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IL GENOCIDIO ARMENO. A cura di Luciano Garofoli.

Il genocidio armeno

Chi si ricorda più oggi dello sterminio degli Armeni?

Di Luciano Garofoli

La storia ci tramanda da sempre fatti sconcertanti e di odi tra popoli di diverse razze e di differente estrazione: spesso, anzi troppo spesso, tali frizioni e contrapposizioni finiscono per sfociare in una guerra senza quartiere tra i  vari contendenti.

Ma la cosa peggiore è che spessissimo una parte prevalente ponga in essere una serie di comportamenti concludenti nei confronti dell’altra che con una edulcorata dizione moderna si chiamano “pulizia etnica”. In realtà si tratta di vere e proprie stragi di massa e qualche volta si arriva al genocidio, o alla quasi cancellazione della parte soccombente ed alla riduzione dei componenti della popolazione ad un risibile numero di individui.

Questo tipo di atteggiamento è presente in maniera costante in qualsiasi periodo storico, ad ogni latitudine e viene perpetrato sia da gruppi etnici primordiali o incivili, sia da popolazioni civilizzate ed altamente consapevoli del loro altissimo grado di civiltà.

Senza la valenza della memoria tutto si dimentica con il passare del tempo; del resto in un discorso del 1939 Hitler rispondendo a chi aveva dubbi sulla soluzione finale della questione ebraica disse:

“Chi si ricorda più oggi dello sterminio degli armeni?”

Erano passati soltanto 23 anni da quei tragici giorni!

Chi sono gli armeni?

Le vere origini di questa popolazione si perdono nella notte dei tempi.

Cosa curiosa è che gli Armeni non si definivano così nella loro lingua, ma si chiamavano  Hay (plurale Hayer) ed infatti i predecessori della dinastia degli Orontidi, signori del regno armeno, furono proprio gli Hayasa-Azzi cioè gli Ittiti sovrani del regno Urartu. Erodoto afferma che gli Armeni erano coloni della Frigia e questo in un periodo compreso tra il XIII secolo ed il 700 a. C.. Essi potrebbero essere stati respinti più ad est dai Cimmeri che conquistarono la Frigia nel 696 a. C.

La cosa più esilarante è che i Turchi da una parte rivendicano le origini della loro terra proprio alla presenza di queste popolazioni, gli Ittiti, il regno di Urartu, quando i turchi, se esistevano, conducevano una vita nomade nell’Asia Centrale. Ma guai a parlare loro di Armeni o della ipotetica esistenza di un, sebbene antichissimo, Armenistan: la cosa li manda su tutte le furie, come non vogliono sentir assolutamente parlare di Kurdistan.

 Opino iuris seu necessitatis ovverosia interpretazione della storia secondo il mio particolare interesse!

Ma Ecateo di Mileto parla di un regno armeno fondato agli inizi del VI secolo a.C. . Nel massimo della sua espansione il regno si estendeva dal Caucaso settentrionale, a tutta la parte orientale della odierna Turchia, dal Libano fino all’Iran nord occidentale. Esso fece parte anche, per un breve periodo dell’Impero romano. Sappiamo bene come i confini orientali dell’impero di Roma erano quanto mai labili e sempre soggetti a rivolte e cambiamenti di autorità.

Nel 301 d.C. divenne la prima nazione ad adottare il Cristianesimo come religione di Stato. Durante la sua successiva decadenza politica, si affidò alla Chiesa per preservare e proteggere la propria identità.

Cose davvero sconvolgenti! Ma come la Chiesa non ha, a dire dei padreterni che dominano la storiografia contemporanea, sempre oppresso i popoli con la sua ferocia integralistica  dogmatica? Non li ha sempre soggiogati con il suo integralismo impedendo la crescita di civiltà diverse e più promettenti?

Qualcosa non quadra e forse qualcuno vorrebbe scrivere una storia a proprio uso e consumo, magari appoggiato anche da fiancheggiatori stravaganti ed originaloidi anche in seno alle alte gerarchie ecclesiastiche!

Gli eventi storici si susseguono in un territorio particolarmente ricco ed economicamente sviluppato e così tra il V ed il XIX secolo l’Armenia segue il destino di quasi tutti i popoli dell’Asia Minore e quindi fu assoggettata dai Persiani, dai Bizantini, dagli Arabi, dai Mongoli, dai Mamelucchi ed infine dagli Ottomani. Nell’885 riuscirono anche  costituire una entità nazionale sovrana che cadde prima a causa della invasione bizantina del 1045. I bizantini furono poi rimpiazzati dai Turchi Selgiuchidi, ma entrambe le invasioni crearono delle migrazioni di massa della popolazione che in maggioranza si trasferì nella Cilicia dove fin dai tempi dei romani, erano stanziati come minoranza.

Nel 1080 fondarono un principato che successivamente divenne regno di Cilicia; Nel 1375 il regno di Cilicia cadde sotto i colpi dell’invasione dei Mamelucchi che lo integrarono nei loro domini.

Tradizionale molto forte fu il legame che univa gli Armeni con la Serenissima Repubblica di Venezia dove costituirono una comunità molto attiva ed un centro culturale e religioso a san Lazzaro degli Armeni.

Con la progressiva islamizzazione dell’Anatolia essi divennero popolazioni dhimmi soggette alla legge coranica.

Quattro secoli durò la dominazione turca il cui regime  giuridico prevedeva l’esistenza riconosciuta dalla legge di comunità nazionali differenti ordinate in base al credo religioso i “millet”.

Solo i mussulmani godevano di pieni diritti tutti gli altri venivano considerati “raya” (gregge) con libertà e capacità giuridica limitate. Erano quindi tenuti in stato di sudditanza rispetto ai mussulmani popolazione dominante che erano qualcosa di molto simile all’herrenvolk  nazista.

Gli Armeni godevano di uno status particolare quello di millet i sadika cioè popolazione fedele ed ebbero giurisdizione  su tutti i cristiani d’oriente (assiri, copti, siriaci e caldei).

I prodromi del genocidio

L’idillio e la convivenza pacifica tra Turchi ed Armeni stavano per finire.

