiale, per non parlare del paradigma dell’economia circolare che ridefinisce la proprietà privata, non risolveranno il problema della mancanza di lavoro, anzi semmai in un lungo periodo potranno acuirla. Il tentativo di modernizzare dimenticando di supportare con misure molto significative per prima cosa le peculiarità locali, detto mille e una volta gli artigiani e le piccole aziende a conduzione familiare tipicamente tessuto economico italiano quanto fattore aggregante determinante la qualità di vita comunitaria, manifesta la tensione verso una nuova accelerazione della globalizzazione che in quasi tutti i paesi dell’OCSE ha prodotto crescenti diseguaglianze di reddito. Una globalizzazione che per altri versi è una costruzione sofisticata, che promette di aumentare progressivamente la ricchezza nonostante il debito mondiale sia tre volte la grandezza del prodotto interno lordo mondiale.
E’ il solito ritornello, adeguamenti nazionali a direzioni globali inverando nuovi problemi su scala locale. A monte il discorso è già stato fatto molte volte, il lavoro salariato e il capitale non sono più indissolubilmente legati fra loro, e con ciò il lavoro diventa più di tutto un tema del controllo sociale. L’ordine pubblico viene così mantenuto anche dalle promesse politiche di riforme, che almeno in una minima parte possano essere soddisfatte. Vedasi il caso del reddito di cittadinanza. Ordine mantenuto anche decretando situazioni emergenziali.
Per ricoprire posti di lavoro ancora necessari ma per nulla attraenti, e senza ulteriori sbocchi, occorre generare nuove situazioni di precarietà. Nel mondo delle grandi industrie sviluppo significa al giorno d’oggi riduzione dei costi, efficientamento, il rapporto fra capitale e lavoro non è più di dipendenza reciproca. I modi per ottenere questo risultato di ristrutturazione a favore dei dividendi degli azionisti, con il concomitante plauso della Borsa, è costituito dalle fusioni tra aziende prima concorrenti, dalle riduzioni del personale, dal dislocare le attività produttive comunque precedentemente sane dove il costo della forza lavoro è esiguo, magari prendendo la sede legale in paradisi fiscali, o quantomeno dove la tassazione sia molto benevola. Problema assai sensibile anche all’interno della EU, e che grida vendetta. Conte avrà l’ardire di occuparsene seriamente?
Nella distruzione di posti di lavoro a cui stiamo assistendo, aggravata quando non direttamente causata dalle misure del lockdown imposte per di più non tenendo conto delle differenti circostanze regionali, i lavoratori in esubero non sono facilmente reinseribili nel ciclo economico se non facendo appello a meccanismi di estrema flessibilità, che si traducono anche nell’impossibilità di un progetto di vita personale. E senza dimenticare le difficoltà delle partita IVA, in una sempre più decrescente domanda interna dei consumi e delle prestazioni professionali.
Con l’ulteriore spinta verso l’innovazione tecnologica si produrrà un crescente divario tra le possibilità di scelta. L’importante, nella logica sottostante, parrebbe poter in una qualche misura soddisfare l’aspirazione al consumo, e di conseguenza alla scelta, anche dei nuovi precari, ma il fatto che l’esubero coinvolga ormai anche lavoratori specializzati pone di fronte a una via che rischia di essere quella di un implacabile impoverimento, tradotto al meglio in una condizione di continuativo assistenzialismo statale. Diviene così impensabile che si vada verso lo snellire l’apparato e i costi dello Stato.
Quando ad un’ampia fetta di popolazione viene sottratta la scelta, la minaccia di destabilizzazione diviene reale con scenari molto poco rassicuranti. Una società dove il divario tra i relativamente pochi sempre più benestanti e quelli che lo saranno sempre meno continuerà ad aumentare, e dove non si potrà più fare finta che la crescita demografica mondiale, con la retorica eticamente attraente delle porte aperte a tutti, coincida con la promessa di migliori condizioni di vita.
P.A.

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