Approfittando del cambio della guardia con Trump, pubblichiamo ampi stralci di un articolo del professore di relazioni internazionali James Kurth, The Protestant Deformation and American Foreign Policy (The Protestant Deformation and American Foreign Policy – Foreign Policy Research Institute), uscito sulla rivista “Orbis” del think tank Foreign Policy Research Institute nel 2001.
Molti sanno della tesi weberiana che accoppia impresa protestante e capitalismo al mindset, alla forma mentis partorita dalla riforma di Lutero, di Calvino e innumerevoli altri teologi, politici a nord delle Alpi. Ma pochi hanno sviluppato questa tesi sociologica in direzione di “politica estera americana.”
Per esempio come si collega lo spirito protestante capitalista al presidente U.S.A. Wilson che, nel 1918, escogitava la Lega delle nazioni e spezzava Austria da Ungheria e Slovacchia creando stati artificiali da situazioni storicamente artificiali ma radicate nella tradizione centro-europea?
Leggendo questo articolo di Kurth ci si rende conto di come le ultime amministrazioni U.S.A. con le loro ansie per i “diritti umani” risalgano e si riconnettano a una tematica di tipo teologico: quella della Riforma protestante.
Andrea Bianchi
Gli analisti della politica estera americana hanno dibattuto per decenni sull’influenza relativa di diversi fattori nella formazione della politica estera americana. Gli interessi nazionali, la politica interna, gli interessi economici e l’ideologia liberale sono stati visti come la spiegazione principale delle peculiarità della condotta americana negli affari esteri. Ma sebbene una serie di studiosi abbia sostenuto l’importanza del realismo, dell’idealismo, del capitalismo o del liberalismo, quasi nessuno ha pensato che il protestantesimo – la religione dominante negli Stati Uniti – fosse degno di considerazione.
Certamente per il XX secolo è sembrato evidente che si potesse (e si dovesse) scrivere la storia della politica estera americana senza alcun riferimento al protestantesimo.
Questo saggio presenterà una visione alternativa. Si sosterrà che la politica estera americana è stata, e continua ad essere, plasmata dalle origini protestanti degli Stati Uniti. Ma il protestantesimo che ha plasmato la politica estera americana nel corso di due secoli non è stato la religione originaria, bensì una serie di successivi allontanamenti da essa lungo la scala di quella che potrebbe essere definita la declinazione protestante. Siamo ora al punto finale di questa declinazione, e il protestantesimo che oggi plasma la politica estera americana è una peculiare eresia della religione originaria, non la Riforma protestante ma quella che si potrebbe definire la Deformazione protestante. Oggi, con gli Stati Uniti rimasti come unica superpotenza, questa deformazione protestante è al massimo della sua influenza su scala globale. Ma poiché si tratta di una religione ben particolare, che in effetti è percepita correttamente come una minaccia fondamentale e fatale da tutte le altre religioni, la sua influenza pervasiva sta generando un’intensa resistenza e un conflitto internazionale.
La religione protestante è stata una forza enorme che ha plasmato la politica internazionale all’inizio dell’era moderna. Infatti, la Riforma protestante – insieme al Rinascimento italiano, alla rivoluzione commerciale e alla scoperta europea del Nuovo Mondo – è stata uno dei quattro principali movimenti che hanno dato inizio all’era moderna all’inizio del XVI secolo.
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Prima della Guerra dei Trent’anni, l’Europa centrale era stata dominata dagli Asburgo d’Austria, che erano cattolici e regnavano tramite una regione elaborata come struttura gerarchica del Sacro Romano Impero, eredità dell’epoca medievale. I principali movimenti dell’era moderna stavano portando allo sviluppo di Stati nazionali in Europa occidentale, soprattutto nei Paesi Bassi e in Inghilterra, classici paesi protestanti, ma entro la struttura medievale del Sacro Romano Impero lo Stato nazionale non esisteva ancora.
La Guerra dei Trent’anni portò a un sostanziale declino del potere degli Asburgo e il Trattato di Westfalia sancì un sostanziale declino dell’autorità del Sacro Romano Impero. Una struttura internazionale composta da una gerarchia di imperatori, re, principi e città fu sostituita da una struttura composta da molti Stati formalmente indipendenti e formalmente uguali.