Arriviamo alla seconda metà del XIX secolo. L’Impero ottomano è un coacervo di razze, di nazionalità spesso anche di gruppi tribali mai in pace tra loro. L’Impero vive di glorie passate, ma e assai mal ridotto sia politicamente, sia soprattutto economicamente ed in completa decadenza. Fa gola  a tutte le grandi potenze alla Russia sarebbe necessario e vitale per avere lo sbocco al Mediterraneo tanto agognato. L’Inghilterra non vuole i Russi tra i piedi nel Mediterraneo, ma pensa di più al Medio Oriente ed a rinsaldare i legami con l’India proteggendone le rotte commerciali, poi arriverà anche il petrolio ed allora ….

La Francia vuole smembrare l’Impero Ottomano per prendersi Siria, Libano, Giordania e forse anche l’Irak. Austria e Germania sono attratte dai vasti territori e cercano ingrandimenti territoriali, ma anche, soprattutto la Germania, mercati e materie prime. Mentre gli Imperi Centrali corteggiano il Sultano, fanno progetti faraonici per costruire ferrovie ed infrastrutture, gli scaltri banchieri francesi ed inglesi forniscono capitali e prestiti in modo da poter strozzare economicamente la Sublime Porta, provocando una sorte di eutanasia.

Cercano ipocritamente di dare una mano fraterna con il fine chiaro far trapassare il Grande malato il prima possibile. Ormai il Sultano paga debiti contraendo altri debiti. Intanto la rete si stringe intorno al malato sempre più.

La Russia è la più smaniosa. Tra il 1820 ed il 1830 annette i territori della Armenia storica  controllate dai persiani cioè Erevan e la zona del lago Van ai piedi dell’Ararat. Contemporaneamente comincia ad interessarsi della sorte degli Armeni che stanno sotto il dominio turco incoraggiando l’emigrazione nelle regioni occupate da poco. Essi promuovono, tra l’altro, il recupero del complesso religioso di Echmiadzin, Santa Sede del Catholicos di tutti gli Armeni. In pochi anni l’autorità del primate della Chiesa armena recuperò il suo prestigio, venendo riconosciuto anche dalle comunità armene stanziate nell’Impero ottomano. Nel 1877 scoppia la guerra tra Russia e Impero ottomano: Yves Ternon[1] nel suo libro Gli Armeni  così parla della guerra;

“ Con il protocollo di Londra del 31 marzo 1877 le potenze europee invitano l’impero ottomano ad accettare l’intervento europeo  in favore delle nazionalità e delle minoranze al rifiuto del sultano la Russia entra in guerra, in effetti si tratta della prima operazione militare di una sola potenza con un pretesto umanitario”.

 Il principe Gorčakof, Ministro degli Esteri dello Zar così scrive al suo omologo Lord Derby Ministro degli Esteri di Sua Graziosa Maestà Britannica:

“L’obiettivo non può essere raggiunto fino a che le popolazioni cristiane della Turchia non verranno poste in una situazione in cui la loro vita e la loro sicurezza siano sufficientemente garantite contro i soprusi intollerabili dell’amministrazione turca”.

E prosegue dicendo che questo è un interesse vitale per la Russia e non è in contrasto con gli interessi dell’Europa!

Lasciatemelo dire: come è cambiato il mondo adesso sembra che gli unici da tutelare siano solo i mussulmani e che i cristiani siano il vero grosso impiccio alla realizzazione di un mondo colorato e migliore. Ovviamente anche il Santo Padre ha oggi sposato questa linea umanitaria e piena di misericordiosa comprensione! Più tardi sapremo che chi prese le difese tuonando senza peli sulla lingua contro il genocidio che i Turchi stavano perpetrando in Anatolia fu Benedetto XV, affiancato da un altro personaggio, un ebreo, Henry Morgenthau senior ambasciatore degli Stati Uniti in Turchia poi vedremo meglio il tutto.

   Molti sono gli Armeni che emigrano verso la Georgia accolti bene dai Russi.

 I Russi vincono la guerra.

 Tra le condizioni imposte per la pace vi fu quella dell’abolizione della condizione di sudditanza (raya) e del riconoscimento della pienezza dei diritti civili agli Armeni.

Il sultano Abdul Hamid II firmò il trattato, ma non lo eseguì.

E qui inizia il Calvario di questa nobile e fiera popolazione cristiana la più numerosa, salda e ricca del Medio Oriente.

In sostanza la Russia vinse, ma tutte le  altre potenze europee avevano la pretesa di avere, dalla vittoria russa, il loro tornaconto avendo ben chiaro quale fosse il loro interesse nazionale o peggio le loro mire più o meno segrete.

La Gran Bretagna in particolare è molto preoccupata per l’occupazione russa delle regioni di Alashkert e Bayazet in quanto troppo vicine al confine persiano. Il nuovo Ministro degli Esteri di Sua Maestà Lord Salisbury, inizia tutta una serie di contatti più o meno segreti per cercare di frenare sterilizzare la vittoria russa. Comincia a far firmare il 30 maggio 1878 un protocollo segreto alla Russia:

 “le  promesse riguardanti l’Armenia sono fate anche all’Inghilterra, costringe  alla rinuncia delle regioni sopra dette nonostante che i Turchi abbiano sterminato la popolazione armena costringendo i superstiti a emigrare verso la Russia.”

 Ma Salisbury non è ancora soddisfatto ed intavola trattative con la Sublime Porta con la quale stipula un’alleanza difensiva segreta che garantisce al Sultano l’intervento della Gran Bretagna qualora l’Impero zarista volesse ampliare ancora i suoi territori ai danni della Turchia dopo la stipula del trattato di pace. Tutto ciò importa la concessione di un piccolo vantaggio per l’Impero britannico: e cioè il Sultano acconsente a che l’isola di Cipro sia occupata ed amministrata degli inglesi, per meglio favorire  un aiuto eventuale.

Sua Maestà il Sultano promette all’Inghilterra di introdurre le riforme necessarie concernenti una buona amministrazione e la protezione dei sudditi  cristiani e non, dell’Impero ottomano!

