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LA NUOVA RI-RINASCITA DELLA RUSSIA? PRESENTE E FUTURO PROSSIMO DI UN PAESE DIFFICILE DA LEGGERE. Di Andrea Giumetti

L’escalation del conflitto militare in Ucraina, che ricordiamolo non comincia il 22 Febbraio del 2022, ma piuttosto nel corso dell’inverno 2014, ha scosso profondamente quello che molti di noi percepivano come l’ormai consolidato ordine mondiale. Sui motivi del perché questa volta le cose siano state differenti si è già ragionato da più parti in maniera molto variegata ed esaustiva, e non è quindi opportuno soffermarsi più di tanto su quanto il mondo, nel corso degli ultimi 10-20 anni, sia cambiato, e per quello che riguarda l’Occidente, sia cambiato in peggio. Basta solo considerare, limitandosi ad un’analisi empirica, come appaia evidente, specialmente per quello che riguarda gli stati appartenenti all’UE, che non solo non si è in grado di difendere e portare avanti un’agenda comune e concordata, ma che a tutti gli effetti non vi è nemmeno una chiarezza di fondo su quali siano davvero i principi guida del conglomerato di stati. Piuttosto, considerando che ormai sembra possibile intravedere una fine del conflitto in Ucraina, che presumibilmente sancirà lo status quo e la creazione di una frontiera rigida nel mezzo dell’Europa, e che i mutamenti internazionali sembrano delineare la costruzione di un ordine bipolare relativamente liquido, è forse il momento giusto per considerare un po’ quello che sarà il prossimo futuro della Federazione Russa, tenendo conto della trasformazione politica, ma soprattutto economica e sociale, che il paese sta attraversando.

Le prossime presidenziali.

Tutti sanno che quest’anno, dal 15 al 17 di marzo ci saranno le elezioni per il presidente della Federazione russa, e tutti sanno anche che la conferma di Vladimir Putin per il sesto (e presumibilmente ultimo, data l’età) mandato è praticamente assicurata. Ora, nonostante le sirene dei giornalisti stiano già tuonando allo scandalo, questo esito quasi annunciato non è da identificarsi per via di brogli oppure di grosse falle nel sistema di partecipazione elettorale russo: Putin non corre da solo, ma ha avversari che provengono da varie liste e con visioni politiche molto discordanti tra di loro; ricordiamo che il principale partito di opposizione a Russia unita è il partito comunista russo, che nella precedente consultazione aveva espresso come candidato Kharitonov, arrivato secondo con il 13% dei voti. Sebbene la maggior parte dei candidati appoggino il proseguimento della guerra, ci sono anche candidati come Boris Nadhezdhin che portano alle urne un’agenda pacifista. Certo, le cifre del gradimento potrebbero far sollevare qualche sopracciglio, ma bisogna considerare che Vladimir Putin, fin dai primi anni della sua presidenza, ha goduto di un supporto tra la popolazione piuttosto trasversale, e soprattutto è spesso stato percepito come “l’alternativa buona” rispetto a ciò che potrebbe emergere da parte della compagine partitica liberale che lo supporta.

Boris Nadhezdhin.

Per cui le stratosferiche maggioranze incassate da Vladimir Putin non possono essere tradotte come il risultato di brogli elettorali o elezioni pilotate, e al tempo stesso non possono o, meglio, non potevano, essere intese come dichiarazioni di fedeltà assoluta al presidente. Insomma, se Putin vince con quei margini, non bisogna stupirsi troppo. Da un lato, i russi, specialmente quelli che vivono fuori dalle due città principali, Mosca e San Pietroburgo, sono storicamente un popolo che tende a delegare ampiamente la gestione del potere, finché questo garantisce sicurezza, stabilità e soprattutto non si intromette troppo nella vita quotidiana della gente, mentre dall’altro hanno un naturale istinto a compattarsi quando sono posti sotto attacco. Si badi bene, quando i russi sono messi sotto attacco. Purtroppo, quello che è successo è stato proprio che in Europa, e specialmente in Italia, rappresentanti delle istituzioni e degli enti abbiano deciso di lanciare una gara di zelo nel mostrarsi solidali con gli Ucraini, il che ha significato sposare interpretazioni e slogan poco attinenti con la realtà scientifica di un conflitto estremamente complicato, e perfino vere e proprie discriminazioni nei confronti dei russi. Questo ha dato un assist incredibile a Vladimir Putin: come abbiamo detto molti lo votavano pur non essendo concordi con molti aspetti della sua politica, o non essendo contenti con la matrice fondamentalmente illiberale (da leggersi in senso occidentale) dello stato russo; con il montare della russofobia in occidente, molte delle obiezioni precedentemente mosse sono state accantonate, e Putin è diventato per davvero lo Zar che per anni si è voluto credere fosse. La scelta del titolo di Zar non è solo per un assonanza geografica (come fanno la maggior parte dei giornalisti che di Russia sanno poco o nulla), ma piuttosto storica: nella storia russa, tenendo conto di una larga cesura aperta dalla fine dell’800 fino a Stalin, lo Zar era infatti percepito dalla popolazione rurale e provinciale (oggi come allora la maggior parte del paese, e quella più etnicamente variegata) come il Batjushka, il piccolo padre di famiglia della grande e allargata famiglia russa.