Alcuni di questi Stati, naturalmente, erano più indipendenti, “più uguali”, degli altri, e questi sarebbero poi diventati celebri come “grandi potenze.” Il Trattato di Westfalia fu il riconoscimento che l’Europa non era più un unico impero ma un sistema di molte potenze, cioè un sistema multipolare.
Secondo taluni analisti delle relazioni internazionali, il sistema multipolare westfaliano è stato sostituito dopo il 1945 dal sistema bipolare della Guerra fredda, che a sua volta è stato sostituito dopo il 1991 dal sistema unipolare post-Guerra fredda. Tuttavia, sebbene il numero di vere e proprie grandi potenze sia diminuito, la serie di Stati formalmente indipendenti è aumentato. In questo senso, il sistema degli Stati westfaliani rimane quello in cui viviamo ancora oggi. Ed è stato una delle grandi conseguenze della Riforma protestante e delle guerre di religione.
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La prima grande potenza protestante fu l’Olanda, presto seguita dall’Inghilterra. Olanda e l’Inghilterra erano grandi potenze perché erano le principali economie commerciali e potenze navali dell’epoca. Esse illustrano chiaramente il legame tra l’etica protestante e lo spirito capitalista, che Max Weber ha analizzato così acutamente. Ma sebbene i Paesi Bassi e l’Inghilterra fossero grandi potenze, in realtà erano Paesi piuttosto piccoli, e piccoli nella quantità di risorse territoriali e di forze terrestri – allora misure standard del potere – all’interno dei loro regni.
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All’inizio del XVIII secolo il sistema degli Stati sancito a Westfalia si era trasformato nel classico sistema di equilibrio di potere composto da diverse grandi potenze. Le potenze protestanti erano meglio organizzate e più efficienti delle loro rivali cattoliche, ortodosse e musulmane).
Le potenze protestanti erano meglio organizzate e più efficienti delle rivali cattoliche, ortodosse e musulmane, ma le potenze non-protestanti possedevano grandi territori ed eserciti, e alcune avevano iniziato a sviluppare i propri metodi per migliorare organizzazione ed efficienza. Il risultato era una uno stallo di potere approssimativo in termini di risorse che le potenze effettivamente impiegavano nella politica internazionale del tempo: stallo anche nei pesi che esse esercitavano sulla bilancia dell’equilibrio di potere.
Gli scopi e gli obiettivi che le potenze protestanti perseguivano nella loro politica estera non erano sostanzialmente diversi da quelli delle potenze non-protestanti; erano quasi interamente gli obiettivi secolari di sempre in materia di estensione territoriale, ricchezza e potere. Si può quindi scrivere (e quasi tutti gli studiosi hanno scritto, infatti) la storia della politica internazionale europea del XVIII secolo senza fare riferimento alla religione protestante nello specifico. Per la maggior parte, questo vale anche per la storia della politica internazionale europea del XIX e XX secolo. Ci sono state tuttavia un paio di importanti eccezioni.
Negli anni Ottanta e Novanta del XIX secolo, il protestantesimo ha favorito l’espansione dell’impero britannico soprattutto nell’Africa tropicale. Il dominio imperiale britannico fu esteso in alcune aree per proteggere i missionari protestanti, quando c’erano poche altre ragioni per farlo.
In modo molto più significativo, negli anni 1860-1870 il protestantesimo ha plasmato il modo in cui la Prussia si è espansa con la creazione del nuovo Impero tedesco. Dopo che la Prussia sconfisse l’Austria nella guerra austro-prussiana del 1866, molti nazionalisti tedeschi sostennero l’annessione da parte prussiana dei tedeschi in Austria, che avrebbe portato all’unificazione di quasi tutti i popoli tedeschi in un unico grande Stato. Tuttavia, poiché i tedeschi in Austria erano cattolici, i cattolici avrebbero rischiato di superare i protestanti nella nuova Germania unificata e questo era inaccettabile per i protestanti prussiani: quindi l’Austria cattolica non fu annessa. Il modo in cui l’unificazione avvenne nel 1871 dopo la guerra franco-prussiana (con relativa annessione di alcuni Stati cattolici della Germania meridionale, ma non dell’Austria cattolica) assicurò che i protestanti restassero la maggioranza con due terzi della popolazione nel nuovo Impero tedesco.