Al congresso di Berlino chi la fa da padrone è Bismarck il quale cerca di fare quello che è meglio per gli interessi tedeschi e contrastare quelli britannici. La Russia, come da accordi precedentemente stipulati con gli Inglesi, rinuncia alle province di Alashkert e Bayazet e la Sublime Porta deve porre in essere quelle riforme che garantiscano la sicurezza delle popolazioni armene minacciate anche dai curdi e dai circassi. Il Sultano vede questa come un’ingerenza delle altre nazioni negli affari interni del suo stato e provoca una furiosa collera ed un aumento dell’odio contro gli Armeni. Essi sono accusati di aver infranto quel contratto stipulato tra Turchi ed Armeni che il Sultano aveva ancora rinnovato al momento della promulgazione della costituzione del 1863. Essa considerava gli Armeni dei “fedeli sudditi” e quindi ridava all’altra parte contraente il diritto sulla vita e sui beni dei dhimmi. Il che significava che i mussulmani dell’Impero ottenevano il permesso di uccidere gli Armeni due volte infedeli alla loro parola ed all’Islam.

Quindi le garanzie imposte non sono altro che vane parole!

Abdul Hamid II, il sovrano in carica, inizia a far organizzare bande di Curdi e di Circassi che iniziano a saccheggiare e distruggere le proprietà armene. Si fece in modo che i profughi turchi che dovettero lasciare i territori a maggioranza cristiana nei Balcani, si stanziassero nel territorio abitato dagli Armeni, concedendo loro le terre a prezzi di favore. Ovviamente la risposta della controparte fu quella di iniziare a seguire una via sovversiva, se non pre insurrezionale nei confronti dei Turchi!

 Il Sultano li continuava ad accusare falsamente di tramare con la Russia Imperiale contro la nazione: bande di irregolari Curdi e Circassi si scatenarono ponendo in essere una vera e propria pulizia etnica incendiando, saccheggiando, uccidendo in modo indiscriminato la popolazione civile. Le autorità di Istanbul lasciavano fare e non intervenivano assolutamente:  addirittura  i 15000 soldati mandati dal governo si unirono agli irregolari Curdi nel massacro sistematico delle popolazioni dei vari Vilayet della zona del lago Van e di Kars. A nulla valgono le denuncie dei vice consoli francesi ed inglesi di Erzurum e Diyarbakir che segnalano ai loro ambasciatori la gravità della situazione.

Gli Armeni si rifiutano di versare le tasse ai Turchi ed ai Curdi e per sfuggire alla repressione si danno “alla macchia” sulle montagne di Sasun: i consoli inglesi di Erzurum e Van spalleggiati dall’ambasciatore  Currie non intendono lasciare insabbiare il caso. Anche la stampa britannica viene informata di ciò che sta accadendo nell’ Est dell’Anatolia: il governo turco accusa Currie di essere in combutta con gli Armeni e per di più pretende di insediare una commissione d’inchiesta incaricata dal governo di rendere conto “degli atti criminosi commessi dai briganti Armeni che hanno devastato e saccheggiato alcuni villaggi”. E’ davvero il colmo, il travisamento totale della realtà dei fatti.

Questo tipo di atteggiamento fa capire meglio l’intransigente posizione della attuale Turchia nei confronti del genocidio armeno: spiega ed evidenzia con quanta mala fede e pertinacia si continui a negare qualsiasi tipo di violenza e di sterminio commesso dal 1916 al 1918. Quasi nessuno parla di questi fatti antecedenti ed altrettanto gravi e sanguinosi commessi nei confronti delle popolazioni civili ed inermi.

Nel 1896 probabilmente per ottenere visibilità internazionale, alcuni rivoluzionari Armeni occuparono la Banca ottomana[2] a Istanbul. La reazione fu un pogrom anti-armeno da parte di turchi in cui persero la vita 50.000 Armeni.

Banca sunt servanda!

Siobhan Nash Marshall è insegnante di filosofia al Manhattanville College intervistata da Davide Brullo[3] così si esprime:

Le testimonianze del console inglese Fitzmaurice, che recensisce i massacri ai danni degli Armeni orditi dal sultano Abdul Hamid II, e svariate lettere, dal 1878 al 1915, ai governi francesi e inglesi, dimostrano che l’Europa era a conoscenza di ciò che stava accadendo al popolo armeno. Ma per realpolitik non fece nulla. Soltanto Benedetto XV tentò di evitare il genocidio”

I tempi erano molto diversi dagli attuali e quando il Papa parlava lo faceva senza reticenze  o senza aver paura di essere insultato, vilipeso da quella canea di servitori dell’oscuro signore sempre pronta ad assalire i cattolici che indubbiamente per loro rappresentano il pericolo maggiore.

Il giornalista rivolge alla studiosa un’altra significativa domanda:

Contro gli Armeni si è agito con accanimento: perché davano così fastidio?

“Se vogliamo essere mistici, le direi: perché l’Armenia è stata la prima nazione cristiana. Le ragioni storiche, però, risalgono al 1717, quando il doge di Venezia cede l’isola di San Lazzaro agli Armeni, e l’abate Mechitar vi redige la prima grammatica dell’armeno parlato, volgare. Comincia da lì un profondo lavoro sull’educazione che porterà l’Armenia, nei primi anni del ‘900, ad avere un’alfabetizzazione pressoché completa, risultato all’epoca non ancora raggiunto nel resto dell’Occidente. Questa grande fioritura culturale fa sì che nel 1915 l’80% circa dell’economia ottomana fosse in mano cristiana. Questo infastidiva i Giovani Turchi”.

Nel 1908 un gruppo di ufficiali di grado inferiore chiamati Giovani Turchi aveva preso il controllo dell’impero ottomano il loro capo era Ismail Enver, ma del gruppo dirigente di questa lobby e partito politico facevano  parte anche Ahmed Gemal, Mehemed Talaat Pasha e Mustafa Kemal Pasha più noto come Atatűrk (Padre dei Turchi): la conquista del potere avvenne attraverso un vero e proprio colpo di stato.

La più grossa preoccupazione di Enver era che gli Armeni potessero allearsi con i Russi, di cui i Turchi erano storici nemici. Oltre a questo c’era il fatto che gli Armeni controllavano direttamente una grossa parte dell’economia turca ed erano in grado di condizionare fortemente la politica interna  ed estera. Gli avvenimenti  e le stragi causate in Anatolia da Abdul Hamid II negli anni ottanta dell’ottocento, avevano turbato molto la coscienza della minoranza armena e si erano formati dei nuclei rivoluzionari che sicuramente agivano contro i Turchi in vario modo: o appoggiando la Russia, o, come nel caso degli Armeni della Cilicia, tenendo contati con Inglesi e Francesi con lo stesso scopo. Insomma c’era un gran fermento più o meno sotterraneo nella comunità che tuttavia non nascondeva la sua ostilità nei confronti della maggioranza della popolazione turca.