Come è cambiata a società russa in questi anni.

Non è semplice tenere il polso di un paese come la Federazione Russa, che si estende su un territorio immenso e che al suo interno ospita una miriade di confessioni religiose, etnie, culture e peculiari autonomie locali, e che da sempre ha una separazione piuttosto netta tra la vita nei maggiori centri cittadini e il resto del paese. I sentimenti popolari, il sentore intellettuale, la presenza delle forze dell’ordine e perfino la percezione della guerra ad Ovest possono variare enormemente tra parti diverse del paese, e la vicinanza al fronte, con l’ovvia eccezione dei territori recentemente annessi, non è un fattore determinante. Se da un lato è ampiamente certificato, oltre ogni ragionevole forma di dubbio, che l’FSB abbia oggi maggior potere e maggior “presenza” all’interno della vita quotidiana dei russi rispetto a prima della guerra, non è nemmeno corretto immaginarsi scenari da film della Guerra Fredda. Molti fanno attenzione a quello che dicono, e a chi lo dicono, ma nondimeno la reazione generalmente russofobica dell’Occidente allo sviluppo della questione ucraina, ha avuto l’effetto non desiderato di aprire una netta cesura tra “noi” e “loro” che ha visto da parte russa non solo la riscoperta di sentimenti nazionali ed entusiasmi sia patriottici che populistici, ma anche l’orgogliosa affermazione della “russità” (quello che in letteratura si indica con il termine Russiskji, contrapposto al Ruskji etnico). Questa identità culturale non è nuova, anzi rappresenta un topos accademico con cui ogni studioso di Russia deve confrontarsi, ma ha oggi nuova consapevolezza alla luce della piena e orgogliosa accettazione non solo dei pregi, ma anche dei difetti che essa porta con sé. Detto in altre parole, dopo anni che il livello di analisi e conoscenza del mondo russo ad ovest della Vistola non veniva fatto avanzare oltre al caro vecchio stereotipo cinematografico, i russi hanno imparato a smettere di preoccuparsi di cosa pensava di loro l’occidente, e a vivere felici. Certo, non tutti sono particolarmente contenti di finire sotto le armi, un’eventualità abbastanza probabile, soprattutto da quando il Cremlino ha promulgato la legge che può consentire l’arruolamento per evitare le sanzioni e condanne, ma oggi i mezzi di comunicazione e di trasporto non consentono più di farsi troppe illusioni e fantasie sul mondo al di là dei blocchi, e al tempo stesso non esiste più una contrapposizione rigida tra una Berlino Est spoglia e brutalista, e una città Ovest di grattaceli illuminati. Oggi è sufficiente possedere un telefono e spendere qualche minuto a scandagliare le fonti per riuscire a farsi un’idea abbastanza precisa del fatto che, sotto sotto, tutto il mondo è paese, specialmente per quello che riguarda controllo e censura preventiva.

Il rinascimento della Russia?

