Un’analisi tecnica e geopolitica del warfare nei nuovi domini.
Inquadrare le guerre nel mondo contemporaneo
Una delle caratteristiche più affascinanti del mondo contemporaneo è la complessità dei sistemi in cui viviamo immersi, la cui comprensione va espandendosi gradualmente con l’acquisizione della consapevolezza che per ridurre ai minimi termini e compiere una sintesi si debba, prima, considerare l’ampio orizzonte entro cui le cose accadono. Questo vale anche per la guerra.
Accade infatti che il rapido e poderoso sviluppo tecnologico in ambito militare, laddove la ricerca ha un vantaggio che oscilla fra i 10 e i 25 anni rispetto a quella civile, abbia portato ad una mutazione graduale del modo di fare guerra, dando vita ad uno sbilanciamento nella topografia bellica e costringendo a codificare nuove categorie entro cui inserire non solo i nuovi tipi di armamenti, ma anche il modo di impiegarli e le strategie e le tattiche che ne derivano. Occorre, pertanto, inquadrare queste nuove geometrie ed entrare nella dimensione ideologica prima e pragmatica dopo di cosa sono oggi le guerre.
La guerra globale, il cui concetto si è sviluppato nel corso di quasi tre secoli[1], è un tipo di guerra che include tutte le precedenti e le declina simultaneamente e multilateralmente, senza mai retrocedere. Non è più pensabile di fare la guerra solo “in un modo”, oggi si gioca su più scacchiere in contemporanea c’è un ritmo incalzante che non è più quello dei tamburi e delle marcette bensì quello della velocità della luce che scorre fra i circuiti del mondo digitale. È una questione di domini di guerra.
I domini di guerra sono le dimensioni entro cui la guerra si colloca. Oggi ne identifichiamo cinque: terra, acqua, aria, spazio extraterrestre, infosfera. Se per i primi quattro non è difficile fare associazioni con eventi storici e strutture militari, il quinto è quello che più ci interessa ed entro cui è opportuno fare un’importante distinzione fra le guerre oggi definite convenzionali e quelle speciali. Una guerra speciale è combattuta su un campo di battaglia speciale, con armamenti speciali e attori speciali. La guerra ibrida contemporanea, si intuisce, è quella che si colloca fra una guerra convenzionale e una speciale; ha le caratteristiche di entrambi ma si muove con facilità sui due livelli, nonché sui cinque domini. È, in questo senso, una guerra totale (modi) in un contesto globale (scenari).
Ibrido che è anche asimmetrico, non segue cioè quelle misure a cui siamo stati a lungo abituati, e richiede un impegno anche da parte delle popolazioni, che sono genericamente parte integrante della guerra, anche se inconsapevolmente. Psy ops, ingegneria sociale, geoingegneria militare, videogame, cinematografia predittiva, cyberwar, infowar, ecowar, internet che nasce come piattaforma militare americana e oggi collega il mondo, e molto altro ancora: tutto deve sembrare normale, deve essere consumabile come un prodotto ben venduto. È una questione di marketing, business is business. La costellazione delle nuove categorie si inserisce nel contesto della inter-operatività di domini e arene.
La zona grigia si pone come “zona” dai confini sfumati fra il mondo pubblico e quello privato, una dimensione semi-occulta in cui prosegue il livello celato della guerra permanente: quello operato dalle intelligence.
Pennellate di colore neutro: come sfumano i confini
Il concetto di zona grigia (grey zone in inglese) ha una genesi molto interessante, in quanto non è disgiungibile dal concetto di guerra ibrida (hybrid war). Vediamo in che senso: ogni guerra ha un suo dominio, o più domini, una tipologia a seconda di quanto è estesa geograficamente e nell’impegno di forze e armamenti, una sua strategia ed una serie di tattiche per realizzarla, un obiettivo primario da raggiungere che fa da bussola per tutti quelli secondari; poiché una guerra ibrida implica una contaminazione continua di più tipologie di guerra, e quindi di domini, di forze, di risorse e via dicendo, ecco che si è reso necessario concettualizzare uno “spazio neutro”, o uno “spazio di confine ma senza confini” entro cui far avvenire il passaggio fra le diverse guerre. Nasce in questo modo la zona grigia, la cui semantica già dice come non sia né di un colore né di un altro, bensì di una pallida mescolanza indefinita e adattabile con qualsiasi altro colore di guerra.