Il 1909 registrò un nuovo sterminio. Ancora una volta il governo dei Giovani Turchi si servì prevalentemente dei Curdi per scatenare disordini e causare stragi, incendi e saccheggi almeno 30.000 persone nella regione della Cilicia persero la vita nella totale indifferenza delle autorità che spesso sobillavano o incitavano a compiere questi massacri.

Quando parliamo di cifre dobbiamo farlo con una certa prudenza in quanto non ci sono dati certi sulla consistenza della popolazione e poi, perché l’amministrazione del Sultano aveva ridotto la grandezza territoriale dei vari Vilayet dell’est per dimostrare che gli Armeni non erano popolazione maggioritaria, soprattutto nei distretti di Kars, del lago Van, di Erzurum e Diyarbakir.

Medz Yeghern: il grande crimine, in armeno.

 Inizia il genocidio.

La Turchia era fortemente legata alla Germania: ne era alleata.

Quando nel 1914 scoppia la prima guerra mondiale Enver scende in campo a fianco degli Imperi Centrali forse anche in maniera precipitosa.

A questo punto quello che prima era soltanto un’ancestrale paura, o un tormento mentale diventa quasi una certezza nella mente di Enver e del suo gruppo di potere. Gli Armeni sono sicuramente una potentissima quinta colonna che trama soprattutto con i Russi per la sconfitta della Turchia.

L’esercito turco cerca di attaccare la Russia ad est, ma incorre in una vera e propria rotta: vicino a Kars una delle più belle città armene cinta da mura color ocra e decorate con simboli solari marroni scuri. I Russi sgominano l’armata ottomana, la distruggono: solo il dieci per cento dei suoi effettivi riesce a fuggire. Qui inspiegabilmente l’esercito dello zar compie l’errore di non avanzare subito: sarebbe stato il tracollo totale della Turchia.

Già da qualche tempo alcuni battaglioni composti da Armeni dell’esercito zarista avevano cominciato a reclutare elementi armeni che prima avevano prestato servizio nell’esercito ottomano. Essi avevano promesso al comando britannico d’Egitto di scatenare un’insurrezione in coincidenza con gli sbarchi britannici previsti nella costa meridionale della Turchia, nei pressi di Adana. All’ultimo momento Londra decise di spostare l’invasione molto più a ovest, a Gallipoli, lasciando che la ribellione scoppiasse comunque. Anche i Francesi finanziavano ed armavano gruppi armeni incitandoli alla rivolta contro il nuovo regime turco. Vedremo poi come i Francesi furono il mezzo di salvezza per i combattenti del Mussa Dagh.

 A questo punto tra il 23 ed il 25 aprile 1915 il Ministro degli Interni Talaat inizia l’offensiva contro gli Armeni: in queste tre giornate ben 270 persone soltanto ad Istanbul vengono arrestate e poi avviate verso il centro dell’Anatolia e eliminate durante i trasferimenti. Ormai è il Ministero degli Interni che coordina le operazioni non avendo nemmeno avuto il placet del Consiglio dei Ministri.

Tuttavia gli ambasciatori dei paesi neutrali hanno la sensazione che stia avvenendo qualcosa di veramente molto grave.

Contemporaneamente il Catholicos[4] Gevorg si rivolge al Presidente degli Stati Uniti ed al Re d’Italia Vittorio Emanuele e la sua azione è appoggiata dai rispettivi ambasciatori russi a Washington ed a Roma.

Talaat mette il gabinetto davanti al fatto compiuto: la deportazione degli Armeni è già in atto ed il Governo lo spalleggia e ne prende atto. Il 27 maggio viene promulgata la legge provvisoria sulla deportazione. Senza in particolare menzionare gli Armeni la legge autorizza le autorità militari locali a disporre, a loro piacimento, delle popolazioni civili sospettate di spionaggio ed tradimento nei confronti del nemico e ad intraprendere  la deportazione di tutti gli abitanti delle città e dei villaggi sospetti.

Nei Vilayet orientali questi compiti sono assegnati alla Organizzazione speciale ed alle bande di čete[5]. Non viene di norma utilizzato l’esercito anche se il Ministero dell’Interno si riserva di intervenire in caso di necessità.

Lo sterminio avviene in due tappe: tra maggio e luglio tocca agli Armeni dei Vilayet orientali da agosto in poi a quelli del resto dell’Impero. La procedura applicata è sempre la medesima: le autorità richiedono la consegna delle armi alla popolazione. Quelle consegnate dagli Armeni vengono ritenute insufficienti il che consente l’arresto dei notabili, dei preti, degli intellettuali, dei capi politici. I prigionieri vengono torturati per estorcere loro la prova di una rivolta armena contro lo stato poi vengono portati fuori delle città ed assassinati. A questo punto scatta l’ordine di deportazione o per passa parola o attraverso l’affissione di manifesti.

 I termini concessi alla popolazione sono brevissimi o solo alcune ore o pochi giorni per lasciare le case. Le poche cose che si pensa di portarsi dietro sono subito sequestrate. Quando la popolazione è radunata gli uomini validi vengono separati portati via e giustiziati: donne e bambini vengono organizzati in convogli ed avviati sulla via della deportazione.

I diplomatici stranieri raccolgono prove schiaccianti: Yves Ternon nel suo libro Gli Armeni 1915 1916 il genocidio dimenticato, così scrive:

“L’ambasciatore tedesco Wangenheim il 17 giugno: «E’ evidente che l’espulsione degli Armeni non è dovuta semplicemente a considerazioni di carattere militare. Le condizioni nelle quali viene effettuato il trasferimento dimostrano chiaramente che il governo mira in realtà all’annientamento della razza armena nell’impero ottomano».

L’ambasciatore austriaco Von Pallavicini: «Il modo in cui gli Armeni vengono deportati equivale ad una condanna  a morte.»

