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LA NUOVA GEOPOLITICA: IL CONTROLLO DELLA MENTE! Di Fabrizio Fratus

Sino a qualche anno fa di geopolitica non si sentiva parlare, oggi è divenuta una materia assolutamente importante presentata in diversi programmi televisivi con esperti e opinionisti. Ma cosa è la geopolitica e di cosa si occupa? Lo scopo della geopolitica è l’analisi che studia l’influenza dei fattori geografici, economici, demografici e culturali sulle politiche e le relazioni internazionali degli Stati, lo specifico settore è l’identificazione della posizione geografica, le diverse risorse naturali a disposizione, i confini naturali, il clima e tutti gli elementi fisici che influenzano le strategie politiche e militari dei paesi, oltre a tutte le diverse dinamiche di potere a livello globale. La materia va affrontata con discipline differenti che partono dalla storia passando per geografia, antropologia ed economia. Se è vero che è una materia importantissima per comprendere dinamiche di strategie e guerre delle diverse nazioni va anche detto come oggi si affaccia nel mondo una nuova geopolitica ed è quella relativa al controllo non solo di territori e risorse ma sopra tutto della mente. Controllando la mente si gestiscono i popoli e le scelte in relazione al futuro del mondo.

ANALFABETISMO FUNZIONALE

Tutti parlano di intelligenza artificiale, sia alla stregua di un meraviglioso progresso che può portare ancora ulteriore (?)I benessere nelle nostre vite sia come forma di un futuro nel quale l’uomo non servirà più. Non vogliamo andare contro la IA (AI) ma il nostro intento è quello di rappresentare quanto sta avvenendo nella nostra società dove le nuove tecnologie si stanno diffondendo, uno spettro decisamente pericoloso e sottovalutato si è diffuso e si sta sempre più imponendo nel nostro paese comprendendo laureati e non laureati: l’analfabetismo funzionale.

Cosa è “l’analfabetismo funzionaleII”?

Il termine viene definito dall’Unesco nel 1984III;

La condizione di una persona incapace di comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere da testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità.

In sostanza l’analfabeta funzionale ha difficoltà importanti nel comprendere testi indirizzati a persone comuni, eseguire semplici calcoli matematici, non ha conoscenza dei fenomeni storici e il suo pensiero non riesce ad essere critico. Il tutto anche se la persona abbia ricevuto   una   educazione   scolastica,   addirittura   la   laurea. Inoltre, l’analfabeta funzionale non sa di esserlo.

Quanti analfabeti funzionali ci sono in Italia?

La fonte più attendibile che ha misurato nel 2019 l’analfabetismo funzionale in Italia è l’indagine Ocse-Piaac: ebbene, i dati raccolti rivelano che il 27,7% della popolazione italiana è analfabeta funzionale. Una percentuale altissima, la più alta di tutta Europa. Gli unici due stati che hanno raggiunto una posizione peggiore sono la Turchia (45,8%) e il Cile (53,1%).

Di particolare interesse risulta il fatto che il 5,5% della popolazione italiana comprende solo informazioni elementari in testi molto corti, mentre il 22,2% comprende testi digitali e cartacei solo se sono  abbastanza  brevi.

Cosa significa tutto questo?

Significa che nel nostro Bel Paese circa 16 milioni di persone tra i 16 e i 65 anni non sono in grado di comprendere un testo semplice. Il fenomeno colpisce trasversalmente diverse fasce demografiche, ma i dati ci aiutano a capire di più: quasi 3 milioni sono giovani. Solo il 10% di questi 16 milioni è disoccupato. Nella stragrande maggioranza dei casi, svolgono lavori manuali e routinari. Inoltre, una persona su 5 ha come strumento di informazione unicamente la televisione: non legge ne libri ne giornali, non va a teatro, non va al cinema, non ascolta musica. Non ha particolari hobbies, la sua vita sociale non prevede stimoli cognitivi di nessun genere. Però partecipa alla vita sociale tramite Social Network, analizzando le situazioni unicamente prendendo in considerazione unicamente la propria vita e le proprie conoscenze, il proprio microcosmo, quale unica realtà possibile.