Se il termine guerra ibrida venne introdotto per la prima volta nel 1998 da Robert Walker, affermando che «la guerra ibrida è quella che si colloca tra la guerra speciale e quella convenzionale. Questo tipo di guerra ha le caratteristiche sia dell’arena speciale che di quella convenzionale e richiede un’estrema flessibilità per la transizione operativa e tattica tra l’arena speciale e quella convenzionale»[2], per veder apparire zona grigia bisognerà attendere il 2022, con la relazione di Brian Clarke dell’Hudson Institute, poche settimane prima dell’inizio del conflitto russo-ucraino, quando dichiarò che «la Russia sta conducendo una guerra di aggressione in zona grigia contro il Giappone»[3], riferendosi alla posizione di Tokyo sulle isole Curili. Da questa frase si può avere un’idea del livello politico a cui il concetto di zona grigia è stato portato in Occidente e di come la nozione è stata precedentemente associata ad altre cose.
Andando per gradi, occorre focalizzare rapidamente il concetto di guerra ibrida contemporanea, in modo da visualizzare adeguatamente la collocazione della zona grigia sulla mappa ideale delle pianificazioni strategiche mondiali.
La guerra ibrida sorge nel contesto delle operazioni speciali, laddove esse venivano condotte «da forze militari e paramilitari appositamente organizzate, addestrate ed equipaggiate per raggiungere obiettivi militari, politici, economici o psicologici con mezzi militari non tradizionali in aree ostili, proibite o politicamente sensibili, […] in tempo di guerra e in situazioni diverse dalla guerra, indipendentemente o in coordinamento con operazioni di forze convenzionali o di altre forze per operazioni non speciali. Considerazioni militari ma anche politiche spesso danno forma ad operazioni ad hoc che richiedono metodi clandestini, occulti o furtivi e una supervisione a livello nazionale”[4].
La guerra ibrida si svolge su un continuum che varia in base al grado di radicalità tradizionale o non tradizionale. Per mantenere il controllo del conflitto durante i cambiamenti inerenti al dominio ibrido, le forze coinvolte devono avere la flessibilità necessaria per adattarsi. È una guerra autenticamente multidimensionale e che richiede, quindi, formazione, preparazione, operatività specifiche. Le guerre ibride possono essere condotte sia da Stati che da una serie di attori non statali, con attività multimodali a cura di unità separate o anche dalla stessa unità, di solito dirette e coordinate operativamente e tatticamente all’interno dello spazio di battaglia principale per ottenere una sinergia nelle dimensioni fisiche e psicologiche del conflitto. L’effetto può essere ottenuto a tutti i livelli del conflitto.
Il concetto di guerra ibrida è stato successivamente avanzato in un articolo congiunto di James Mattis e Frank Hoffman pubblicato nel novembre 2005[5]. È proprio Hoffman a suggerire cinque punti come elementi primordiali della guerra ibrida[6]:
- modalità vs. struttura, domandandosi se la definizione deve concentrarsi sul modus operandi del nemico o sulla sua struttura;
- simultaneità, analizzando se le forze dispiegate debbano usare quattro diverse modalità di conflitto contemporaneamente o dimostrare la capacità di usarle tutte e quattro nel corso di una campagna;
- coalescenza, circa la combinazione di diverse unità, regolari e irregolari, sul teatro di combattimento, oppure una fusione dei diversi regimi di conflitto, con i problemi di coordinamento che da ciò derivano;
- complessità, chiedendosi quanti domini vadano mescolati fra di loro per avere una ibridazione;
- criminalità, ovvero sulla opportunità e liceità di coinvolgere operativi esterni e del mondo criminale nell’ibridazione attuata.