L’ambasciatore degli Stati Uniti Henry Morgenthau senior coadiuvato dai suoi attivissimi consoli ad Aleppo, ad Harput e nell’est dell’Anatolia il 26 luglio dichiara che «sembra esistere un piano sistematico destinato a schiacciare la razza armena.» ”[6]

E’ doveroso un attimo soffermarsi a parlare di  Henry Morgenthau senior ambasciatore degli Stati Uniti in Turchia.

Nel  1912 fu uno dei finanziatori della campagna elettorale del Presidente Wilson che incontrò per la prima volta nel 1911 ad una cena per il quarto anniversario della fondazione della Free Synagogue Society. I due  istaurarono un legame forte di amicizia e simpatia ed il Presidente, una volta eletto, lo nominò ambasciatore degli Stai Uniti in Turchia.

Sebbene la sicurezza dei cittadini americani, per lo più missionari cristiani ed  ebrei, fosse una delle principali preoccupazioni nell’Impero Ottomano, all’inizio del suo incarico, Morgenthau  dichiarò che il problema più preoccupante ed urgente era la Questione Armena.

 Dopo lo scoppio della guerra, gli Stati Uniti rimasero neutrali,  ma siccome, come abbiamo visto le autorità ottomane avevano iniziato la campagna di sterminio degli Armeni  la scrivania di Morgenthau era sommersa, quasi ogni ora, dai rapporti dai consoli americani residenti in diverse parti dell’Impero, documentando i massacri e le marce di deportazione che stavano avvenendo.

Di fronte alle evidenze accumulate, informò in maniera ufficiale il Governo degli Stati Uniti delle attività del Governo Ottomano, chiedendogli di intervenire. L’ambasciatore cercò di alleviare la situazione tragica degli Armeni con molti incontri con i leader turchi,. ma le sue proteste furono respinte e ignorate. È famoso il suo monito al ministro dell’Interno Talaat Pasha: “Il nostro popolo non dimenticherà mai questi massacri”.

Talaat ebbe anche l’impudenza di chiedere all’ambasciatore che le compagnie di assicurazioni americane pagassero al governo turco i premi stabiliti con i contraenti armeni, in quanto i titolari erano tutti morti e che quindi essi spettavano allo stato.

Siccome i massacri continuavano senza sosta, Morgenthau e molti altri americani decisero di formare un fondo pubblico formando un comitato di assistenza degli Armeni, il “Committee on Armenian Atrocities” – Comitato per le atrocità verso gli Armeni (in seguito ribattezzata “Near East Relief” – Aiuti del Medio Oriente), raccogliendo più di 100 milioni di dollari, l’equivalente di un miliardo di dollari di oggi.

 Inoltre grazie alla sua amicizia con Adolph Ochs, editore del New York Times, assicurò una copertura mediatica di primo piano sulla continuazione dei massacri, con la pubblicazione di ben 145 articoli, nel solo 1915.

 Esasperato dal suo rapporto con il governo ottomano, nel 1916 si dimise da ambasciatore.

Guardando retrospettivamente tale decisione, nel suo libro di memorie “The Murder of a Nation” (L’assassinio di una Nazione), scrisse che aveva conosciuto la Turchia come “un luogo di orrore. Avevo raggiunto la fine delle mie risorse. Ho trovato insopportabile la mia ulteriore associazione quotidiana con gli uomini, comunque gentili e accomodanti… che erano ancora puzzolenti del sangue di quasi un milione di esseri umani”.

Le sue conversazioni con i leader ottomani e il suo racconto del genocidio armeno fu poi pubblicato nel 1918 sotto il titolo “Ambassador Morgenthau’s Story”.

Nello stesso anno, Morgenthau tenne delle conferenze negli Stati Uniti, avvertendo che anche i Greci e gli Assiri venivano sottoposti agli stessi metodi di deportazione e di massacro, come gli Armeni, e che due milioni di Armeni, Greci e Assiri erano già morti.[7]

Quindi una fonte autorevole e sicuramente attendibile.

Come sappiamo Morgenthau senior era un ebreo, (ma ebreo era anche Adolph Ochs proprietario del prestigioso New York Times): viene spontaneo domandarsi, ma davanti a tanta circostanziata e inoppugnabile documentazione scritta da un israelita come fa lo stato di Israele ad appoggiare la Turchia e sostenere il negazionismo del genocidio   armeno? Francamente, pur mettendoci tutta la buona volontà, non riusciamo a spiegarcelo.

Ma poi ci torna alla mente il comportamento tenuto nei confronti di Pio XII che prima fu esaltato e ringraziato in maniera solenne da importanti autorità anche rabbiniche e che poi è stato accusato di connivenza con i tedeschi riguardo all’Olocausto. Ma se in quest’ultimo caso ci si potrebbe trovare di fronte ad una teorica contrapposizione di carattere religioso insanabile, nei confronti degli Armeni l’atteggiamento israeliano è davvero  incomprensibile! Viene da domandarsi quali interessi politici più o meno oscuri leghino Israele e la Turchia di Erdogan: non ci è dato a sapere e tutto resta avvolto nel più oscuro dei misteri.

Forse c’entra la faccenda dei Dunmeh[8] cui appartenevano i Giovani Turchi?

Chi sorvegliava i trasferimenti talvolta compiva atti ripugnanti nei confronti di questi derelitti: c’era chi vendeva donne e ragazze come schiave, chi si faceva dare delle somme di denaro promettendo l’immunità, chi infieriva con atti di sadismo, chi violentava le donne, chi infieriva sui bambini chi, poteva mancare, affogava le persone nell’Eufrate mettendo in campo tutto il peggior repertorio che la belva umana può concepire.

Nei Vilayet dell’est le misure di repressione e deportazione vengono spacciate come operazioni militari di salvaguardia del territorio dalla connivenza con il nemico. Alla fine del 1915 lo sterminio delle popolazioni armene dei Vilayet orientali è completata.

Ma il problema va risolto alla radice. Quindi si adotta il metodo dello sterminio in loco ad est e la deportazione sistematica secondo un calendario preciso: qui si sfrutta la presenza della ferrovia costruita dai tedeschi e che attraversa l’Anatolia occidentale, la Cilicia e la Siria: quando la linea ferroviaria finisce si procede a tappe forzate nel deserto a piedi, senza acqua, senza cibo, con pochissime possibilità di riposo: l’obiettivo è quello di far morire il maggior numero di persone senza  ricorrere alle fucilazioni di massa.