Sebbene la Germania non volesse annettere l’Austria per motivi religiosi, poteva allearsi con l’Austria-Ungheria in nome della strategia. Lo fece nel 1879 e le conseguenze furono fatali nel 1914. Ma a quel punto sembra che la religione protestante abbia cessato di avere qualsivoglia effetto sulla politica internazionale europea. Un certo tipo di protestantesimo condiviso tra Gran Bretagna e Germania non impediva a questi Paesi di combattersi nella Prima guerra mondiale, per esempio.
Guardando indietro nei secoli, si potrebbe riassumere in questo modo l’impatto della religione protestante sulla politica estera delle potenze europee:
- nel XVII secolo il protestantesimo ha avuto un effetto importante sia sugli obiettivi della politica estera che sui mezzi per raggiungerli
- nel XVIII secolo, ha avuto un effetto quasi inesistente sugli obiettivi, ma ha comunque avuto un effetto importante sui mezzi
- nel XIX secolo, ha avuto un effetto occasionale sugli obiettivi e uno di tipo minore per quanto riguarda i mezzi perseguiti
- nel XX secolo, non ha avuto praticamente alcun effetto né sugli obiettivi né sui mezzi.
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Il protestantesimo era di nome e di fatto una protesta contro la forma che la religione cristiana aveva assunto nel cattolicesimo romano del tardo Medioevo e del Rinascimento. La Riforma fu uno sforzo per riplasmare la religione cristiana riportandola alla fede originale espressa nella Nuova Alleanza o Nuovo Testamento della Bibbia. La fede del Nuovo Testamento era stata di per sé una protesta contro la forma che la religione ebraica aveva assunto nel giudaismo farisaico all’epoca del primo Impero romano. Sebbene l’elemento centrale del cristianesimo, Gesù Cristo come Messia, rappresentasse una rottura radicale con il giudaismo tradizionale, il cristianesimo primitivo fu poi in parte uno sforzo teso a riformare la religione ebraica riportandola alla fede originale quale era espressa nell’Antica Alleanza o Antico Testamento della Bibbia.
Il protestantesimo è stato quindi plasmato in modo decisivo da quella che potrebbe essere vista come una doppia riforma o un doppio rifiuto. C’era chiaramente la riforma o il rifiuto contemporaneo del cattolicesimo romano, compiuto in nome di una fede originaria che era una riforma o un rifiuto del giudaismo farisaico.
Quali erano le caratteristiche del cattolicesimo romano che i riformatori protestanti volevano stravolgere? E quali invece quelle del giudaismo farisaico che i cristiani intendevano riformare?
Le due situazioni avevano molto in comune, il che rafforzava le ipotesi intorno a quel che andava respinto.
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Il giudaismo farisaico aveva insegnato che l’ebreo devoto raggiungeva la santità con l’osservanza della Legge e dei Comandamenti, sostenuta dalla mediazione del sacerdozio e dalla partecipazione alla vita della comunità. Anche in questo caso, la combinazione di gerarchia e comunità produceva al massimo livello una certa santità fatta di partecipazione ai sacrifici e ai rituali comunitari, amministrati dal sacerdozio nel Tempio di Gerusalemme.
I riformatori protestanti si ribellarono all’idea che il credente raggiunga la salvezza tramite una gerarchia o una comunità, o magari con le due cose insieme. Sebbene molti riformatori protestanti accettassero la gerarchia e la comunità per alcuni scopi determinati, quali il governo della Chiesa e le imprese collettive, le rifiutavano per il fine superiore: il raggiungimento della salvezza. Piuttosto, il credente riceveva la salvezza attraverso un atto di grazia da parte di Dio. Questa grazia produce nel suo destinatario la fede in Dio e nella salvezza che poi lo converte in un credente.
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Tutte le religioni sono a loro modo uniche, ma il protestantesimo è la più unica di tutte le altre. Nessun’altra religione è tanto critica nei riguardi della gerarchia e della comunità, o delle tradizioni e dei costumi che le accompagnano.
