La causa scatenante sembra essere stata l’ordinanza n. 21593, con la quale i giudici della Terza sezione civile della Cassazione hanno condannato il Ministero dell’Istruzione (Miur) a risarcire i genitori per l’infortunio mortale patito dal loro figlio undicenne mentre si trovava sulla strada pubblica, avendo lasciato, alla fine delle lezioni, la scuola. I giudici hanno ritenuto responsabile dell’infortunio anche il personale scolastico per avere omesso di proseguire la vigilanza sull’allievo finché non fosse salito sul mezzo pubblico che doveva ricondurlo a casa, così disattendendo la tesi, per altro conforme, in via di massima, alla consolidata giurisprudenza, del Ministero, che voleva limitare questa responsabilità all’interno del perimetro scolastico. Sia che non aspettasse altro, sia che non abbia letto o abbia frainteso la motivazione, per altro chiarissima, della decisione, la ministra Fedeli ha utilizzato l’ordinanza per promulgare una circolare che impone agli istituti scolastici di non lasciare uscire dalla scuola, al termine delle lezioni. gli alunni infraquattordicenni se non riconsegnandoli nelle mani dei genitori, con conseguente obbligo di questi ultimi di recarsi puntualmente a ritirarli. Obblighi che, in ipotesi, dovrebbero essere imposti per legge e non con circolare ministeriale. In effetti alla legge, facendosi forte dell’ordinanza, si è appellata la ministra, che ha proclamato: “Vietato tornare a casa da soli alle medie. Genitori questa è la legge”. Poi di nuovo, dopo l’intensificarsi delle proteste e il dissenso del suo stesso partito: “Se si vuole innovare l’ordinamento farlo in Parlamento”.
A dispetto dell’opinione della ministra, nell’ordinanza non si rinviene alcun accenno ad una aspecifica norma di legge, sicché, dopo lo scoppio delle polemiche che l’hanno accolto, i sostenitori del provvedimento ministeriale si sono sostituiti ai giudici alla ricerca di questa norma, che si è individuata nell’art. 591 del codice penale (Abbandono di persone minori o incapaci) o anche negli articoli 2047 (Danno cagionato dall’incapace) e 2048 (Responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori e dei maestri d’arte) di quello civile. Queste ultime in realtà c’entrano poco o nulla, riguardando non i danni riportati da minori e incapaci per difetto di vigilanza, ma il caso contrario della responsabilità di “chi è tenuto alla sorveglianza” in ordine al risarcimento dei danni derivanti da fatto illecito dell’incapace (per quanto riguarda gli insegnanti il secondo comma dell’art. 2048 li dichiara, appunto “responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza”).
La norma più gettonata resta l’art. 591: “Chiunque abbandona una persona minore degli anni quattordici, ovvero una persona incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a se stessa, e della quale abbia la custodia o debba avere cura, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni (omissis). In via astratta esiste una pur vaga possibilità di farne applicazione ai danni subiti dal minore degli anni quattordici all’uscita della scuola, in particolare alla luce della sentenza della Cassazione penale n. 19448/2016: “In tema di abbandono di persone minori o incapaci, il dovere di custodia implica una relazione tra l’agente e la persona offesa che può sorgere non solo da obblighi giuridici formali, ma anche da una sua spontanea assunzione da parte del soggetto attivo nonché dall’esistenza di una mera situazione di fatto, tale per cui il soggetto passivo sia entrato nella sfera di disponibilità e di controllo dell’agente, in ciò differenziandosi dal dovere di cura, che ha invece unicamente ad oggetto relazioni scaturenti da valide fonti giuridiche formali” (la fattispecie è quella di una donna, poi ritrovata morta, che due agenti di P.S., dopo averla temporaneamente presa in custodia, avevano abbandonato in evidente stato confusionale presso una stazione di servizio).