Nel novembre del 1915 un medico dell’esercito turco di origini armene, viene incaricato dal governo di visitare i campi dei deportati a Meskene sulla strada che raggiunge l’Eufrate. Egli visita, scortato da guardie turche, un  campo di 5000 persone provenienti dalla Cilicia. Intorno al campo ci sono  fosse che contengono migliaia di morti  di sete esposti sotto il sole. Quando l’ispezione finisce è talmente inorridito che decide di scappare per testimoniare ciò che ha visto. Passando per Djerablus vede i čete che stanno vendendo come schiave trecento ragazze sopravvissute ai convogli provenienti da Diyarbakir.

Quanti furono i morti?

 Il bilancio è necessariamente sommario in quanto i dati di partenza non sono sicuri  o contrastanti: secondo il censimento svolto nel 1914 dai Turchi il numero degli Armeni registrati sarebbe stato di 1.295,000, ma gli archivi del Patriarcato ne rivelano 2.100.000 quindi la cifra dei morti oscilla tra il 1.500.000  di cui parlano le pubblicazioni armene e gli 800.000 cifra indicata  nel 1919 dal Ministero degli Interni turco confermata dallo storico Bayer ed accettata anche da Atatűrk.

Ternon fa notare come comunque la cifra rimanga sempre di due terzi,

Ed inoltre aggiunge: “ Nel 1916 Arnold Toybee  parla di una cifra verosimile di 1.800.000 di Armeni residenti  nel territorio dell’Impero. 600.000 vengono assassinati sul posto, altri 600.000 durante la deportazione. 200.000 si rifugiano nel Caucaso; 150.000 sfuggono alla deportazione (Armeni di Costantinopoli e di Smirne), 100.000 sono vittime di rapimenti o, come molti bambini piccoli, vengono allevati negli orfanotrofi turchi : alla fine 150.000 sopravvivono alla deportazione, rinchiuse nei campi, nascoste in famiglie turche, curde o arabe a cui vanno aggiunti i 4.200 del Mussa Dagh  messi in salvo dalle navi alleate. E’ comunque, indipendentemente dalle cifre, un popolo intero che scompare.”

Gli scampati del Mussa Dagh.

Non tutti vengono presi alla sprovvista dalla decisione del governo dei Giovani Turchi di eliminare gli Armeni. Questo perché le voci cominciano a circolare e nonostante il riserbo le notizie si spandono ed arrivano anche alle orecchie delle potenziali vittime.

Quella che andiamo a raccontare è una storia allo stesso tempo bella, toccante, a lieto fine, anche se vogliamo rocambolesca, ma sicuramente che narra di una popolazione accorta, prudente ed anche realisticamente preparata al peggio. Essa saprà sfruttare al massimo le sue capacità di coesione e solidarietà, il suo senso di sopravvivenza ed anche la perfetta conoscenza dei luoghi in cui vive.

 Flavia Amabile e Marco Tosatti[9] scrivono: “ La resistenza sul Mussa Dagh (Montagna di Mosè in armeno) fu un fatto collettivamente attuato con una disciplina ed una capacità di autogestione straordinarie, se si tiene conto del livello sociale, culturale e del retaggio storico dei protagonisti, soggetti da secoli all’indiscussa autorità ottomana.  Fu vera battaglia di popolo.”

Altra indispensabile precisazione è che questo episodio assume una colorazione fortemente religiosa. Innanzitutto la scena si svolge a poca distanza da Antiochia città natale dell’evangelista Luca e luogo dove i seguaci di Cristo, per la prima volta, furono chiamati Cristiani.

La riunione decisiva dei notabili dei villaggi che si tenne il 29 luglio 1915 fu fatta a casa di un sacerdote Aprahan  Kalousdian a cui le autorità turche inviano una lettera prima dell’intervento militare.

Nulla avviene per caso ma simbolicamente l’attacco turco più violento e determinato comincia mentre si sta celebrando la messa e nel momento preciso in cui il diacono gridò dal profondo del cuore “libertà al popolo armeno” un’altra voce gridò: “Il nemico ha attaccato: alle armi”. Il giorno dopo quando la situazione sembra essere disperata e stia per precipitare Iesay Ieaghoubian trova il tempo di “ricevere la santa comunione dal sacerdote e di nuovo si affretta a tornare in prima linea”.

C’è di più l’abate Pierre Altamian racconta che gli abitanti del Kessab avrebbero potuto evitare la deportazione e le tragiche  e tristi conseguenze se  avessero acconsentito a rinunciare alla fede cristiana. Monsignor Jean Naslian nelle memorie scrive che : “cinque preti ed un pastore protestante li accompagnarono e si dedicavano allo stesso tempo al servizio delle armi ed al culto”!

Da ultimo: quando i ribelli del Mussa Dagh decidono di esporre sulla sommità della montagna un grande lenzuolo per attirare l’attenzione di qualche eventuale nave da guerra alleata, ci stampano sopra una enorme croce rossa ed accanto scrissero: “facciamo ricorso in nome di Dio, della fratellanza umana, facciamo ricorso in nome di Cristo e del cristianesimo”.

Il 6 aprile 1909 ad Antiochia, dopo la preghiera del venerdì iniziò una vera e propria mattanza della popolazione armena stanata casa per casa e poi il loro quartiere fu dato alle fiamme.

Dopo il pogrom il governo turco assegna una somma di indennizzo quasi ridicola alle famiglie colpite dai massacri: esse si divisero una parte e l’altra, con molta accortezza decisero di destinarla alle attività di autodifesa. Già nel 1910 avevano potuto comperare dei vecchi fucili greci Gra attraverso dei marinai greci che li vendevano di contrabbando; ogni arma aveva una dotazione di 25 cartucce. Ogni qual volta si veniva a sapere che sul mercato c’era la disponibilità di armi si faceva qualsiasi tipo di sacrificio pur di poterla acquistare. Al momento dell’entrata in guerra della Turchia a fianco degli Imperi centrali molti rispondono al bando di chiamata alle armi. Altri presagendo altri gravi problemi per la comunità, disertano. La gendarmeria e l’esercito circondarono i villaggi intorno al Mussa Dagh e iniziarono una minuziosissima perquisizione rovistando in ogni angolo, ma non trovarono niente di rilevante se non dei vecchi fucili da caccia in numero irrilevante.

