Certamente non è per caso che la dottrina sulla regalità sociale di Cristo, che ha portato all’istituzione, nel 1925 ad opera di Pio XI (enciclica Quas Primas ), della festa di Cristo Re si sia sviluppata nella seconda metà del XIX secolo, quando la società occidentale aveva da tempo imboccato una strada addirittura opposta all’esigenza, sottolineata da Leone XIII nell’enciclica Tametsi Futura ( 1° novembre 1900 ), sulla necessità che la legge di Cristo debba imperare non solo nel privato dei singoli cristiani, ma anche “nel convivere umano e nella civile società“.
La Festa di Cristo Re si celebra tuttora (esattamente l’ultima domenica dell’anno liturgico, prima dell’Avvento quest’anno il 24 novembre ), ma oggi la sottolineatura per i fedeli riguarda la sovranità di Cristo sull’Universo e in realtà nessuno può dubitare che, se Dio c’è, anche le galassie più remote siano sottoposte al suo volere. Viene invece messa in secondo piano, se non dimenticata, la necessità di “riparare gli oltraggi fatti a Gesù Cristo dall’ateismo ufficiale”, ottant’anni fa al centro della pressante richiesta per l’istituzione della solennità rivolta nel 1925 a Pio XI da gran numero di ecclesiastici, fra i quali molti porporati.
Quando ci si inoltra nel territorio del sacro e del divino occorre procedere con grande prudenza ed astenersi da giudizi che coinvolgano direttamente Dio, il suo modus operandi e i suoi tempi, che, come ci insegna il Vangelo, di gran lunga sovrastano i nostri, ma quanto alla rappresentante di Cristo in terra, la sua Chiesa, è fin troppo evidente che questa dal 1925 a oggi nella lotta contro l’ateismo ha conosciuto poche vittorie e innumerevoli sconfitte. Forse esagera chi la riduce più o meno al ruolo di una ONG e ne attribuisce la tollerata sopravvivenza alle opere caritative che svolge qua e là per il mondo, ma la legge di Cristo certamente non impera “nel convivere umano e nella civile
società”. Tutt’altro. E non manca chi fa di tutto, impiegando al riguardo, oltre alla bruta violenza – soprattutto nelle regioni del globo più disagiate -, i potenti mezzi messi a disposizione dalla tecnologia e dagli ordinamenti nazionali e internazionali, per espellerla anche dal privato.
Una festa inutile allora? Certamente no. Anzi potenzialmente indispensabile per il popolo cristiano. A condizione che se ne avveda o lo si aiuti a farlo lasciando a Dio Padre la sovranità dell’Universo per occuparsi nuovamente, mettendola al cuore della Festa, di quella “regalità sociale di Cristo” che stava tanto a cuore a Leone XIII. È, difatti, il raffronto fra le forme in cui dovrebbe tradursi questa regalità e la situazione attuale, in particolare dell’Europa e del cosiddetto Occidente, che può fare comprendere come oggi il cristianesimo, per continuare ad esistere anche fuori da qualche pietistico circoletto, debba recuperare la sua natura rivoluzionaria di lievito capace di trasformare fin dalle basi la più aliena e avversa delle società.
Il cristiano sa bene e comunque glielo ricorda l’’enciclica Spe Salvi di Benedetto XVI, che “non esisterà mai in questo mondo il Regno del bene definitivamente consolidato”, ma non si vede perché non debba essere altrettanto per quello del male, che spesso si regge su piedi d’argilla. Una rivoluzione difficile, ma anche semplice nei mezzi. Basterebbe difatti che ogni cristiano si comportasse in pubblico e in privato, quindi anche in ogni suo atto di cittadino, come se Gesù Cristo fosse già stato intronizzato nell’auspicato ruolo di Sovrano della società.
In origine sono occorsi due secoli – ma tempi e ritmi erano molto più lenti – per trasformare l’Impero romano. Non occorrerebbe tanto per liberarsi definitivamente dei vari Macron e Almodòvar.
Francesco Mario Agnoli.