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“IUSTITIA… SUUM CUIQUE DISTRIBUIT”. ALCUNE RIFLESSIONI SULLA SENTENZA DEL TRIBUNALE MILITARE DI NAPOLI. Di Francesco Mario Agnoli

Quanto segue non è una nota a sentenza, ma un confronto fra il lavoro di due organi dello Stato che hanno in comune, anche se diversi sono i piani e le specifiche competenze, il compito di amministrare la giustizia. Un confronto impari e, quindi, azzardato, perché quando si tratta di Davide e Golia è quasi sempre quest’ultimo a prevalere (è legittimo il sospetto che quello della Bibbia possa essere l’unico caso di un risultato diverso, che proprio per questo ha meritato di essere tramandato nei secoli). Nella fattispecie, da un lato, un singolo magistrato, il giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale Militare di Napoli, che con sentenza emessa il 27 aprile 2023 ha dichiarato il non luogo a procedere nei confronti di un appartenente al 1° Reggimento San Marco, al quale si contestavamo i reati di disobbedienza all’ordine del superiore di indossare la mascherina FFP2 negli ambienti di lavoro al chiuso, e di diserzione per assenza ingiustificata dal luogo di lavoro per più di cinque giorni consecutivi in periodi diversi. Reati – sembra opportuno premetterlo per una più esatta comprensione del tema del confronto – inquadrati fra quelli contro il servizio e la disciplina, ma che anche coinvolgono il diverso ambito dei reati contro la pubblica incolumità o la pubblica salute, essendo – si legge in sentenza – “di tutta evidenza come, nel caso concreto, il bene giuridico tutelato del servizio e della disciplina sia intrinsecamente ed inscindibilmente correlato a quella della salute pubblica, di talché ove difetti l’offensività alla salute pubblica difetterà anche l’offensività al servizio e alla disciplina”. Dall’altro lato del confronto la Corte costituzionale, in particolare con le sentenze n.ri 14, 15, 16 del 2023, con le quali si è pronunciata, respingendole, su varie questioni di legittimità costituzionale riguardanti la legislazione contro la pandemia da virus Sars-Cov-2, con particolare riguardo all’obbligo vaccinale e alle conseguenze dell’inottemperanza.

Venendo al fatto il giudice dell’udienza preliminare e la Corte Costituzionale concordano nel ritenere determinante per una corretta valutazione giurisdizionale il dato scientifico. Il primo, una volta individuato il bene giuridico tutelato nella fattispecie dalla normativa di servizio e disciplinare nella salute pubblica, afferma la conseguenziale necessità di accertare se e in che misura, nel caso sottoposto al suo giudizio, risulti provato che il rifiuto di indossare la mascherina “abbia potuto aggravare il rischio per la salute degli altri militari in caserma”, rilevando che tale accertamento può avere di mira l’acquisizione di una certezza “scientifica”. A sua volta, la Corte costituzionale nella motivazione della sentenza n. 15/2023, ricorda che “il sindacato sulla non irragionevolezza della scelta del legislatore di incidere sul diritto fondamentale alla salute, anche sotto il profilo della libertà di autodeterminazione, va effettuato alla luce della concreta situazione sanitaria ed epidemiologica in atto”. Difatti, “secondo la giurisprudenza costante di questa Corte sin dalla fondamentale sentenza n. 2082 del 2002”, nelle ipotesi di conflitto tra i diritti contemplati dall’art. 32 Cost. “la discrezionalità del legislatore deve essere esercitata alla luce delle diverse condizioni sanitarie ed epidemiologiche, accertate dalle autorità preposte (sentenze n. 5 del 2018 e n. 268 del 2017). Significative sono altresì le acquisizioni sempre in evoluzione della ricerca medica che debbono guidare il legislatore nell’esercizio delle sue scelte in materia”.

