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PROBABILE DEFLAGRAZIONE BANCARIA DELL’UNIONE EUROPEA. Di Luigi Copertino

Il sistema bancario europeo, alla stregua di quelli di tutto il mondo, funziona sui presupposti usurocratici di un’attività di credito, concepita in termini autoreferenziali, che crea moneta bancaria dal nulla garantendola in parte, minoritaria, con il patrimonio ed il capitale di fondazione delle banche e in parte, maggioritaria, con le garanzie reali “estorte” ai debitori per ottenere i prestiti. Un gioco che funziona fino a quando il debitore è solvente in termini monetari o patrimoniali ma che si inceppa inevitabilmente, come sta accadendo durante questa crisi deflattiva che ha investito il mondo ed in particolare l’aerea euro, quando i debitori non hanno più risorse né monetarie né patrimoniali per “onorare” il prestito.

I mali di un’attività creditizia così concepita – ossia come un’attività parassitaria dell’economia reale – sono poi stati accresciuti dagli sviluppi dell’uso autoreferenziale della finanza per fare denaro dal denaro, senza rischi di investimento, o per creare denaro dal nulla con scopi speculativi. I derivati, ovvero contratti/scommesse stipulati azzardando sul valore futuro di altri titoli “sottostanti” – bond di Stato, azioni industriali, indici di andamento borsistico, tassi di interesse bancario, tassi di cambio monetario, etc. – sono l’espressione più avanzata di questa übris speculativa della finanza dominante e slegata dalla realtà. Stiamo parlando della finanzia derivata che con la sua crescita esponenziale ed improduttiva, cioè sganciata da qualsiasi connessione con la produzione reale. Essa costituisce oggi il “pericolo atomico” che minaccia l’intera economia globale.

La finanza sovrastrutturale è stata liberalizzata grazie all’abrogazione, in tutti i Paesi occidentali, delle precedenti normative di “repressione finanziaria”, gradualmente elaborate sin dagli anni ’30 del secolo scorso. Questa liberalizzazione è stata ottenuta dai banchieri e dagli speculatori per l’incapacità dei ceti politici a comprendere le conseguenze ed i rischi di una svolta di tale portata. Conseguenze e rischi che la storia delle precedenti generazioni, solo fosse stata meglio conosciuta dai popoli e dai loro governanti, avevano chiaramente messo in luce. Una grande parte di responsabilità, in questa svolta, va attribuita anche alla spinta sui politici dei cittadini elettori convinti, dal clima euforico e millenarista conseguente al 1989, che un inedito potenziale di facile ricchezza virtuale fosse ormai a portata di mano purché i vincoli imposti dallo Stato retrocedessero.

Apprendiamo da una interessante articolo di Marco Fortis, apparso su Il Messaggero del 13 agosto 2016, che il vero e taciuto problema del sistema bancario europeo è solo in parte dovuto alle sofferenze bancarie derivate dalla crisi, sofferenze che hanno toccato in particolare le banche italiane. Il vero e nascosto problema sono le esposizioni in derivati delle maggiori banche europee e, questa volta, non italiane ma in particolare quelle tedesche. La bomba ad orologeria può scoppiare da un momento all’altro. Anzi è già esplosa come previsto in Germania con la crisi delle banche tedesche causata, appunto, dall’eccessiva esposizione in derivati. I tedeschi troppo impegnati a fare le pulci agli altri partner europei, per il vero o presunto “azzardo morale” dei ceti politici nazionali, non si sono accorti dell’azzardo speculativo ingenerato dal loro sistema bancario.

Il problema bancario italiano ha certamente il suo peso sulla nostra economia perché la nostra rete industriale, fatte in cospicua parte di piccole e medie aziende, è fortemente dipendente dal finanziamento bancario. Sicché, entrate in difficoltà le nostre industrie, anche quelle più grandi, il sistema bancario nazionale ha conosciuto l’insolvenza dei debitori con le sue ripercussioni – nonostante le garanzie reali che, però, sono sempre dipendenti dal valore di mercato degli immobili ipotecati – sul patrimonio e la capitalizzazione dei medesimi istituti di credito. Le banche italiane, infatti, sono state costrette ad appostare nei propri bilanci le risorse necessarie a far fronte ai crediti deteriorati ricavandole dal proprio capitale e dal proprio patrimonio.