È interessante notare che gli Stati Uniti d’America abbiamo lanciato a livello comunicativo il concetto in questione in maniera difensiva, parlando di guerre ibride da parte di altri Paesi come la Russia, per poi svilupparne l’uso nel contesto delle “minacce” alla sicurezza nazionale e agli interessi strategici[7].
Nel 2015, l’esercito americano ha pubblicato le Linee guida sull’organizzazione della struttura delle forze per contrastare le minacce ibride. Questo documento rientra nella categoria dei manuali da campo[8] e che si pone come guida per amministrare guerre ibride.
Tralasciando molti aspetti, in quanto non funzionali a questa analisi, osserviamo con attenzione l’importantissimo uso dei mass media e della politica interna, nonché delle relazioni internazionali, per il funzionamento delle guerre ibride. Senza il dato sociale, l’efficacia resta enormemente limitata.
Dal punto di vista tecnico, il primo passo è quello di assemblare il Combined Arms Warfare: si tengono in considerazione i cinque domini, e dunque Land war, Air war, Sea war, Space war, mentre la Info war verrà introdotta più avanti, nella terza fase. È questo il momento della messa a punto selezionata, dove armamenti, truppe, ingegneristica, artiglieria e comandi di missione sono riuniti per conseguire una vittoria incondizionata, attraverso il mix di strategie di annichilimento, di attrito e di affaticamento. Per passare alla seconda fase, nella prima gioca un ruolo chiave la presenza e l’utilizzo di tecnologie all’avanguardia, impiegate per dare avvio e come complemento, anche alle fasi successive. Si tratterà sempre sia del dato della produzione tecnologica, sia di quello della sua informazione e formazione all’utilizzo.
Il secondo passo è il Joint Warfare, la guerra congiunta. Tutti coloro che sono coinvolti vengono impiegati in modalità e contesti di multidominio, con dei focus specifici per ogni operazione e una molteplicità di componenti, puntando alla vittoria con strategie di attrito e di annichilimento dell’avversario.
Nella terza fase, che giunge in mancanza di una vittoria conseguita con le prime due, troviamo il clue della guerra ibrida, la vera e propria Hybrid Warfare. Si procederà dunque a comunicare – azione che è più importante di ogni altra perché agisce sull’aspetto psico-sociale del conflitto, sia fra gli attori impiegati (soldati, comandi, aziende, professionisti), sia nella popolazione – la condizione di una guerra perpetua, sempre multidominio e composta da più parti/problemi, cercando di condensare ad hoc i livelli del conflitto a seconda delle esigenze comunicative. Per fare un esempio, se c’è bisogno di far percepire che la guerra sta andando bene e il proprio Paese sta vincendo, si impiegherà la stampa affinché si focalizzi sulle vittorie ottenute sul campo, o esaltando alcuni successi operativi, tralasciando altre verità più “scomode” o camuffando il reale proseguo dei fatti, che sempre deve restare appannaggio dei comandi operativi. La tensione psicologica, in una guerra ibrida, è pressoché tutto. La combinazione di armi convenzionali e di armi non convenzionali sfocia nel mondo digitale, nella infosfera di cui già abbiamo detto, decentrando così la guerra su altri piani, che sono quello politico e diplomatico, economico, sociale, ed ultimamente anche ecologico e sanitario. È fondamentale, qui, che non manchi mai la percezione di una guerra presente, pertanto si provveder a mantenere un’estetica comunicativa (su tutti i piani della comunicazione, verbale, non-verbale e para-verbale, per immagini, suoni e via dicendo). È questa la fase in cui la collaborazione con i civili e l’adozione di elementi esterni, come associazioni, gruppi, ONG, fondazioni, ma anche criminalità, mafie e mercenari viene ad essere fondamentale, con ovviamente una gestione che richiede una millimetrica calibrazione per la riuscita del warfare. La guerra ibrida in questa fase subisce una sorta di congelamento: la sua topografia cambia, il tempo rallenta e accelera improvvisamente e senza che sia facile calcolarlo; le distanze sono relative, sia quelle del mondo del web e dell’informazione, sia quelle sul campo di battaglia tradizionale, grazie anche all’impiego di nuove armi non convenzionali. Non si tralascerà mai, nell’aspetto civile, anche il dato giuridico: molte guerre trovano infatti sponda grazie alla modificazione in itinere delle leggi, o di interi ordinamenti giuridici, come avviene nel caso delle forniture di armi, o per guerre di carattere sanitario o ecologico, ove i parlamenti producono leggi che vanno a favorire l’adozione di alcune scelte utili per l’obiettivo di guerra stabilito.