La maggior parte delle religioni si basa sulla gerarchia o sulla comunità (oltre al cattolicesimo romano, anche l’ortodossia orientale, l’islam, l’induismo, il confucianesimo e persino, in una certa misura, il buddismo). Alla sua radice dottrinale il protestantesimo è anti-gerarchico e anti-comunitario. Esso costituisce un rifiuto di queste nozioni alla duplice potenza. Rifiuta sia l’esperienza del cattolicesimo romano sia le nozioni del giudaismo farisaico, sprezza sia la gerarchia che la comunità.
I riformatori protestanti cercarono di eliminare queste nozioni affinché il singolo credente potesse avere un rapporto diretto con Dio. Più precisamente e in modo ben sottile, affinché il singolo potesse avere un rapporto con Dio tramite la seconda persona della Santa Trinità, Gesù Cristo, e ricevere la salvezza da Dio direttamente dallo Spirito Santo.
L’eliminazione della gerarchia e della comunità, delle tradizioni e dei costumi – di qualsiasi intermediario terreno tra l’individuo e Dio – cancella, in prima istanza, qualsiasi caratteristica locale, parrocchiale, culturale o nazionale del credente. In linea di principio la grazia, la fede e la salvezza possono essere ricevute da chiunque; sono veramente universali o cattoliche, nel senso originale della parola. I riformatori si accorsero della grande diversità di culture e nazioni all´interno di una prospettiva universale, ancora più ampia di quella cattolica romana.
Nonostante il rifiuto dottrinale della gerarchia e della comunità ai fini della salvezza, molte chiese protestanti hanno mantenuto un qualche tipo di gerarchia ai fini del governo chiesastico. Le più gerarchiche erano le chiese protestanti rette da vescovi e arcivescovi: luterane (Germania e Paesi scandinavi), anglicane (Inghilterra), episcopaliane (Stati Uniti) e metodiste (Inghilterra e Stati Uniti). E l’organizzazione di alcune Chiese in Europa, in particolare quelle di stato anglicane e luterane, assomigliava molto all´originale cattolico romano, ma con la soppressione del Papa e la sostituzione del “difensore della fede” tipico della Chiesa cattolica con una figura analoga (nella forma): il sovrano dello Stato. La controparte secolare e politica di questa forma di governo della Chiesa, sia per il cattolicesimo romano che per questa versione del protestantesimo, era la monarchia.
Meno gerarchiche erano le Chiese protestanti governate da anziani: i calvinisti (Paesi Bassi) e i presbiteriani (Scozia e Stati Uniti). Una simile organizzazione assomigliava piuttosto al giudaismo farisaico (e a quello posteriore) costituitosi intorno ai rabbini. In questo caso, la controparte secolare e politica nel governo della Chiesa era l’aristocrazia o l’oligarchia.
Le meno gerarchiche erano le chiese protestanti governate dalla congregazione. Molte si trovavano negli Stati Uniti: i congregazionalisti, i battisti e una vasta gamma di chiese americane confessionali e soprattutto non confessionali. Qui la controparte laica e politica era la democrazia.
Nonostante le differenze in materia di governo della Chiesa e quanto a enfasi comunitaria, tutte le Chiese protestanti rifiutano la gerarchia e la comunità come mezzi di salvezza. A livello di teologia e dottrina il protestantesimo nega che la gerarchia e la comunità siano molto rilevanti. Anzi, i protestanti spesso affermano che la gerarchia e la comunità, insieme alle tradizioni e ai costumi, siano di ostacolo al raggiungimento della salvezza.
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Woodrow Wilson era presbiteriano e figlio di un ecclesiastico presbiteriano. Le sue dichiarazioni sulla politica pubblica, tuttavia, sembrano avere più in comune con l’unitarianismo che con il presbiterianesimo. Sembra che credesse di eseguire la volontà di Dio, ma non che abbia mai pensato con attenzione alle altre persone della Trinità, Gesù Cristo e lo Spirito Santo. Era presidente di una vasta nazione caratterizzata da un’ampia diversità religiosa e ormai anche da una sostanziale secolarizzazione.