Marco Fortis ci informa che l’ammontare delle sofferenze bancarie in Italia è passato da 156 miliardi del 2013 ai 202 miliardi del gennaio 2016 per stabilizzarsi ai 198 miliardi del giugno di quest’anno. Tutto questo rende le nostre banche restie a ulteriori prestiti verso l’economia reale nonostante i massicci afflussi, verso di esse, di liquidità in conseguenza dei Quantitative easing attivati dalla Bce a guida Mario Draghi.

Tuttavia, come si diceva il vero problema – che ci fa toccare con mano quanto sia stato spaventosamente erroneo e stupido liberalizzare, negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso, la finanza abrogando la precedente normativa di “repressione finanziaria” che, a partire dagli anni ’30 con il Glass Steagall Act, aveva assicurato sessant’anni di stabilità finanziaria – è la massa stratosferica di derivati tossici in pancia alle maggiori banche europee, ed a quelle tedesche in particolare.

« … coloro che – scrive Marco Fortis –, soprattutto all’estero (il riferimento è chiaramente a Jens Weidann, governatore della Bundesbank tedesca – un falco dell’austerità di sentimenti manifestamente anti-italiani – che non perde occasione per sparlare dei problemi della nostra economia troppo poco “calvinista”), si spingono ad affermare che le sofferenze delle banche italiane minacciano la stabilità del sistema bancario nazionale se non addirittura di quello europeo, dovrebbero forse guardare con più attenzione alla “trave” che giganteggia negli occhi dei loro istituti bancari. Significativa al proposito è una analisi messa a punto da Ricerche e Studi effettuata da Mediobanca (Mbres), che ha passato in rassegna l’ammontare dei titoli cosiddetti “Level 3” presenti nella maggiori banche europee. Che sono i titoli di livello 3? Si tratta di derivati ed altre attività talmente “esotiche” o atipiche da poter essere scambiate solo su base bilaterale tra le parti e il cui valore viene stimato senza utilizzare parametri direttamente osservabili sul mercato. La loro valutazione è quindi totalmente demandata alla discrezionalità della banca senza alcuna certezza che il valore esibito si possa poi effettivamente realizzare. E’ chiaro che in presenza di mercati finanziari disordinati e molto speculativi questi titoli sono guardati con grande diffidenza diventando totalmente illiquidi, sicché il loro valore di realizzo è massimamente aleatorio e non verificabile (se non con un atto fideistico verso la valutazione della banca che li detiene)».

Orbene lo studio citato da Fortis ha rilevato che le diciannove principali banche europee non italiane avevano iscritti nei loro bilanci nel 2015 ben 234,2 miliardi di euro in titoli di livello 3, mentre le otto principali banche italiane solo 9,8 miliardi. Il che significa che nel 2015 su un campione di 27 banche europee, 19 non italiane ed 8 italiane, il totale di titoli di livello 3 iscritti in bilancio ammontava a 244 miliardi di euro ma, di questi, solo il 4% era in pancia a quelle italiane. Di questo 4%, poi, il 3% apparteneva ai nostri due principali istituti di credito ossia Intesa Sanpaolo e Unicredit che, peraltro, sono congruamente patrimonializzati. Le altre 6 principali banche italiane detenevano solo 2,3 miliardi in Level 3. Addirittura il Monte dei Paschi di Siena, al centro delle note vicende fallimentari degli ultimi mesi, possedeva “soltanto” 260 milioni di titoli di livello 3 contro un ammontare 144 volte più grande delle prime due banche tedesche.