Riassunta la guerra ibrida, vediamo meglio la zona grigia. Dove collocarla? Se è effettivamente così sfumata e incolore, non è certamente semplice individuarne la posizione. L’ambiguità è l’elemento principale di questa zona: può essere concettualmente definita, ma operativamente resta avvolta da una indefinibilità costante. Riesce a fare da ponte fra componenti della guerra ibrida che possono anche apparire come ossimorici, o far apparire un qualcosa per altro, falsando la percezione.
La zona grigia, però, è anche lo spazio del continuum fra pace e conflitto, una sorta di stand-by volontario nella percezione di alcuni livelli della guerra, laddove essa viene fatta sentire come terminata o assente, mentre in realtà prosegue ma su un piano differente da quello precedentemente percepito[9]. È una sorta di gioco di prestigio. Qui la parti politiche ed economiche entrano maggiormente in gioco perché hanno il potere di spostare sia l’ago della bilancia del pericolo, sia quello della bussola che indica la direzione da prendere per proseguire nel raggiungimento dell’obiettivo stabilito nella fase 1. È la zona che è fatta di ciò che non si può dire e rivelare: intelligence, coercizione economica, attacchi informatici, sabotaggi, assassini mirati, terrorismo.
C’è una evidente differenza fra la cooperazione pacifica (un tempo si insegnava la materia peacekeeping, che oggi pare essere stata in buona parte obliterata) e la guerra ibrida in zona grigia: in una c’è una pace reale o, perlomeno, realmente perseguita, mentre nell’altra c’è l’inamovibile volontà di ottenere la vittoria prefissata a qualunque costo, anche a costo della “pace”, o meglio della simulazione di essa[10].
Opinioni conclusive
Geopoliticamente parlando, imparare a gestire le guerre ibride e la collocazione nella zona grigia, significa detenere un primato strategico su breve e lungo periodo. La stessa concettualizzazione di guerra ibrida è propriamente geopolitica, in quanto implica un’analisi interdisciplinare e proiettiva che non può allontanarsi dalla comprensione dei contesti culturali dei popoli. E qui sta, forse, il punto ancora mancante nello sviluppo – e che forse è una fortuna che venga ancora ignorato: il controllo della zona grigia non è globalmente possibile, mentre lo è localmente, e per fare ciò occorre comprendere la cultura dei popoli, entrare nella ratio di quelle civiltà, acquisendone i modelli e le dottrine, diventando capaci di leggerne la psiche e percepirne i sentimenti.
Se la necessità di ripensare i vecchi approcci e di integrare costantemente l’ibridazione bellica è senza dubbio uno dei passi che continuamente devono essere compiuti, non dovrebbe essere tralasciato il dato etnosociologico e noologico.