La sua identità politica era quella di un progressista e il suo programma era “la nuova libertà,” connaturato alla sua identità religiosa di presbiteriano e alla sua profonda religiosità unitariana. Wilson credeva realmente nel libero mercato ordinato da contratti scritti, e nella democrazia liberale regolata da una costituzione scritta. Sembra anche che credesse in un Dio e che per suo conto portasse avanti certi ideali sia in patria che all’estero “per rendere il mondo sicuro per la democrazia”. Ma Wilson non aveva alcun genere di sensibilità o simpatia verso tutte le concezioni di gerarchia, comunità, tradizione e costume, tranne per quelle marcatamente protestanti.
Queste concezioni politiche ed economiche di Wilson furono ripetutamente espresse nella sua politica estera:
1) l’idea che i problemi dei paesi dell’America Latina potessero essere risolti tramite elezioni formali, costituzioni scritte e l’applicazione dei contratti
2) la sua attenzione alla libertà dei mari, al diritto internazionale e all’ideologia democratica mentre guidava gli Stati Uniti nella prima guerra mondiale
3) la sua implacabile opposizione alla monarchia asburgica, incarnazione della gerarchia e della comunità, della tradizione e della consuetudine (e unica grande potenza cattolica), in nome dell’autodeterminazione, la quale era poi una concezione individualista o addirittura protestante applicata in modo inappropriato a una condizione comunitaria o addirittura cattolica
4) la sua insistenza sull’astrazione della sicurezza collettiva, qual è indicata nel Patto della Società delle Nazioni come soluzione al problema perenne dei conflitti internazionali.
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L’ultimo e più grandioso dei progetti di Wilson, la Società delle Nazioni, fu anche un fallimento, venendo respinto nel 1920 dal Senato degli Stati Uniti e da milioni di altri connazionali. Ma la maggior parte delle nozioni protestanti di Wilson divennero caratteristiche permanenti della politica estera americana.
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Uno dei motivi principali per cui gli Stati Uniti si ritirarono dalle questioni di sicurezza europee dopo il 1920 fu che gli americani erano giunti alla convinzione di non poter trasformare le nazioni europee – economicamente sviluppate, militarmente forti e politicamente indipendenti – a loro immagine e somiglianza, e di non poterle convertire al Credo americano. In America Latina e in Asia orientale – economicamente sottosviluppate, militarmente deboli (tranne il Giappone) e politicamente dipendenti – la situazione era diversa. A causa della debolezza e quindi dell’apertura di questi Paesi sembrava plausibile che essi potessero essere convertiti ai metodi americani. E questo pareva plausibile solo se le caratteristiche culturali e sociali, le tradizioni e i costumi di questi Paesi potevano (anche) essere ignorati o ignorati. Ma queste caratteristiche si sono sviluppate storicamente intorno a religioni come il cattolicesimo e il confucianesimo i quali, alla mente protestante americana, sembravano davvero retrograde e irrazionali. Con un piccolo sforzo di persuasione da parte dei protestanti, il processo avrebbe avuto un esito ovvio, di assimilazione, anche per i latinoamericani e gli asiatici dell’Est. E anche questi avrebbero adottato una loro versione del Credo americano.
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Nel corso della Seconda guerra mondiale Franklin Roosevelt mobilitò e mise in campo molte di quelle idee che Woodrow Wilson aveva promosso durante la Grande guerra. Formalmente Roosevelt era episcopaliano e la sua politica estera era più realistica e pragmatica di quella di Wilson, il quale era presbiteriano. Nelle loro reali convinzioni religiose entrambi sembrano essere stati unitariani, e nelle loro politiche belliche promossero con vigore il libero scambio e la democrazia liberale. E naturalmente Roosevelt ha portato alla fine della guerra alla resurrezione della Società delle Nazioni di Wilson sotto forma di Organizzazione delle Nazioni Unite.