L’ammontare in Level 3 posseduto dalle nostre banche rappresentava solo il 7,6% del loro patrimonio netto, contro un valore del 63,5% per Barclays, del 63,8% per Credit Suisse, del 54,8% per Deutsche Bank e del 27,9% per Bnp Paribas. La sola Barclays possiede attualmente 49,9 miliardi di euro in Level 3. Un quantitativo superiore di 5,1 volte quello complessivo detenuto dalle prime otto banche italiane insieme. La Deutsche Bank, tanto per rispondere a Jens Weidmann che straparla sempre inopportunamente dell’“azzardo morale dei politici” e del lassismo italiano e mai dell’“azzardo morale famelico dei banchieri” e del rigorismo solo di facciata dei tedeschi, da sola deteneva, a fine 2015, titoli di livello 3 per 31,5 miliardi di euro ossia ben 3,2 volte quello totale posseduto dalle nostre otto banche prese in considerazione dalla ricerca in questione.

Conclude giustamente Marco Fortis: «C’è dunque nei bilanci bancari in Europa un problema ben maggiore che non l’ammontare delle sofferenze dei nostri istituti di credito: sono i derivati e i titoli similari senza mercato. Un problema non certo italiano, su cui i riflettori della Vigilanza europea, degli analisti e dei media colpevolmente però non si sono ancora accesi come dovrebbero».

Ciò significa che una esplosione della bolla dei derivati di livello 3 produrrebbe, inevitabilmente, il default delle citate banche estere ed in quel caso non ci sarà “Bail in” che tenga! Molto probabilmente si dovrà ricorrere, come già nel 2008 negli Stati Uniti d’America dopo il crack di Leman Brothers, al “Bail out” con il risultato di socializzare le perdite finanziare degli speculatori.

Se dovesse profilarsi, come secondo alcuni è sempre più probabile, il crollo dell’intero sistema bancario tedesco, ed europeo, la Merkel e Schaüble dovranno dimostrare la serietà e la coerenza del loro moralismo – quello che ha bacchettato l’Italia per il caso Monte Paschi ammonendoci a non usare strumenti di salvataggio pubblico o aiuti di Stato – quando si tratterà di salvare le banche tedesche con interventi governativi.

Nessuno naturalmente può apprezzare, in nessun caso, il salvataggio pubblico di banche fallite, ossia la socializzazione delle perdite da speculazione, per l’azzardo morale dei loro amministratori, liberisti al tempo delle vacche grasse ed all’improvviso invocatori di aiuti di Stato al tempo delle vacche magre ma fino ad oggi lasciati liberi di azzardare dalla liberalizzazione finanziaria e dalla complice (non) vigilanza della Bce, e tuttavia, nel caso ciò dovesse diventare inevitabile onde salvare l’intera economia europea, quel che popoli e governi dovrebbero imporre, quale contropartita del salvataggio pubblico, dovrebbe essere la più dura persecuzione penale, accompagnata dalla sanzione dell’estromissione a vita dalla professione di banchiere e finanziere in qualsiasi forma, degli amministratori speculatori e l’imposizione di una nuova e severissima normativa di “repressione finanziaria” a tutela dell’economia reale.

