L’Europa non si è mai sottratta alla presa statunitense: a partire dal 2010, la crisi del debito è servita alla finanza USA per ribaltare sull’altra sponda dell’Atlantico il peso del riequilibrio. Vi spiego chi pagherà il conto del piano di Draghi per la competitività dell’Europa. La prosperità futura dell’Europa ora dipenderebbe da investimenti aggiuntivi per centinaia di miliardi di euro annui, che nessuno sa da dove arriveranno se non dal saccheggio dei depositi bancari dei risparmiatori, e dalla definitiva unificazione dei debiti nazionali: in realtà, c’è dietro il solito disegno, quello della sparizione degli Stati nazionali a favore della Celeste Burocrazia di Bruxelles, che non risponde democraticamente a nessuno.
Ed è ovvio che queste proposte siano contenute nel documento sulla competitività dell’Unione che è stato redatto da Mario Draghi, proprio da colui che dapprima ha diretto come direttore generale del tesoro lo smantellamento delle Partecipazioni Statali, poi da Governatore della Banca d’Italia ha auspicato addirittura la anticipazione di un anno del pareggio strutturale del bilancio pubblico italiano, poi imposto come obiettivo di medio termine col Fiscal Compact, e che poi alla Bce ha accompagnato la deflazione strutturale così brutalmente imposta con misure straordinarie di politica monetaria che hanno fatto pagare agli investitori europei la riduzione del debito tedesco, che pagava tassi di interesse negativi: un evento mai successo prima nella storia finanziaria.
È invece da sciocchi parlare del futuro economico dell’Unione Europea senza fare prima i conti con la Storia, non tanto quella che risale alla divisione del Continente dopo la Seconda Guerra Mondiale in due sfere di influenza politica ed economica, quella americana ad ovest e quella sovietica ad est, con due alleanze militari opposte e simmetriche, la Nato ed il Patto di Varsavia, quanto quella che inizia dopo la caduta del Muro di Berlino nel 1989 e dopo la dissoluzione dell’URSS nel dicembre del 1991. La vittoria dell’occidente democratico e capitalista non divenne solo il simbolo astratto della supremazia di un sistema geopolitico sull’altro, ma fu sfruttata per agglomerare nell’ambito della Unione Europea e soprattutto sotto la guida economica della Germania riunificata tutti i Paesi che in precedenza erano stati sottoposti al controllo dell’URSS: è una marcia a nord-est che non si è mai fermata, con la Nato che ha fatto da battistrada anticipando l’espansione della UE, e che sta continuando ancora con la prospettiva di far aderire anche l’Ucraina all’Unione Europea, insieme ad altri numerosi Paesi Balcanici.
L’UnioneEeuropea è stato così lo strumento per la estensione della sfera occidentale sotto la guida statunitense, con la Germania nel ruolo di pivot economico, mentre la Francia e la Gran Bretagna si impegnavano nello strenuo tentativo di ostacolare la rinascita di un nuovo Impero tedesco, come era già successo alla fine dell’Ottocento: il mancato riarmo ha consentito a Berlino di accumulare in vent’anni partendo da zero e sfruttando l’euro, una posizione finanziaria internazionale netta attiva colossale, pari ad oltre 2.900 miliardi a fine 2023.
È una ricchezza spropositata che è stata costruita con lo squilibrio strutturale di gran parte delle altre bilance commerciali, ivi comprese quelle degli Usa, del Regno Unito, della Francia, della Spagna e dell’l’Italia. Ma, a differenza di tutti gli altri, noi abbiamo comunque rimesso a posto i nostri conti esteri pagando il riequilibrio con una forsennata riduzione dei salari, che ormai sono ai livelli più bassi tra i Paesi più industrializzati. Ma l’Europa non si è mai sottratta alla presa statunitense: così come, a partire dal 2010, le crisi dei debiti pubblici e privati dei Paesi PIIGS sono servite alla finanza americana per ribaltare sull’altra sponda dell’Atlantico il peso del riequilibrio, le successive “Primavere Arabe” sono state parimenti utilizzate dall’amministrazione Obama per destabilizzare il fronte meridionale del Mediterraneo.
E ora, dopo i tanti rovesciamenti di fronte a Kiev e l’inutilità dei due Accordi di Minsk che avevano come garanti la Germania e la Francia e che avrebbero dovuto garantire ampi margini di autonomia costituzionale alle minoranze russofone e russofile delle regioni orientali dell’Ucraina, l’invasione russa del 2022 ha riportato l’orologio della storia agli anni della “Cortina di Ferro”: questo è quello che serve per isolare l’Europa dalla Russia, facendole venire meno il suo gas che assicurava concorrenzialità alle produzioni europee e tedesche in particolare. Questo è stato il prezzo che Berlino ha dovuto pagare per l’impudenza che ha avuto legandosi mani e piedi a Mosca con la costruzione di due gasdotti paralleli, i North Stream 1 e 2, che sono stati fatti misteriosamente saltare per aria.
L’Europa è ormai solo una colonia allo stremo, chiusa in una morsa geopolitica, sia a sud nel Mediterraneo e nel Medioriente che a est verso la Russia e la Cina: gli Stati nazionali aderenti all’Unione sono ormai privi di autonomia strategica e di iniziativa politica, mentre anche la Turchia si muove con grande disinvoltura su ogni scacchiere. La Nato è tornata ad essere il guscio politico e militare al cui interno tutto deve essere condiviso. L’Unione europea è stata costruita negli anni per garantire una corretta competizione economica tra gli Stati aderenti, sempre più numerosi ed eterogenei tra loro, attraverso la fissazione di regole comuni nei settori più disparati, ed evitando l’uso delle svalutazioni monetarie per alterare la concorrenza leale: è un sistema ripiegato su se stesso, nell’ambito di un Occidente dominato dagli Usa. Un assetto in crisi, perché è l’Impero americano che ormai tentenna, incapace di assicurare la difesa ai suoi Stati clienti come ha fatto, dal 1945 ad oggi, per ottant’anni.
Senza costruire un sistema di sicurezza autonoma, una prospettiva di pace con la Russia e la sistemazione complessiva di tutti i conflitti che vengono strumentalizzati nei Balcani, nelle aree del mar Nero e del mar Caspio, l’Europa non ha alcun futuro, né di prosperità, né di libertà. Gli Stati europei devono tornare protagonisti del proprio futuro, senza rassegnarsi all’agonia.
Guido Salerno Aletta