Possibilità molto astratta, perché in concreto mai si è ritenuto che consentire al minore di anni 14 di andare o tornare da scuola non accompagnato integri, a carico dei genitori o dei precettori, una condotta di abbandono, per la quale evidentemente si richiedono comportamenti di ben maggiore consistenza. Tanto meno lo ritiene l’ordinanza n. 21593/2017, che, senza il minimo riferimento all’art. 591, stabilisce sì che nel caso concreto “non doveva essere interrotta la vigilanza della scuola fino all’affidamento dei minori al personale di trasporto o, in mancanza di questo, a soggetti pubblici responsabili” (oltre tutto non si fa menzione dei genitori) con conseguente estensione dell’ obbligo di vigilanza anche dopo il termine delle lezioni e fuori dall’edificio scolastico, ma esclusivamente per effetto dell’art. 3 lettere d) ed f) del Regolamento d’Istituto, che ”rispettivamente pongono a carico del personale l’obbligo di far salire e scendere dai mezzi di trasporto davanti al portone della scuola gli alunni, compresi quelli delle scuole medie, e demandano al personale medesimo la vigilanza nel caso in cui i mezzi di trasporto ritardano”.
Motivazione, quindi, che non supporta in alcun modo le affermazioni del Ministero e della sua ministra, che, oltre tutto, avrebbero dovuto esser messi in guardia dal fatto che trattasi di decisione presa con ordinanza e non con sentenza. Difatti, a seguito della riforma dei processi in Cassazione, il nuovo testo dell’art. 375 del codice di procedura civile dispone che dei ricorsi assegnati alle sezioni semplici vengano discussi in camera di consiglio e decisi con ordinanza quelli che comportano controllo di legalità delle sentenze di merito a tutela delle parti (c.d. ius litigatoris) e invece in pubblica udienza e con sentenza quelli che (ferma, s’intende, la tutela delle parti) hanno funzione di indirizzo della giurisprudenza (c.d. ius constitutionis). Per dirla in linguaggio giornalistico, una decisione presa con ordinanza, almeno tendenzialmente “non fa giurisprudenza”. Ma in Italia non si può pretendere che politici e funzionari siano al corrente di simili tecnicismi.
Per porre riparo al pasticcio e placare la levata di scudi di parte dell’opinione pubblica (inclusi anche dirigenti scolastici e insegnanti, preoccupati di doversi trattenere più a lungo a scuola) la deputata Pd Simona Malpezzi ha proposto alla Camera il seguente emendamento alla legge di conversione del cosiddetto “decreto fiscale”, (che non c’entra nulla, ma rappresenta l’unica via per un intervento sollecito); “I genitori esercenti la responsabilità genitoriale e i tutori dei minori di 14 anni, in considerazione dell’età, del grado di autonomia e dello specifico contesto, nell’ambito del gradi di processo di autoresponsabilizzazione, possono autorizzare le istituzioni del sistema nazionale di istruzione a consentire l’uscita autonoma dei minori dai locali scolastici al termine dell’orario delle lezioni./ L’autorizzazione di cui al comma 1 esonera il personale scolastico dalla responsabilità connessa all’adempimento dell’obbligo di vigilanza”.
L’emendamento è stato approvato dalla Camera e se approvato anche dal Senato riempirà, ha detto l’on. Malpezzi, un “vuoto normativo”, ma lo riempie troppo. Presupposto della nuova disposizione è, difatti, l’esistenza di una norma che in mancanza di autorizzazione dei genitori estenda, quando si tratta di allievi infraquattordicenni, l’obbligo di vigilanza del personale scolastico al ritorno a casa alla fine delle lezioni. In realtà, come si è visto, fino ad oggi tale obbligo era ritenuto non sussistere, sicché si deve concludere o che è stata creata una nuova norma che lo impone, salva eventuale deroga da parte dei genitori, o che, sempre implicitamente, si è fornita l’interpretazione autentica dell’art. 591 del c.p. finora ritenuto non applicabile alla fattispecie. A parte la dubbia legittimità dal momento che non si ha notizia di leggi approvate per implicito, la nuova norma, o interpretazione autentica ex lege che sia, renderebbe applicabile la responsabilità ex art. 591, in questo caso a carico dei genitori, anche per l’andata, essendo inammissibile, data l’identità di situazione, che il minore di 14 anni risulti abbandonato se fa da solo il percorso scuola-casa, ma non per quello inverso. D’altra parte i genitori non possono esonerare se stessi dalla responsabilità (deve anzi ritenersi che, esonerando il personale scolastico dall’obbligo di vigilanza per il percorso di ritorno, se lo assumono in proprio).
Probabilmente lo scopo era quello di mettere una pezza alle improvvide iniziative della ministra, ma, come si dice in Veneto, potrebbe esser “pezo il tacòn del buso”.
Francesco Mario Agnoli