La comprensione del proprio io e della propria condizione è fattore primario per capire quanto sto per scrivere, il problema in Italia è altissimo e infatti il nostro paese è il primo in Europa e nei paesi occidentali per analfabetismo funzionale, sono oltre il 70 % le persone non in grado di comprendere quanto dicono e ripetono come “pappagalli”. Spesso leggono, ascoltano, guardano ma non capiscono, non sono in grado di comprendere il senso di quanto viene comunicato. Non sono capaci di distinguere tra significato e senso, questo produce in loro una mancanza di comprensione dell’argomento trattato, alcuni hanno una buona memoria e questo li aiuta ma quanto emerge dalle diverse ricerche è desolante, un paese con grandissime difficoltà. Ogni giorno 3 persone su 4 parlano di politica, lavoro, sport, religione e di qualsiasi altro argomento senza difficoltà apparente, ma in realtà ripetono quanto il loro cervello ha immagazzinato senza averne elaborato i concetti, in uno scambio di battute con un’altra persona, infatti, non saranno in grado di ripetere quanto gli è stato appena commentato, non sono in grado di ricostruire il ragionamento appena presentato. Sono incapaci e non ne sono coscienti, la complessità della realtà oggettiva sfugge loro, riescono a percepire solamente alcuni semplici passaggi che vengono elaborati in  modo  soggettivo  senza  una  reale  capacità  logica,  razionale  e  riflessiva. I livelli di analfabetismo funzionali sono diversi, variano dalla condizione di partenza e dal tipo di vita condotta a livello culturale. Meno formazione scolastica equivale a una maggiore possibilità di mancanza di comprensione del senso delle questioni affrontate, i fattori determinanti alla non comprensione di senso sono variabili e incidono in modo differente, da civiltà della ragione siamo oggi divenuti una società delle emozioni come ha spiegato benissimo il filosofo Zygmunt Bauman nei suoi libri. Quanto sta succedendo è dettato molto dall’evoluzione della teconologia che semplificando moltissimo diverse azioni che necessitano di ragionamenti contribuiscono a diminuire le capacità logiche.

Va precisato che l’analfabetismo funzionale non è una condizione dettata unicamente dalla scarsa istruzione. Certamente è intuibile che più è carente la formazione scolastica, più la possibilità di avere poca comprensione del testo aumenta. Ma ci sono diversi fattori che agiscono sul nostro cervello impedendogli di creare sinapsi e pertanto, con il tempo… Non si comprendono più i testi e la capacità di analisi risulta deficitaria.

Un esempio su tutti: la tecnologia. Prima di parlare di utilizzo consapevole, proviamo a capire come agiscono le immagini sul nostro cervello. Prendiamo la televisione, nata ben 98 anni fa. Di fronte alla televisione, 100 persone la accendono per guardare I Promessi Sposi del Manzoni. Nella sala a fianco, 100 persone leggono il libro. Quale sarà la differenza? Certamente la visione del film porta via meno tempo, ma è quello che accade nel nostro cervello che diverge completamente nelle due situazioni. Chi ha guardato il film, lo racconterà allo stesso modo: colori, figure, percezioni. Chi ha letto il libro, presenterà racconti cosi diversi da credere che abbiano davvero letto libri differenti. Questo avviene perché davanti alla televisione il nostro cervello non lavora. Guardiamo, ascoltiamo, ma non creiamo sinapsi; di fronte alla televisione si è passivi. Mentre leggere un libro significa essere attivi: il nostro cervello si accende e produce immagini, personaggi diversi che si configurano   nella   nostra   mente   in   base   alle   nostre   esperienze. La televisione è un passatempo, certamente. Ora poniamoci delle domande: quanto tempo vi passiamo davanti, quante ore al giorno? Quante informazioni reperiamo all’esterno (da libri, giornali) e quante passivamente dalla televisione? Che dibattiti ascoltiamo in televisione, quanti ragionamenti complessi possiamo ascoltare oppure siamo costretti (e quindi ci abituiamo) a seguire ragionamenti semplici? Il nostro cervello si spegne, e si abitua a spegnersi. Questo è un meccanismo per cui la nostra capacità di intuizione, analisi, collegamento tra argomenti e testi diversi va a scemare nel tempo. E questo produce analfabetismo funzionale.