Qui si colloca una verità importante: non capiremmo niente di guerra se non ci impegnassimo a disinnescarla. Le guerre ibride ci hanno portati in uno stato di guerra permanente che pesa sul mondo intero come una spada di Damocle fatale. Vivere in una zona grigia è, al di là di ogni poetica, vivere in un mondo senza più colori, se non che quelli della morte e della distruzione.
Non bisogna dimenticare mai è che le guerre, siano esse fra vicini di casa o su scala globale, continueranno ad esistere fintanto che l’essere umano continuerà a nutrirle. Il dilemma da risolvere non è “di quale guerra si tratti”, per quanto sia affascinante il mondo militare e l’analisi strategica: il punto da sciogliere è educare a non-fare la guerra, a interromperne i meccanismi, a rifiutarne le logiche e gli ordini.
[1] Per approfondire con una certa obiettività l’argomento, si vedano: R. Smith, L’arte della guerra nel mondo contemporaneo, Il Mulino, Bologna 2009; E. A. Mowrer, M. Rajchman, Global War. An Atlas of World Strategy, New York 1942; S. Metz, To insure the Domestic Tranquillity. Terrorism and the price of Global Engagement in Terrorism, National Security Policy and the Home Front, a cura di S. C. Pelletiere, Carlisle Barracks, Carlisle 1995.
[2] R. G. Walker, Spec Fi: The United States Marines Corps and Special Operations, tesi di master, Monterey, CA, Naval Post Graduate School, dicembre 1998, pagg. 4-5. https://apps.dtic.mil/sti/citations/ADA359694
[3] W. Schneider, B. Clark, M. Billingslea e P. Rough, Countering Russian Aggression: US Policy Options, Hudson Institute, 18 gennaio 2022. https://www.hudson.org/research/17479-transcript-countering-russian-aggression-us-policy-options
[4] Joint Pub 1-02, Department of Defense Dictionary of Military and Associated Terms, 1 dicembre 1989. https://irp.fas.org/doddir/dod/dictionary.pdf
[5] Entrambi gli autori erano ufficiali professionisti del Corpo dei Marines e James Mattis è poi diventato Segretario della Difesa degli Stati Uniti d’America. Si veda: James N. Mattis, F. Hoffman, Future Warfare: The Rise of Hybrid Wars, Proceedings Magazine, Novembre 2005 Vol. 132/11/1 https://www.usni.org/magazines/proceedings/2005/november/future-warfare-rise-hybrid-wars
[6] F. G. Hoffman, Hybrid vs. compound war, Armed Forces Journal, ottobre 2009. http://armedforcesjournal.com/2009/10/4198658
[7] L’autore più importante e il primo a parlare formalmente di “minacce ibride” è stato Brian Fleming. Per approfondire si veda: [7] B. P. Fleming, The Hybrid Threat Concept: Contemporary War, Military Planning and the Advent of Unrestricted Operational Art, School of Advanced Military Studies, 2011, United States Army, pp.4-5. http://cgsc.contentdm.oclc.org/utils/getdownloaditem/collection/p4013coll3/id/2752/filename/2753.pdf/mapsto/pdf
[8] Hybrid Threat Force Structure Organization Guide, FM 7-100.4. Headquarters Department of the Army Washington, DC, 4 giugno 2015. https://fas.org/irp/doddir/army/tc7-100-4.pdf
[9] US Special Operations Command, The Gray Zone, White Paper, 9 settembre 2015, pag. 3. https://info.publicintelligence.net/USSOCOM-GrayZones.pdf
[9] J. L. Votel, C. T. Cleveland, C. T. Connett e W. Irwin, Unconventional Warfare in the Gray Zone. https://ndupress.ndu.edu/JFQ/Joint-Force-Quarterly-80/Article/643108/unconventional-warfare-in-the-gray-zone/
[10] A. J. Echevarria II, Operating in the Gray Zone: An Alternative Paradigm for U.S. Military Strategy, U.S. Army War College, 2016, p. 22. https://press.armywarcollege.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=1424&context=monographs