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ATTILIO MORDINI, IL CATTOLICO GHIBELLINO. Di Luigi Copertino

Un ottimo articolo su uno dei più grandi studiosi italiani, nel novecento, delle radici sapienziali e metafisiche del Cristianesimo apostolico, ossia, nel suo caso, cattolico ma anche, a latere, ortodosso. Ad Attilio Mordini lo scrivente deve molto nella propria formazione spirituale e culturale. Senza la prospettiva da lui indicata un cattolico, oggi, non potrebbe superare – sia detto con tutto il rispetto, naturalmente – la mera dimensione devozionale e quindi approdare a quei livelli mistici e realizzativi che aprono ad una conoscenza pura, quella del Cuore (la lettera maiuscola, per chi sa intendere, è indicativa di qualcosa del tutto estraneo al mero sentimentalismo), che ricollega l’uomo alla Tradizione Primordiale Originaria. La Quale, nonostante le tante incomprensioni di certi ambienti “esoterici”, è, e resta, esclusivamente e squisitamente quella del Verbo, del Logos, nascosto nel “Mito primordiale” che proprio Mordini ha indagato in quanto “Annuncio” ossia “Storia Sacra” (quindi con significato assolutamente lontano dall’errato senso semantico di “favola” oggi attribuito al termine “mito”). In altri termini in Mordini, nella prospettiva tradizionale da lui additata, il mito, pur archetipale, è anche storia, è Eternità che entra nella storia umana, che si fa Storia della Salvezza. Per questo Mordini, come messo in rilievo nell’articolo di cui al link, ha svolto nel dopoguerra un ruolo fondamentale e provvidenziale per rendere possibile il passaggio di molti giovani evoliani dall’ambiguo e contraddittorio tradizionalismo, non esente da influenze latitudinariste, “paganeggiante” di Evola alla Tradizione del Verbo, ossia al Cristianesimo colto nella sua essenza sapienziale e metafisica. Un ruolo che può individuarsi anche nel rapporto tra Mordini e Guenon. Anche in tal caso merito di Mordini è stato quello di aver ben inquadrato il concetto di Perennialita’ e di Primordialita’ onde evitare una astratezza astorica che, credendo di attingere all’Assoluto o all’Eterno, finisce, invece, per sfociare in una autocostruzione del Divino, anziché nel grato riconoscimento del Suo carattere donativo e kenotico. Un itinerario simile a quello di Mordini, benché non eguale, per riportare a concretezza la Sapienza Perenne, senza privarla del Fondamento Metafisico, fu, sempre nel dopoguerra, quello di un altro cattolico “mistico” ossia Silvano Panunzio, figlio del celebre Sergio Panunzio giurista teorico del sindacalismo nazionale. Senza dubbio sia Mordini che Panunzio hanno avuto anche i loro limiti e i loro incidenti itineranti. D’altro canto chi mai non ne ha o non ne ha avuti? Ad esempio – ma questo è comune anche a Evola e a tutto il filone “tradizionalista” – l’interpretazione dei fascismi come “reazioni nazionali”. Storiograficamente nulla di più errato. La lettura da “destra” dei fascismi, come proposta da Evola, Mordini e Panunzio (in quest’ultimo tuttavia, certamente per eredità paterna, non esente dalla ricomprensione dell’elemento sindacalista che è chiaramente di “sinistra”), è infatti del tutto infondata e inaccettabile. Anche, del resto, una certa visione “romantica” e “armonica” delle civiltà tradizionali, quasi fossero state società perfette o “paradisi in terra” e non invece società socialmente gerarchiche che conoscevano il duro dominio dei ceti superiori su quelli subalterni, è un limite di tutto il cosiddetto “tradizionalismo”, sia cristiano sia pagano, che da un lato impedisce ad esso un più sereno confronto con la modernità, nel tentativo di dare sul piano politico una risposta non meramente nostalgica ed impolitica ma casomai “rivoluzionario-conservatrice”, e dall’altro lato gli preclude di prendere in considerazione gli elementi positivi della modernità. Ad esempio una maggiore valorizzazione della soggettività della persona inserita nella comunità organica che non diventi però soggettivismo ovvero individualismo anticomunitario. Elementi positivi della modernità che da un punto di vista tradizionale, soprattutto se cristiano, dovrebbero essere rivendicati come propri, mettendone al contempo in rilievo la distorsione strumentale con cui il modernismo illuminista ha preteso di appropriarsene con l’obiettivo, che oggi nella società liquida postmoderna possiamo constatare quotidianamente, di dissolvere la persona stessa, l’essere umano, nel nulla transumanistico trionfante nell’Occidente antitradizionale. È chiaro che ogni visione o lettura “teologica” della storia, pur nel meritorio intento di evidenziare senso e significato trascendenti della vicenda temporale umana, non può essere disgiunta dalla realistica concretezza della storia medesima che, proprio alla Luce della Rivelazione di un originario allontanamento del cuore dell’uomo dall’Amore, ci dice delle miserie degli uomini a qualunque ceto, epoca o società essi appartengono, con i conseguenti conflitti sociali e le conseguenti bramosie di egemonia, di sopraffazione e di potere. Resta, certamente, l’imperativo di tendere verso l’Alto ma questo non è possibile soltanto per mezzo della politica o della legge, che restano segnate dalla ferita della natura umana, bensì per mezzo della metanoia del cuore. Ma, a parte il caso, raro ma non troppo, della santità come ad esempio in un Carlo d’Asburgo (non a caso a lui Mordini dedicò il “Tempio del Cristianesimo” ossia quella “Rivolta cristiana contro il mondo moderno” che egli ci ha lasciato e di cui gli siamo grati), quando mai sono esistite aristocrazie, re, papi, imperatori o sacerdoti, immuni da bramosie ed ambizioni di potere? L. C.

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