Ora passiamo ad un altro esempio: il navigatore. Chi legge queste righe oggi può aver vissuto già tutta la vita con uno smartphone in mano oppure no, ma sa benissimo che negli ultimi anni il navigatore è un “must have”. Come facevamo senza? Sembra essere una domanda retorica, e invece era assolutamente normale guardare una cartina e successivamente guidare la propria autovettura ovunque, anche all’estero. Questo significava e significa sviluppare l’orientamento, e anche il ragionamento: capire le circonvallazioni, le intersezioni, ricordare dove svoltare, conoscere tante destinazioni a memoria, sapersi organizzare. Oggi invece raggiungiamo ogni luogo con un click, quello della nostra applicazione. Seguiamo la voce e l’immagine sul nostro telefono, obbedienti, senza pensare, senza ragionare, senza capire dove stiamo andando. Se si dovesse spegnere il nostro apparecchio tecnologico, saremmo persi. Capita anche spesso che nonostante un cartello di divieto ben visibile, se il navigatore indica di proseguire su quella strada l’utente lo fa lo stesso. “Lo dice il navigatore”. Con questo esempio capiamo bene che il nostro cervello, di fronte a una tecnologia che dovrebbe aiutarci rendendo tutto più semplice, si spegne. E in questo caso la conseguenza è che ci sono persone che hanno visitato tante città di cui non ricordano la posizione geografica, nemmeno lo Stato di appartenenza.

Possiamo ben comprendere quanto la situazione sia peggiorata con la diffusione dello Smartphone, dai primi anni Duemila. E’ quindi da circa 20 anni che ci portiamo in tasca un apparecchio tecnologico che riduce progressivamente la nostra capacità intellettiva. Perchè? Perchè è immagine. E’come se fosse una piccola televisione che ci illude di farsi guidare, mentre ci guida. Che ci illude di fornirci le informazioni necessarie aprendoci la galassia della rete, ma che nel frattempo agisce come droga nel nostro cervello rendendoci schiavi di quelle immagini, facendoci credere che siamo curiosi, mentre siamo solamente assuefatti da una realtà nuova che ci rilassa perché ci spegne. Il cervello si plasma su immagini che scorrono veloci, predefinite, che si autoalimentano perchè i nuovi applicativi con i loro algoritmi ci propongono i contenuti che ci piacciono e che ci trattengono ancora

sull’applicazione. E ne abbiamo bisogno ancora, ancora e ancora e sempre più velocemente tanto che Google stima la durata della nostra concentrazione in 8 secondi. 8 secondi per vedere una immagine, per leggere. Solo 8 secondi per leggere un testo; oltre si cambia contenuto. Pensiamo a questo comportamento protratto ogni giorno per anni, unito all’utilizzo della televisione, del navigatore e di qualsiasi altro dispositivo: succede che le nostre capacità di comprensione del mondo esterno diminuiscono. Che diventiamo lenti e passivi, che ci abituiamo a ripetere quanto sentiamo da altri senza rielaborarlo, quindi senza capacità di argomentazione. Diventiamo più incapaci di fare collegamenti, e dipendenti dalla tecnologia. Il pensiero più semplice e lineare diventa nostro amico, pertanto preferiremo le banalità (perché le comprendiamo) alla sostanza profonda. Ecco perché determinate realtà che fino a pochi anni fa erano ritenute oggettive, oggi non lo sono più: il loro limite si scontra con una visione soggettiva di un istante e non con la complessità della società e del tempo.

