Condividi:

Share on facebook
Share on twitter
Share on linkedin
Share on whatsapp
Share on telegram
Share on email

Esplora:

LE CORTI COSTITUZIONALI E IL CONTROLLO SULLA SOVRANITA’ POPOLARE. Di Francesco Mario Agnoli

In connessione, ma  anche indipendentemente, con i sospetti di indebiti interventi esterni (USA, UE), l’inattesa  decisione della Corte costituzionale romena di annullare le elezioni presidenziali,  alla vigilia del ballottaggio (ne era rimasto escluso, perché superato da due altri candidati, il presidente in carica) e dopo una  prima conferma della regolarità del voto, ha risuscitato antiche problematiche sulle funzioni di questi particolari organi e  riproposto dubbi sulla loro potenziale pericolosità per il corretto funzionamento dei sistemi democratici e dello stesso Stato di diritto. Difatti, detta in breve,  le Corti costituzionali, come oggi realizzate, risultano estranee, se non addirittura in opposizione, al sistema base della separazione dei poteri.   Formalmente e sostanzialmente “giudici”, non solo non appartengono  all’ordine giudiziario ma nemmeno esercitano funzione giurisdizionali in senso proprio.  L’ex-giudice costituzionale Matteo Zanon (oggetto qualche tempo fa di vivaci polemiche per il suo libro “Le opinioni dissenzienti in Corte”) ne parla  come di “un organo giurisdizionale sui generis con un’anima “politica”, tanto quanto sono “politici” (in senso alto) i princìpi e le regole costituzionali che essa deve tutelare”.  In ogni caso pacifica, nonostante le  rilevantissime incidenze in entrambi i campi (il primo in particolare), l’ estraneità delle Corti costituzionali al legislativo e all’esecutivo.

Oggi, per quanto riguarda l’Italia,  tornano inevitabilmente alla mente le preoccupazioni che, nonostante l’autorevole avallo del Calamandrei, accompagnarono già in Assemblea  Costituente fin dalla seduta di apertura  in argomento (13 gennaio 1947) la previsione e l’inserimento di quest’organo, definito “di garanzia costituzionale”, nel testo della Carta. Timori con qualche influenza anche nel ritardo con cui si provvide alla sua concreta realizzazione (legge costituzionale n. 1/1953, legge ordinaria n. 87/1953).   Non si trattò solo del contrasto fra chi voleva limitarne le funzioni e chi tendeva ad ampliarle, ma di radicali opposizioni, come quella di Palmiro Togliatti. che la definì una “bizzarria” per effetto della quale “degli illustri cittadini verrebbero ad essere collocati al di sopra di tutte le Assemblee e di tutto il sistema del Parlamento e della democrazia, per esserne i giudici». Opinione espressa in termini forti, anche con riferimento al rapporto col principio democratico, ma sostanzialmente condivisa da costituenti illustri  quali Luigi Einaudi, Francesco Saverio Nitti, Vittorio Emanuele Orlando e altri, timorosi che il potere di stabilire la legittimità o illegittimità delle scelte e decisioni del Parlamento attribuito ad un organo sostanzialmente “tecnico”, comunque non eletto dal popolo, contrastasse radicalmente con la naturale intangibilità delle decisioni prese dai rappresentanti del popolo sovrano.

Dal momento che da questo si è partiti, non è fuor di luogo richiamare l’attenzione sul fatto che nel caso romeno la decisione di quella Corte va ancora oltre  questi timori, perché annulla la volontà espressa, in sede elettorale,  non dai loro rappresentanti, ma direttamente dai cittadini, anche in Romania titolari esclusivi della sovranità.

Il problema  che direttamente ci pone la decisione romena è se possa verificarsi la sciagurata ipotesi di un identico o analogo provvedimento a opera della nostra Corte costituzionale. Senza passare a considerazioni di diritto comparato il nostro disposto costituzionale  e normativo sembra dare fondamento ad una risposta  negativa. Difatti  l’annullamento di una consultazione elettorale in corso non sembra rientrare né nei casi previsti dall’art.  134 (controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni; conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato, tra lo Stato e le Regioni e tra le Regioni; accuse promosse contro il Presidente della Repubblica)  e dall’altra normativa di livello costituzionale (legge n. 1/1953 e legge n, 2/1967 di modifica dell’art 135  Cost.) né, tanto meno, fra quelli desumibili dalla normativa ordinaria (leggi n. 87/1953, n. 20/1962, n. 352/1970 “Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo”). Ugualmente dicasi per il “Regolamento generale della Corte  costituzionale 20/1/1966 aggiornato alla deliberazione della Corte 17/6/2024” (qui siamo nell’ambito del potere di autoregolamentazione) e anche per l’ormai settantennale giurisprudenza della Corte, pur sovente definita “creativa”dai suoi critici.

Ulteriori motivi di conforto potrebbero trarsi da quanto affermato dal Presidente della Corte, Augusto Antonio Barbera, nell’ultima Relazione Annuale (18 marzo 2024) a proposito dell’obbligo della Corte di rispettare l’ampia sfera di discrezionalità del legislatore nell’attuazione delle politiche delle quali il Parlamento risponde direttamente agli elettori, essendo il suo intervento consentito  solo per assicurare il rispetto dei limiti sostanziali fissati dalla Costituzione a quanto può essere

deciso dalle maggioranze parlamentari.  In realtà se – come affermato testualmente dal presidente –

in un sistema costituzionale fondato sulla separazione dei poteri, al rigoroso rispetto delle decisioni delle magistrature deve corrispondere l’altrettanto rilevante rispetto delle decisioni delle sedi parlamentari, espressione della sovranità popolare”, sembra che nessuna interpretazione, per quanto ardita, possa attribuire alla Corte il potere di controllare l’espressione di questa sovranità popolare,  che costituisce un “prius” rispetto alla sua attività, tanto meno nella  fase formativa.

E’ possibile che un causidico sottile, di quelli che applicano la legge ai nemici e la interpretano per gli amici, giunga a conclusioni diverse, ma il vero problema è che provvedimenti come quello della Corte rumena trovano la loro origine e causa assai più che nel diritto costituzionale, in quello internazionale, sempre che possa parlarsi  di  diritto e non di pure e semplici imposizioni ad opera di deliranti, ma potenti (ahimè anche in Italia e sull’Italia) soggetti che vogliono ricondurre l’Europa a una politica di guerra.

Francesco Mario Agnoli

 

Condividi:

Share on facebook
Share on twitter
Share on linkedin
Share on whatsapp
Share on telegram
Share on email

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Dai blog

LA PATRIA SOCIALE. Di Luigi Copertino

Un dato inoppugnabile Nel nostro precedente contributo “Il mondo al bivio: sovranismo economico o globalizzazione?”, su www.domus_europa.eu del 18.02.2025, concludevamo osservando che il dato storico

Leggi tutto