Purtroppo, visto il triste ed epocale livello di vacuità dei nostri ceti politici, ma anche la nulla consapevolezza popolare di questi problemi, e vista l’attuale forza egemonica della finanza transnazionale, nessuna persecuzione, nessuna sanzione e nessuna repressione finanziaria sarà, probabilmente, imposta e tutto si risolverà nel mettere a carico dei bilanci pubblici le perdite speculative degli usurai europei globalizzati.
La Germania, del resto, come è noto senza che nessuno faccia niente, gode di vari trattamenti di favore dall’Unione Europa. Il Financial Times, di recente, ha fatto luce sui favoritismi della Bce di Mario Draghi verso Deutsche Bank. E’ facile supporre che nel Board della Bce si deve essere giunti ad una sorta di compromesso tra Mario Draghi e Jens Weidmann, sicché in cambio di una minor opposizione del secondo alla politica monetaria espansiva, attualmente perseguita dall’Istituto di Francoforte, il primo chiude, se necessario, entrambi gli occhi sulla gestione fraudolenta di Deutsche Bank ed, all’occorrenza, farà di tutto per contribuire al suo salvataggio.
Noi italiani non dovremmo dimenticare che la crisi dello spread del 2011, che per mesi fece barcollare il nostro Paese sull’orlo dell’abisso finanziario, fu innescata proprio da Deutsche Bank che, tra il gennaio ed il giugno di quell’anno, si liberò, segretamente, del massiccio quantitativo di titoli di Stato italiani detenuti, mentre ufficialmente dichiarava che il nostro debito pubblico era sicuro e sostenibile. Quando, però, i “mercati” si accorsero del doppio gioco della banca tedesca, colti dal panico, iniziarono a pretendere interessi salatissimi per acquistare i nostri titoli di Stato facendo impennare lo spread ed il nostro debito pubblico per la spesa per gli interessi.
Ci informa il sito di Maurizio Blondet che secondo il Financial Time: «A Deutsche Bank è stato accordato un trattamento speciale negli stress test dell’estate»” (1). Al fine di ripristinare la fiducia nelle banche europee, la Bce ha messo di recente in atto un programma di “Stress test”. Il programma prevedeva di sottoporre le banche europee ad una valutazione della loro situazione patrimoniale e finanziaria, usando lo stesso metodo.
Tuttavia, secondo la denuncia del Financial Time: «La banca numero uno della Germania – che ha visto il proprio titolo crollare fino a -22% nelle ultime settimane sulla scia dei timori legati alla multa da $14 miliardi comminata dagli Usa –  ha presentato i risultati degli stress test di luglio come prova della solidità delle sue finanze. Ma il suo risultato è stato sostenuto da una “concessione speciale” … accordata dal suo supervisore, la Banca centrale europea. (…). I risultati di Deutsche Bank includono ricavi, per un valore di $4 miliardi, relativi alla vendita della partecipazione nella banca cinese Hua Xia, sebbene l’accordo non fosse stato completato entro la fine del 2015. Il trattamento legato a Hua Xia è stato comunicato attraverso una nota a fondo pagina, nei risultati degli stress test su Deutsche Bank. Nessuna delle altre 50 banche sottoposte a stress test hanno però presentato note simili, nonostante molte di esse avessero raggiunto accordi su transazioni poi non completate alla fine del 2015. In un caso, la banca spagnola Caixabank aveva completato la vendita del suoi asset stranieri per un valore di 2,65 miliardi di euro, alla sua società madre Criteria Holding a marzo (del 2015). Nonostante ciò, a questo istituto non venne consentito di includere l’impatto di quella vendita nei suoi risultati. (…). “Il trattamento riservato a Deutsche Bank – ha affermato, intervistato dal Financial Times, Chris Wheeler, analista presso Atlantic Equities – lascia perplessi. Le circostanze indicano che è inevitabile che gli osservatori di mercato saranno sospettosi e avranno qualche preoccupazione sulla veridicità (e affidabilità) di questi risultati”. Dopo che Deutsche Bank è stata sottoposta agli stress test, è emerso che il (suo) capitale era sceso (notevolmente) (…). Senza il contributo di Hua Xia, (la discesa sarebbe stata peggiore) (…). Tuttavia, il risultato migliore ha indubbiamente rassicurato gli investitori sempre più timorosi per l’adeguatezza dei livelli di capitale della banca».
Questo trattamento speciale per le banche tedesche rende chiaramente palese che l’Unione Europea è un regime orwelliano. Come nel racconto di Orwell, “La fattoria degli animali”, tutti sono eguali ma alcuni sono più eguali degli altri.
Sappiano, pertanto, gli italiani e gli altri europei – in particolare i francesi illusi di essere al sicuro all’ombra del Padrone – chi comanda in Europa.
Luigi Copertino

NOTE

Cfr. “La BCE ha barato per favorire Deutsche Bank” in www.maurizioblondet.it 10 ottobre 2016. Si veda anche Laura Naka Antonelli su Wall Street Italia “Scandalo Bce di Draghi: trattamento speciale a Deutsche Bank in stress test”.

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