Teniamo inoltre in considerazione la neuroplasticità del nostro cervello. E’ stato dimostrato che è in grado di ristrutturarsi continuamente in risposta a nuove esperienze, apprendimento e cambiamenti ambientali. Alcuni aspetti chiave della neuroplasticità includono:

  1. Sinapsi neuronali: Le sinapsi sono le connessioni tra i neuroni. La neuroplasticità può coinvolgere la modifica della forza e della struttura di queste sinapsi, influenzando la trasmissione delle informazioni tra i neuroni.
  2. Rimodellamento strutturale: La neuroplasticità può portare a cambiamenti nella struttura fisica del cervello. Ciò include la formazione di nuove sinapsi, la crescita di dendriti (le estensioni dei neuroni) e la creazione di nuovi neuroni attraverso un processo chiamato neurogenesi.
  3. Adattamento alle lesioni: In caso di lesioni cerebrali, la neuroplasticità può consentire al cervello di riorganizzare le funzioni. Le aree circostanti la lesione possono assumere nuove responsabilità per compensare la perdita di funzione.
  4. Apprendimento e memoria: L’abilità di apprendere e memorizzare informazioni è profondamente legata alla neuroplasticità. L’esperienza e la pratica possono portare a cambiamenti a lungo termine nelle reti neurali coinvolte nelle funzioni cognitive.
  5. Cambiamenti a breve e lungo termine: La neuroplasticità può manifestarsi in cambiamenti temporanei a breve termine o in modifiche a lungo termine nella connettività neurale, a seconda dell’intensità e della durata dell’esperienza.

La comprensione della neuroplasticità ha implicazioni significative per il campo della riabilitazione dopo lesioni cerebrali, per l’educazione e per la comprensione di come l’esperienza quotidiana influenzi il funzionamento cerebrale. La pratica continua, l’apprendimento attivo e la stimolazione cognitiva possono favorire la neuroplasticità, contribuendo al mantenimento e al miglioramento delle funzioni cognitive nel corso della vita. Al contrario, può subentrare l’analfabetismo funzionale.

COSA E’ L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Arrivati a questo punto si potrebbe pensare che la tesi proposta sia che l’intelligenza artificiale possa moltiplicare l’analfabetismo funzionale. E’ indubbio che lo farà, ma avrà ulteriormente degli effetti terribili su chi già non è capace di comprendere, oltre che dei risvolti sociali piuttosto temibili.

Iniziamo con la sua definizione: l’intelligenza artificiale (IA) è l’abilità di una macchina di mostrare capacità umane quali il ragionamento, l’apprendimento, la pianificazione e la creatività. E’ un campo dell’informatica volto a creare dei sistemi capaci di azioni che richiedono intelligenza umana, compresa la capacità di pensiero e di ragionamento. Di fatto con l’intelligenza artificiale possiamo arrivare a delegare a una macchina il nostro pensiero, il nostro essere.

Esempi di Intelligenza Artificiale semplice che incontriamo nella vita di tutti i giorni sono quella presente nel commercio al dettaglio per ottimizzare logistica e inventari ma anche quella che ci fornisce suggerimenti in base agli acquisti precedenti o agli elementi che visualizziamo maggiormente; quella presente nei nostri smartphone come assistente digitale, che risponde alle domande e fornisce suggerimenti, o che ci organizza l’agenda; quella che ci permette di tradurre istantaneamente un testo in una lingua differente, fino ad arrivare a sensori installati su ad esempio veicoli volti a proteggere la nostra sicurezza.

Questi tipi di intelligenza sono a nostra disposizione da anni; sono state introdotte a partire dallo smartphone e i loro effetti grazie alla neoplasticità del nostro cervello li abbiamo già illustrati.

Ma siamo solo all’inizio, in quanto uno dei principali obiettivi dichiarati dalle potenze mondiali quali Stati Uniti e Cina sono proprio investimenti a favore di Big Data e trasformazione digitale.

L’auspicio pubblico di queste potenze è quella di trasformare tutti gli aspetti della vita quotidiana e dell’economia delle persone, attraverso l’utilizzo dell’intelligenza artificiale ad esempio per creare nuovi modelli diagnostici e di prevenzione in tema salute, come anche robotica che possa intervenire chirurgicamente al posto del medico, oppure applicativi che tramite la chiamata di emergenza riescano a capire tanto quanto un essere umano di che problematica si tratti.

Altri esempi sono la guida autonoma nella rete ferroviaria, le riparazioni e manutenzioni operaie come agricole, la pianificazione strategica in ogni ambito aziendale, la capacità di analizzare le emozioni umane per intervenire nel merchandising come nella customer satisfaction.