Quando nel 1915 arriva l’ordine di deportazione  c’è chi decide di non subire più passivamente e di ribellarsi preparandosi ad affrontare il peggio. In particolare sei elementi fanno da catalizzatori sensibilizzano la gente e a costo di sacrifici economici personali acquistano anche dei fucili automatici e munizioni ed anche su alcune bombe. La cifra che spendono per acquistare alcuni Kundakli fucili che non emettono fumo al momento dello sparo, fu di 15 ori più 3 ottomani per l’acquisto di munizioni supplementari. Tanto per farsi un’idea con 20 ori si poteva acquistare un giardino oppure una semplice abitazione e che la stessa cifra fruttava 4 ori l’anno di interessi.

Le voci di una nuova ondata di violenze arrivano grazie anche ai racconti del pastore Antreasian che arrivato da Marash racconta che ci sono state deportazioni rilevanti e che a Zeitoun e dintorni  le deportazioni erano anche degenerate in episodi di violenza.

 Altri arresti seguono ad Antiochia ai primi di agosto e grazie a notizie fornite da amici turchi, buona parte della popolazione comincia a salire sul Mussa Dagh. Piuttosto che morire disonorati o di morte terribile era dunque preferibile farlo con l’onore del ferro e del fuoco. Persino gli adolescenti erano in grado di maneggiare qualsiasi arma, la cosa migliore era fortificare la montagna e mettere le persone al riparo in luoghi inaccessibili e per quanto possibile sicuri.

I Turchi cercarono in ogni modo con blandizie e minacce di far tornare la popolazione sulla sua decisione diffondendo notizie false e cercando di irretire le persone che tuttavia resistettero e rimasero compatte.

Il 7 agosto il “potente esercito turco” attacca. La battaglia infuriò per ben sei ore e terminò con la vittoria degli Armeni. Essi lasciarono da parte definitivamente la remora che dovevano sparare sui soldati, in fondo dopo secoli di ubbidienza alla Sublime Porta anche se oppressi e considerati sudditi di serie b si sentivano comunque facenti parte del tessuto sociale dell’Impero.

Il 10 agosto le autorità militari turche pensano di risolvere definitivamente la noiosa questione e di annientare i ribelli. Lanciano un’altra offensiva: cinquemila soldati partirono all’attacco guidati da sette maggiori e da un ufficiale tedesco di alto grado: l’offensiva era coperta da numerosa artiglieria e da una batteria di cannoni da montagna. Ormai la vittoria sembrava raggiunta e i soldati turchi urlarono la loro gioia, mentre gli Armeni si riorganizzavano e contrattaccavano con successo l’avanzata nemica si arrestò. I ribelli riuscirono a procacciarsi parecchi Mauser Martin molto efficienti e gli artificieri disinnescarono le bombe inesplose. Dopo 12 ore di battaglia i Turchi si diedero alla fuga.

Il numero di morti fu elevato ed il maggiore comandate turco stizzito diede ordine di seppellire le vittime in fosse da 5 e impartì l’ordine di tacere sull’episodio.

Una calma seguì a questa cruenta battaglia in quanto si svolgevano le feste terminali del Ramadan, ma cominciò a presentarsi il problema su come nutrire combattenti e persone scappate.

C’era chi pensava che la guerra durasse poco, altri erano di diversa opinione, ma l’autunno stava arrivando e sfamare la gente diventava problematico. Certo era che gli Inglesi avevano il dominio dell’Egitto e dell’isola di Cipro improvvidamente concessa dal Sultano alla Gran Bretagna. Si sperava che un aiuto potesse arrivare dal Mediterraneo. Fu deciso di esporre una grandissima tela bianca con la richiesta di aiuto scritta in inglese e di affiancarla ad un’altra con cucita su una enorme croce rossa per attirare meglio l’attenzione.

Il 15 agosto terminate le feste del Ramadan i Turchi ripresero l’offensiva per chiudere definitivamente la questione. In effetti ci fu un grande avvicinamento alle profonde linee di difesa.

Ormai cantavano vittoria.

 La gente sbandata si divise o salì ancora più in alto, ma moltissimi si diressero verso il Mediterraneo essi dilagarono e la salvezza era, anche se a loro insaputa  a portata di mano. L’attacco turco crea scompiglio: ci furono casi di disperazione, quasi di follia in cui piuttosto che vedere le famiglie cadere in mano nemica si preferì annientarle!
Alla fine i ribelli riescono  a riorganizzarsi e, sfruttando la perfetta conoscenza dei luoghi, circondano i Turchi chiudendoli in una sacca.  Anche le donne combattono con tenacia al fianco dei loro uomini!

Ancora una volta i Turchi si scompaginano e scappano.

Altre battaglie e scaramucce si susseguono il 25, il 29 ed il 31 agosto: gli Armeni hanno sempre la meglio.

Il 5 settembre la nebbia  e le brume cedono il passo ad una giornata limpidissima. Molti salgono sui costoni più alti scrutando il mare: all’improvviso un grido: arriva un vapore!

Come diceva Tolkien “Quando tutto sembra perduto allora irrompe la Grazia!”

Le sentinelle agitarono bandiere per segnalare la loro presenza. Dalla nave si stacca un canotto che si avvicina alla costa: alcuni uomini che conoscevano il francese guidati da Khacer Doumanian salirono sul canotto portandosi dietro la petizione che avevano scritto poco dopo erano a bordo dell’incrociatore francese a raccontare la loro incredibile storia.

La nave era un incrociatore da guerra francese il Guichen.

Il comandante dette una dimostrazione di simpatia per la vicenda della gente del Mussa Dagh: seguendo delle segnalazioni fatte dalla delegazione si portò vicino alla costa verso il villaggio di Kebousiè dove fu bombardata una chiesa che i Turchi avevano trasformato in deposito d’armi. L’attacco non solo causò gravi danni e vittime, ma destò grandissimo turbamento tra i Turchi : “I giaurri francesi sono giunti in aiuto degli Armeni. Cosa succederà se un loro esercito sbarcherà su questi lidi?”

