Dalla guerra civile alla lotta al terrorismo, era diventata un immenso crocevia di profughi. E ora la cittadella con il ponte-rampa dai prestigiosi arditissimi arconi, l’antico bazaar e il museo archeologico sono solo un ricordo.
“Dio benedica Aleppo”. Cominciava proprio con queste parole. Alla pagina 82, il paragrafo dedicato alla bella città siriana di un libro davvero rivelatore, Mezzaluna sciita. Dalla lotta al terrorismo alla difesa dei cristiani d’Oriente (Edizioni Gog) di un bravo e coraggioso giornalista, il trentenne romano Sebastiano Caputo: un lavoro di primissima mano, scritto sui luoghi della guerra scoppiata nel 2011.
Il nascere dello “Stato islamico” (Isis per noi, Daesh per il mondo arabo) conferì a quel conflitto anche un forte carattere religioso: da una parte i sunniti appoggiati dal ‘califfo’ al-Baghdadi, dall’altra gli sciiti con la milizia Hezbollah, la sètta alawita (o ansariyya), sciita con influenze cristiane cui appartiene la famiglia presidenziale degli Assad e la varie Chiese cristiane presenti in quell’area, una delle più interessanti del Vicino Oriente dal punto di vista religioso. Dal 2016, allorché le forze governative liberarono la città dal ‘califfato’ terroristico riportando la sconvolta ma in quei luoghi tradizionale coesistenza religiosa, Aleppo è tornata a vivere: ma la guerra civile l’ha quasi distrutta mentre la trasformava in una specie d’immenso campo profughi. Ora il sisma ha perfezionato la maledetta opera distruttrice della guerra.
Le squadre di soccorso cercano vittime e sopravvissuti bloccati sotto le macerie.
Eppure chi ha visitato la città e la ricorda com’era un tempo, con la sua splendida cittadella con l’ardua rampa ad arconi del XIII secolo che la collegava alla città bassa, il bazaar (uno dei più belli e pittoreschi di tutta l’area tra il Mar di Levante e Baghdad) e lo splendido museo archeologico, ora anch’esso danneggiato, ne conserva un ricordo fiabesco e struggente. Con Aleppo nel corso di poco più di una decina di anni, dallo scoppio della guerra civile al terremoto, se n’è andata sul serio una gemma dell’Asia occidentale. La si potrebbe e dovrebbe restaurare e ricostruire. Ciò dovrebb’essere un sacrosanto impegno dell’Onu. Ma chissà…
Aleppo – una gloria di Dio, un prodigio del genere umano, un tesoro del mondo – è una città antichissima. Il suo primo nucleo appartiene alla civiltà hittita, alla fine del secondo millennio prima di Gesù Cristo. Passata dagli hittiti – indoeuropei domatori di cavalli e forgiatori di armi di ferro – ai semiti amorrei, quindi ai persiani, la città venne conquistata da Alessandro Magno nella seconda metà del IV secolo a.C. e quindi, con il nome di Béroia, fu una delle metropoli della monarchia greco-siriaca dei Seleucidi, eredi di un generale del grande Macedone. Conquistata dai romani nel 65 a.C.
conobbe una ridefinizione urbana della quale fu testimone il colossale tempio di Zeus, trasformato nel V secolo in Cattedrale bizantina.
Gli arabi la presero nel 637, appena cinque anni dopo la morte del Profeta e uno prima d’impadronirsi di Gerusalemme: e vi eressero splendide moschee come quella “del gelso” – le sete siriane erano già famose – e l’immensa moschea fondata nel 715. Celebre una meravigliosa scuola coranica: la Madrasa del Paradiso. Musulmani soprattutto sciiti, numerosi ebrei e cristiani di varie confessioni popolarono questo centro dedito soprattutto al commercio: finché nel XII secolo i sopravvenuti turchi selgiuchidi – provenienti dall’Asia centrale ma convertiti all’Islam sunnita pi rigoroso – organizzarono tra Siria e Iraq attuali del nord una grand province che comprendeva le due metropoli di Halab (Aleppo, appunto), ora in Siria, e di Mosul, ora in Iraq. Attorno a questa seconda città si andarono addensando gli appartenenti all’etnia curda: e curdo era appunto un generale del governatore di Aleppo e Mosul che verso al fine del XII secolo si distinse nella lotta vittoriosa contro i crociati: il Saladino. Quindi, khan mongoli e sultano egizio-mamelucchi se la disputarono. Passata nel 1520 sotto il dominio dei turchi ottomani e del sultanato d’Istanbul, Aleppo sviluppò al massimo la sua vocazione mercantile e intellettuale divenendo anche un importante nodo ferroviario: una borghesia raffinata e occidentalizzante ne favorì prima i moti indipendentisti antiturchi nell’Ottocento, quindi il passaggio come protettorato alla Francia nel 1918 al suo transito alla repubblica di Siria, formalmente indipendente e, come il vicino Libano, profondamente francesizzata.
Aleppo, se il mondo andasse per il suo verso, sarebbe un paradiso di cultura, di turismo, di joie de vivre. Lo fu a lungo, nonostante tutto. Oggi tutto ciò è un ricordo. Quel che il terrorismo e la guerra non hanno fatto dal 2011 in poi, lo ha fatto il terremoto. Dio torni a benedire la dolce Aleppo: che se lo meriterebbe.
Franco Cardini
* Tratto da La Nazione, 8 febbraio 2023