I RISCHI E I RISVOLTI

Il 61% degli europei guarda positivamente all’IA e ai robot, ma l’88% pensa che ci voglia una gestione attenta. Ed è facilmente intuibile il perché: la sostituzione dell’uomo in quanto lavoratore spaventa tanto quanto l’idea che una macchina si possa effettivamente sostituire all’uomo.

Secondo uno studio italiano, quattro milioni di lavoratori italiani rischiano il loro posto di lavoro nei prossimi anni, con l’auspicio che possano riconvertirsi nel mondo dei servizi. Sempre se abbiano la capacità di formarsi nuovamente.

Secondo uno studio del parlamento europeo, invece, il 14% dei posti di lavoro nei paesi dell’OCSE sono automatizzabili. Un altro 32% dovrebbe affrontare cambiamenti sostanziali.

L’obiettivo delle aziende è quello di incrementare il proprio profitto: è in base a questo valore che decidono se uniformarsi ai cambiamenti in atto, e anzi diventano artefici dei cambiamenti.

Secondo lo studio di Capgemini intitolato “Turning AI into concrete value: the successful implementers’ toolkit” i tre quarti delle società intervistate hanno registrato un aumento delle vendite del 10% proprio in seguito all’implementazione dell’Intelligenza Artificiale degli ultim anni. Un dato significativo da tenere in debita considerazione. Come è da tenere in considerazione che il trend potrebbe cambiare drasticamente con i futuri processi di automazione.

Solo oggi in Italia nell’ultimo decennio i poveri sono più che duplicati: siamo passati da 1,8 milioni a più di 4, con una previsione futura ancora più negativa. Se vi aggiungiamo l’ulteriore rischio di perdita di posti di lavoro, possiamo ben comprendere quanto le imprese debbano invece spaventarsi: lo spettro più temibile che sta diventando realtà si chiama crollo dei consumi. Che fa crollare la domanda. Che fa crollare ogni tipo di vendita. Che fa chiudere aziende.   Che   non   fa   circolare   danaro.   Che   blocca   l’economia. Una possibile soluzione è spiegata in un articolo pubblicato sul sito Il Talebanoiv: rivoluzionare il mondo del lavoro tramite un nuovo patto generazionale tra Stato, aziende e comunità, la diminuzione di ore di lavoro a parità di stipendio con aumento delle persone impiegate e l’utilizzo del telelavoro per dimezzare i costi delle aziende e dello spreco del tempo per gli spostamenti delle persone”.

Inoltre, i rischi riguardanti l’intelligenza artificiale sono connessi alle nuove forme etiche di discriminazione e disumanizzazione delle relazioni. Ad esempio, se i modelli di IA incorporano bias dai dati di addestramento, possono perpetuare o addirittura amplificare le disuguaglianze esistenti.

Un ulteriore rischio riguarda la sicurezza sui luoghi di lavoro, vista la complessità della gestione  di  robot  autonomi  o  la  collaborazione  uomo-macchina. Possiamo anche discutere dell’opacità degli algoritmi che possono creare confusione in termini di controllo e responsabilità. La mancanza di comprensione su come i sistemi prendono decisioni può aumentare l’insicurezza e la diffidenza tra i lavoratori.

Per non parlare della vulnerabilità a minacce di sicurezza informatica. Un utilizzo improprio o un accesso non autorizzato ai sistemi di intelligenza artificiale possono comportare rischi significativi per le organizzazioni e i lavoratori.

Come afferma Silvia Ciucciovino, prorettore Università degli Studi Roma Tre, docente ordinaria di Diritto del Lavoro: “Non v’è dubbio che l’adozione dell’Ia rientra nelle scelte imprenditoriali di conduzione dell’impresa e quindi impatta sull’esercizio delle libertà economiche e sul ruolo gerarchico dell’imprenditore (art. 41 cost.; art. 2086 c.c.). È suscettibile di accrescere l’intensità dei tipici poteri datoriali e del committente (art. 2094, art. 2104, 2106, 2103; art. 2222; art. 403 c.p.c.) e, più in generale, le prerogative manageriali e organizzative e, con esse, anche l’asimmetria informativa che connota da sempre il rapporto tra lavoratore e datore di lavoro. Si tratta di libertà, poteri, prerogative che non possono essere annullati o compressi oltremisura, ma che devono piuttosto trovare un giusto bilanciamento con la protezione dei diritti delle persone che lavorano.