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Gran parte dell’attenzione rivolta dagli Stati Uniti alle organizzazioni internazionali può essere spiegata da una teoria realista della politica estera. Essendo la maggiore tra le grandi potenze, è lecito attendersi che gli Stati Uniti istituiscano una serie di organizzazioni internazionali ovunque si estenda il loro potere o la loro egemonia. All’inizio si trattava solo dell’America Latina (l’Unione Panamericana, a cui fece seguito l’Organizzazione degli Stati Americani). Dopo la Prima guerra mondiale e poi ancora dopo la Seconda, per un breve periodo il progetto parve estendersi al mondo intero (la Società delle Nazioni, seguita dalle Nazioni Unite, dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale). Poi durante la Guerra Fredda il potere degli Stati Uniti si è esteso a diverse regioni tra cui l’Europa occidentale (l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico), il Medio Oriente (l’effimera Organizzazione del Trattato del Medio Oriente) e il Sud-Est asiatico (l’Organizzazione del Trattato del Sud-Est Asiatico).
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L’attenzione americana per le organizzazioni internazionali rappresenta un ponte tra l’ultimo stadio della declinazione protestante, il Credo americano, e il suo sequel, i diritti umani universali. Nel passaggio da uno stadio all’altro, sembra quasi che le organizzazioni internazionali si trasformino da mezzo con cui i politici promuovono la politica estera a strumento per dar corpo a valori universali astratti.
Negli anni Settanta le élite politiche e intellettuali americane iniziarono a promuovere la nozione di diritti umani universali come obiettivo fondamentale della loro politica estera. Una simile concezione è al centro del Credo americano e ha raggiunto un´estensione al di fuori del continente di origine.
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Nella nuova ideologia, i diritti umani sono visti come diritti degli individui, i quali poi sono indipendenti da qualsiasi gerarchia o comunità, dalle tradizioni o dai costumi in cui un dato individuo potrebbe mai trovarsi a vivere: diritti, dunque, applicabili a qualsiasi individuo, in ogni parte del mondo, cioè universali e non soltanto comunitari o nazionali. Esiste quindi una diretta connessione logica tra i diritti dell’individuo e l’universalità di tali diritti. I diritti individuali sono diritti universali e i diritti universali sono diritti individuali.
Innumerevoli analisti sociali hanno notato che negli ultimi due decenni gli Stati Uniti sono diventati un nuovo tipo di società politica, una “repubblica basata sulla scelta” e caratterizzata dalla “rivoluzione dei diritti” nella giurisprudenza, dalla “libertà di scelta” in politica, dalla “sovranità dei consumatori” in economia, dalla “messa in discussione dell’autorità” negli atteggiamenti individuali e da un “individualismo espressivo” nel calco ideologico. Per quanto riguarda la vita spirituale, una manifestazione di questa nuova mentalità è la “New Age”.
L’ideologia dell’individualismo che deve esprimere sé stesso si estende a tutti gli aspetti della società; è una filosofia totale. Il risultato sembra essere del tutto opposto al totalitarismo statale, ma è una sorta di totalitarismo dell’ego. Entrambi i totalitarismi si accaniscono nell’abbattere i corpi e le istituzioni intermedie che si frappongono tra l’individuo e i poteri e le forze che risiedono in sfere più elevate e comprensive. Nel totalitarismo dello Stato, simili poteri sono rappresentati dalle autorità dello Stato nazionale; nel totalitarismo dell’ego, siffatte forze sono personificate dalle agenzie dell’economia globale.
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Una volta Gibbon scrisse che l’impero romano diffuse la religione cristiana in tutto il mondo antico, ma che la religione cristiana stessa poi minò l’impero romano. Ora, l’impero americano sta diffondendo la deformazione protestante nel mondo moderno, ma la deformazione protestante sta iniziando a minare l’impero americano.
Forse un giorno, sul terreno aperto e ostile che è diventato l’economia globale e tra i vuoti formalismi di quella che un tempo era la democrazia liberale, si troverà un individuo residuo. Un tempo così inebriato dal suo espressionismo autoreferenziale, ma ora esausto per lo stress e la tensione in cui si va consumando, questi riconoscerà finalmente quanto è diventato, nel frattempo, sempre più solo e isolato. Allora forse si rivolgerà altrove cercando rifugio e sicurezza entro la protezione di una gerarchia, all´interno di una comunità e del sostegno che essa offre col conforto di tradizioni e usanze stabilite – e allora forse si volterà, cercando con la conversione di accogliere in se´ la grazia divina.
James Kurth