I Turchi avevano anch’essi avvistato la nave e cominciarono a sparare sui battelli dalla costa prospiciente al mare. Il comandante del Guichen non ebbe esitazione e cominciò un violento bombardamento delle alture riducendo al silenzio gli aggressori che si diedero precipitosamente alla fuga.

 Le posizioni armene furono molto alleggerite dalla pressione nemica.

Il comando turco preoccupato dalla presenza  della nave francese lancia un altro assalto, ma i combattenti Armeni galvanizzati dalla idea della possibile salvezza inflissero perdite rilevanti agli attaccanti ed affrontarono la battaglia più come la partecipazione ad un banchetto di nozze che ad un episodio bellico.

Il 7 settembre arriva alla fonda un altro incrociatore francese il Jeanne D’Arc (talvolta Dio si serve di piccoli, ma significativi simboli come questo per mostrare la su Grazia) lo comandava l’ammiraglio Dartige de Fournet comandante della terza divisione navale francese: volle stringere le mani a quei valorosi combattenti e promise che avrebbe organizzato tutto quello che era necessario per trarli in salvo.

Tuttavia i Turchi speravano ancora di schiacciare la rivolta con le armi e convogliarono un’accozzaglia di turcomanni, ceceni, georgiani, sanguinari assiri e gruppi di feroci nomadi Basciabozouk che speravano di poter appropriarsi delle donne e degli averi dei nemici. Il tutto sotto la bandiera della guerra santa contro i Giaurri. Gli Armeni finsero di essere stanchi e lasciarono avanzare gli avversari fin sotto le loro linee fortificate e qui contrattaccarono creando sgomento confusione  e, per l’ennesima volta, la rotta definitiva dei Turchi.

 Le navi francesi facevano visita ogni giorno infondendo sicurezza ed aumentando di numero: la mattina del 10 settembre il Guichen e il Desaix poterono avere notizie precise sulla battaglie dei giorni precedenti. I comandanti delle navi dissero che ora avrebbero loro fatto la loro parte di dovere. Si presentarono davanti a Suedia ed alle nove del mattino aprirono il fuoco contro la caserma turca, il governatorato ed altri obiettivi strategici. I francesi si permisero anche un’azione diversiva: prima si avvicinarono al villaggio di Kebousiè la gente scappò con urla di terrore. Quindi fecero finta di abbandonare la scena e si ritirarono. I Turchi tornarono nell’abitato e questa volta i francesi li bombardarono in maniera violenta causando danni, morti e un panico incontenibile. I villaggi furono abbandonati e si spopolarono: tornarono solo dopo che i combattenti del Mussa Dagh furono tutti tratti in salvo e portati a Port Said in Egitto.

Nella notte del 10 settembre l’ammiraglio Dartige, comandante della terza divisone navale francese comunicò ai ribelli che potevano scegliere tra tre opzioni: i Francesi avrebbero messo a disposizione materiali, munizioni, armi e forze ausiliarie dando la possibilità di continuare a combattere i Turchi; salvare le persone disarmate per portarle in salvo se fosse continuata la lotta di resistenza ai Turchi; trasferire tutti, combattenti compresi, in un luogo sicuro.

Ovviamente la scelta cadde sull’ultima ipotesi.

 Le autorità militari francesi presero contatti con quelle britanniche e si decise che tutti sarebbero stati trasferiti a Port Said in Egitto.

Mentre i civili si trasferirono in riva al mare i combattenti continuavano a presidiare le posizioni con attenzione per impedire colpi di mano e lì restarono fino a quando tutte le persone furono caricate sulle navi.

Cinque navi francesi Guichen, Desaix, D’Estrèe, Amiral Charner e Foudre più una nave ausiliaria britannica la Raven caricarono tutte le 4200 persone combattenti, feriti compresi. La separazione dalla terra natale fu molto commovente la gente era sicura che non avrebbe più rivisto le proprie case, i luoghi cari, ma la gioia della salvezza era altrettanto grande. Dicevano altresì addio a quelle sacre montagne che avevano loro salvato la vita e su cui avevano anche versato il loro sangue nella lotta per la sopravvivenza.

La permanenza in una tendopoli modello in terra egiziana durò per quattro anni senza che gli Armeni creassero mai il benché minimo disguido alle autorità inglesi ed a quelle egiziane.

I britannici addirittura aprirono un reclutamento di uomini per creare una legione armena che avrebbe combattuto con valore contro i Turchi in Palestina.

Con questo ultimo atto di generosità e di altruismo si chiude l’epopea del Mussa Dagh ed anche il racconto travagliato del sacrificio di questo valoroso, eroico e paziente antichissimo popolo dell’Anatolia.

[1] Yves Ternon; Gli Armeni 1915 1916; il genocidio dimenticato. Rizzoli- Collana Storica Rizzoli, Milano 2003.

[2] Il governo turco possedeva meno del 5% della banca centrale turca il rimanente era per la gran parte in mano a capitali francesi.

[3] “Il genocidio armeno i filosofi hanno le mani sporche di Sangue” articolo apparso sul Il Giornale il 09/08/2018 .

[4] Il Catholicos è la massima autorità religiosa il primate della Chiesa apostolica armena. 

[5] Il termine indica degli irregolari armati, vere e proprie bande di briganti e saccheggiatori, che le autorità sfruttavano e a cui garantivano l’immunità.

[6] Yves Ternon: Gli Armeni 1915 1916 il genocidio dimenticato: pagg. 247/248.

[7] Ricordiamo a proposito che Ataturk a Smirne dette un ultimatum alla popolazione greca per abbandonare la città in tempi brevissimi e che procedette ad un massacro di popolazione inerme che cercava di raggiungere le navi alla fonda nella baia. Per giorni il mare di Smirne fu rosso del sangue dei greci massacrati.

[8] Dunmeh o dönmeh (in turco “convertiti”) è termine utilizzato per riferirsi ad un gruppo di cripto-ebrei dell’Impero ottomano seguaci di Sabbatai Zevi, formalmente convertiti all’islam nel 1666, identificati anche col nome di Selânikli (che significa “persone da Tessalonica“). Per quanto costoro si considerassero ancora appartenenti a una forma di ebraismo, non erano riconosciuti come tali dalle autorità ebraiche rabbiniche.

[9] Amabile – Tosatti: La vera storia del Mussa Dagh Guerini e Associati. Milano.

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