Pertanto una delle sfide da percorrere è quella di cercare di porre un limite all’espansione dei poteri datoriali connessi all’IA.

Molto, in realtà, si può fare lavorando sui principi e le regole già esistenti, procedendo con un’interpretazione evolutiva e con i necessari adattamenti ai nuovi scenari. Basti pensare al principio di non discriminazione e non arbitrarietà nell’esercizio dei poteri, ai principi di buona fede e correttezza contrattuale, alle norme poste a presidio della persona, della dignità, della personalità morale, della salute e sicurezza, della riservatezza e protezione dei dati personali. Si tratta di norme che innervano il nostro diritto del lavoro e che hanno una portata certamente idonea a essere declinata per fronteggiare i rischi insiti nell’adozione delle nuove tecnologie, arginare abusi e prevaricazioni.

Oltre a questi risvolti, è evidente che le nostre scelte ogni giorno sono manovrate da un algoritmo che ci mostra video promozionali o testi informativi in base a… quanto il programmatore abbia deciso.

L’uso di algoritmi di IA nei social media e nelle piattaforme online può essere sfruttato per la manipolazione dell’opinione pubblica attraverso la diffusione mirata di informazioni o disinformazione. L’uso pervasivo dell’IA può portare a una dipendenza eccessiva dalla tecnologia, con conseguenze negative in caso di guasti o malfunzionamenti. La dipendenza da sistemi automatizzati può ridurre la capacità delle persone di svolgere compiti manuali o prendere  decisioni indipendenti. Ormai le nostre libere scelte non esistono più; se aggiungiamo il problema dell’analfabetismo funzionale, è facilmente comprensibile quanto milioni di persone siano completamente manovrabili in ogni aspetto della loro vita. E già oggi questo fenomeno è palese, ma viene per lo più deriso invece che preso in considerazione per analizzare la deriva che stiamo affrontando. Un esempio? Apriamo Instagram e cerchiamo il profilo di Aiatana Lopez: si susseguono una marea di commenti di persone che chiedono alla ragazza di uscire a cena, piuttosto che si complimentarsi con lei per le sue pose. Se fino a poco tempo fa sembrava assurdo rivolgersi cosi a una fotografia, oggi lo è ancora di più: la modella in questione è il prodotto dell’intelligenza artificiale. Lei non esiste, è una finzione. I suoi produttori lo hanno dichiarato in più occasioni, ma l’immagine e più forte di qualsivoglia articolo ed ecco che le persone che si pongono meno dubbi e domande sono state manipolate.

Ma  a  cosa  serve  limitare  i  processi  di  pensiero  nelle  persone? “Cancellando la capacità di elaborazione, di memoria e l’analisi complessa di quanto succede attorno a noi è facile potere incidere maggiormente su quelle persone. Spiego meglio: siamo una società specificatamente individualista e materialista, creando soggetti sempre meno in grado di pensare e capire diviene più facile soggiogarli al pensiero dominante. In un sistema dove le persone sono incapaci di elaborazione complessa l’utilizzo della Intelligenza Artificiale diverrà di uso comune, ma come possiamo ben comprendere la IA è elaborata da persone che gestiranno bene le informazioni da divulgare. Si affaccia così all’orizzonte del nostro futuro un mondo in cui le persone saranno realmente incapaci di valutare la realtà, inconsapevolmente strumenti al servizio di coloro che detengono la tecnica. I cervelli delle persone saranno rimodellati in relazione a quanto la IA determinerà.v

SBAGLI, REGOLE ED EUROPA

Lo sbaglio umano nella programmazione potrebbe avere risvolti pericolosi. Se pensiamo all’intelligenza artificiale in un contesto di guerra, possiamo comprendere quanto un errore di programmazione potrebbe scatenare finanche la distruzione del pianeta.

L’uso dell’intelligenza artificiale solleva questione etiche riguardo alla responsabilità delle decisioni prese dagli algoritmi. Chi è responsabile quando un algoritmo prende una decisione errata o ingiusta? La trasparenza e l’accountability nell’uso dell’IA sono questioni cruciali.