Uno degli aspetti più interessanti rispetto alle trasformazioni che stanno avvenendo nella società russa in questi anni è quello che riguarda le conseguenze delle sanzioni internazionali, e in particolare l’effetto che queste hanno avuto sul mercato interno, e in particolare sulla psicologia del produttore-consumatore russo. Dunque, prima è opportuno chiarire cosa intendiamo con “sanzioni”, poiché al fianco delle ufficiali sanzioni emesse da nazioni e organizzazioni sovranazionali, anche per questo ambito ci sono state numerose decisioni individuali, da parte dei brand multinazionali, di conformarsi al mood russofobico per paura di ripercussioni tra i conservatori occidentali, specialmente negli USA e in chi ha a che fare con il mercato giovanile, evidentemente piuttosto infiammabile. Quindi, non solo molti prodotti non sono più stati esportabili nella Federazione Russa, ma al tempo stesso ci sono state multinazionali che hanno chiuso gli uffici sul suolo russo e hanno abbandonato in toto quel mercato: questo è stato ad esempio il caso dei colossi del fast food come MC. Donald. La mossa occidentale di sanzionare fortemente la Federazione Russa, ha rappresentato una strategia che poteva essere buona, ma che poi nella pratica non ha funzionato. Da un lato perché l’isolamento non è andato a buon fine, anzi la Russia ha stretto ulteriormente i legami con molti dei suoi partner fuori dal G7; dall’altro perché il governo russo e la banca centrale federale, enti di cui si parla poco ad ovest della Vistola, ma che hanno all’attivo nei ruoli dirigenziali personaggi che sono arrivati li in virtù della loro grande preparazione, hanno contrastato molto bene il contraccolpo economico. In particolare, El’vira Nabiullina, governatrice della Banca Centrale della Federazione Russa, posta di fronte alle line guida dettate da Putin, ha condotto una politica economica che ha sacrificato

El’vira Nabiullina

molta della potenza finanziaria della Russia (che in ogni caso sarebbe però stata quella più vulnerabile alle sanzioni internazionali), ma ha permesso di contenere al minimo le ricadute sull’economia reale, che ha visto solo un leggero rialzo dell’inflazione. Tra il vuoto di mercato provocato dall’assenza dei prodotti occidentali, una situazione interna che è rimasta stabile e sotto controllo da parte di Mosca, e il normale effetto che un aumento controllato dei prezzi provoca sulle dinamiche produttive, gli occidentali sono riusciti a creare le condizioni perché in Russia si venisse a creare quello che i riformatori di Gorbachev sognavano ardentemente: un rinascimento spontaneo delle forze produttive primarie del paese. Il nesso chiave è stato, ancora una volta, la peculiare psicologia dei russi, che nella chiusura dell’occidente hanno trovato la volontà di reagire e mettersi in moto, riuscendo a trasformare in valore aggiunto la loro forza e la loro identità: in molte aree dell’immenso territorio della federazione sono infatti nate attività produttive agro-alimentari o del settore tessile, che rivendicano orgogliosamente il loro carattere “autoctono” e che, anche per la scarsità di fertilizzanti chimici a seguito delle sanzioni, hanno adottato i più “moderni” sistemi di produzione e lavorazione basati sulla biologia e le scienze naturali, piuttosto che sulla monocultura intensiva. Al tempo stesso, i consumatori russi hanno capito in pieno il valore aggiunto fornito da processi produttivi meno addizionati, e hanno risposto bene ai costi più alti, alimentando l’ulteriore sviluppo di un ciclo economico che, se non sopraggiungeranno sviluppi drastici, porterà sicuramente alla creazione di un ceto medio fortemente attaccato al territorio rurale e periferico, cosa che inevitabilmente produrrà delle ricadute anche nella vita politica russa. Attenzione però perché, se anche l’occidente ha inavvertitamente e involontariamente causato questo piccolo miracolo economico, nondimeno nella Federazione Russa continuano ad esistere pesanti problemi strutturali, come ad esempio la presenza di oligarchi che tutt’oggi dispongono di un immenso potere politico e di controllo economico. In altre parole, se da un lato la Russia ha visto una trasformazione economica che potrebbe, nel corso dei prossimi anni, risolvere uno dei grandi nodi problematici che da sempre affliggono la sua economia (fin dalle guerre Napoleoniche, in effetti), nondimeno il prossimo mandato di Putin, affinché il paese possa realizzare appieno lo sviluppo di un’economia differenziata ed armonica, dovrà evidentemente essere caratterizzato tanto dalla prosecuzione di una politica protezionista incisiva, che dalla costituzione di spazi sociali e politici che non finiscano per soffocare i protagonisti di questa piccola rinascita. Si tratta di non ricadere negli stessi errori che, a suo tempo, commise la leadership sovietica, e in questo senso la storia fornisce ai russi sicuramente un vantaggio.

Andrea Giumetti

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