Gli Stati allora stanno cercando di regolamentare l’intelligenza artificiale per evitare i potenziali rischi ed utilizzarla in modo sicuro e benefico, tanto che l’Unione Europea si è prodigata nel redigerne un regolamento seguendo un approccio basato sul rischio, scrivendo a chiare lettere che i sistemi di intelligenza artificiale considerati una chiara minaccia per i diritti fondamentali delle persone saranno vietati, come ad esempio sistemi che manipolano il comportamento umano per eludere i controlli degli utenti oppure sistemi che rilevano le emozioni umane all’interno degli ambienti lavorativi. Diventa però difficile eludere un sistema nel quale basta dichiarare un errore di programmazione per incappare in una violazione.

Sempre Silvia Ciucciovino ci dice: “Dalla proposta di regolamento europeo sulla Ia di prossima emanazione emergono principi normativi certamente importanti come, ad esempio, quello dell’antropocentrismo della IA (l’uomo deve rimanere sempre al centro dell’utilizzo della tecnologia), il principio di trasparenza e spiegabilità dell’algoritmo, il principio della sorveglianza e revisione umana della decisione algoritmica, il principio di responsabilità e affidabilità di chi produce e utilizza l’IA, il principio di non discriminazione algoritmica e storica, il diritto del lavoratore di esprimere la propria opinione e di contestare la decisione algoritmica. Parte di questi principi, in realtà, sono già inclusi in diverse disposizioni operative a livello nazionale contenute nel Gdpr e nel nuovo art. 1 bis del Dlgs.1 152/1997 introdotto dal decreto Trasparenza (Dlgs. 104/2022).”

E arriviamo a un altro problema: l’Europa – che dovrebbe avere un importante peso economico e politico mondiale – non è mai riuscita a creare nessun cloud, nessun applicativo di intelligenza artificiale, nessun sistema operativo. Si limita a regolamentare un fenomeno senza  esserne parte attiva.

Gli Stati Uniti detengono il monopolio dei Big Data e di quasi tutti gli applicativi social: pensiamo solamente a Google, a Facebook, a Instagram. Aggiungiamo i nomi di peso quali Bill Gates e Elon Musk. Due nomi, che insieme possono gestire tutte le nostre informazioni. In questo quadro si fa strada anche la Cina, partita da Tik Tok prosegue con i suoi obiettivi per il 2025 e il 2035, entro cui, rispettivamente, la Cina dovrà ottenere «progressi significativi» nel digitale e «raggiungere livelli leader su scala mondiale», passi ritenuti essenziali per realizzare l’auspicato «grande ringiovanimento della nazione cinese».

Il controllo del mondo potrebbe non essere più soltanto tramite guerre basate su analisi di tipo geopolitico tradizionale, se consideriamo quanto appena presentato possiamo capire come coloro che detengono gli strumenti di comunicazione determineranno le scelte delle masse nel mondo. Essendo sempre più ridotte le capacità di analisi, comprensione e di ragionamento le persone si affideranno alla IA ciecamente e coloro che gestiranno impostazioni, algoritmi e social potranno governare il mondo senza guerre ma dettando scelte delle masse nei diversi territori.

I Il benessere presentato dal sistema liberal è di tipo materiale mentre quello spirituale è decisamente in declino e il benessere mentale è in grande difficoltà con il sorgere di molteplici fobie.

II Tullio De Mauro: “…più del 50 per cento degli italiani si informa (o non si informa), vota (o non vota), lavora (o non lavora), seguendo soltanto una capacità di analisi elementare”.

III L’analfabetismo funzionale, secondo la definizione che ne ha dato l’UNESCO nel 1984, è una condizione in cui un individuo ha la capacità di leggere, scrivere e esprimersi in modo basilare, e incontra notevoli difficoltà nel comprendere e analizzare discorsi complessi o testi pensati per una persona comune

IV  https://iltalebano.com/2012/12/30/un-nuovo-patto-sociale-per-il-futuro/

V Fabrizizio Fratus in un convegno tenutosi a Milano

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