In conclusione, fondamentale per entrambi il dato scientifico, con la differenza che per il giudice napoletano l’accertamento di questo dato, soprattutto in una situazione che ancora oggi, a tre anni di distanza dal sorgere della pandemia, “vede gli scienziati confrontarsi con fenomeni ancora ignoti o non del tutto esplorati con conseguente formulazione di ipotesi scientifiche alternative e spesso contrastanti”, esige che il giudice, e non altri per ciò che riguarda la valutazione finale, verifichi, anche – ove occorra – attraverso la nomina di un consulente tecnico (ritenuta però non necessaria nel caso in esame), “quale sia, tra le varie, l’ipotesi scientifica maggiormente accreditabile, da porre, quindi, a fondamento del giudizio”. Il che non significa che il giudice si sostituisca alla scienza e agli scienziati, ma che, evitando di assumere un ruolo meramente passivo di fronte al mutevole scenario del sapere scientifico, debba invece svolgere “un penetrante ruolo critico, valutando l’affidabilità metodologica e l’integrità delle intenzioni” (così Cass. penale. n.ri 42128/2008 , 43786/2010, Cantore 2013). Ne consegue la necessità di un’indagine da svolgere su due versanti: il soggettivo e l’oggettivo. Il primo, definito della “integrità delle intenzioni” dei soggetti che producono tesi ed ipotesi scientifiche, non può prescindere dalla possibile esistenza di fattori devianti e di situazioni di maggior rischio: gli “interessi che talvolta stanno dietro le opinioni degli esperti, le negoziazioni informali o occulte tra membri di una comunità scientifica, la complessità e la drammaticità di alcuni grandi eventi, la difficoltà di esaminare i fatti con uno sguardo neutro da un punto di vista dei valori, la provvisorietà e mutabilità delle opinioni scientifiche, addirittura in qualche caso, la manipolazione dei dati, la presenza di pseudoscienza in realtà priva di necessari connotati di rigore, gli interessi dei committenti delle ricerche (che) aumentano o inquinano i potenziali interessi economici e politici coinvolti (Cass. Pen. IV Sez, 13.12.2010 n. 43786, Cozzini)”. Un’indagine che, svolta con spirito critico e senza reverenziali timori, ha condotto il magistrato napoletano a constatare che l’organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), “che ha emesso diverse linee guida in tema di raccomandazione delle mascherine in comunità, oltre che dai contributi degli Stati, è in larga misura finanziata da enti pubblici, organizzazioni internazionali e fondazioni private (…) che figurano fra i maggiori finanziatori dell’OMS e hanno tra i dichiarati scopi primari quello di sviluppare e diffondere vaccini a livello globale. Ciò pone evidentemente serie criticità sull’indipendenza dell’operato dell’OMS e sull’affidabilità delle linee guida emanate sia dallo stesso OMS sia da quegli enti che vi si riportano”. Per l’appunto quegli enti (OMS in testa) che, ricomprendendoli sotto la definizione di “autorità preposte”, la Corte costituzionale assume come indiscutibile fonte del dato medico-scientifico su cui fondare la propria decisione con conseguente rinuncia a qualunque ruolo critico e senza nemmeno tenere conto, in concreto, delle “acquisizioni sempre in evoluzione della ricerca medica” pur da lei stessa dichiarate “significative”, ma in realtà prese in considerazione solo se e in quanto incorporate nelle determinazioni delle suddette autorità.

Ovviamente, al contrario del magistrato napoletano, che dedica al versante oggettivo dell’indagine, la cosiddetta “affidabilità metodologica”, considerazioni critiche, che lo portano alla conclusione che “l’unico dato sul quale concorda l’intera comunità scientifica nella determinazione dell’efficacia preventiva del contagio tramite l’utilizzo della mascherina è la consapevolezza di sapere di non sapere”, la Corte anche per questo aspetto si accontenta dell’acritica assunzione del dato fornito dalle pubbliche autorità sanitarie, ritenendolo non solo sufficiente, ma addirittura l’unico in grado di valutare sia l’efficacia preventiva della mascherina sia, più in generale con riguardo alla complessiva politica anti-pandemica praticata dal governo, “la piena efficacia e l’idoneità dell’obbligo vaccinale rispetto allo scopo di ridurre la circolazione del virus”. La Corte resta, ovviamente, consapevole della funzione di controllo che le compete e, difatti, precisa che “il fatto che il legislatore abbia operato le proprie scelte sulla base di valutazioni e di dati di natura medico-scientifica, tuttavia, non vale a sottrarre quelle scelte al sindacato di questa Corte, ma comporta che lo stesso dovrà avere ad oggetto l’accertamento della non irragionevolezza e della proporzionalità della disciplina rispetto al dato scientifico posto a disposizione”. Si tratta quindi di un sindacato dimezzato, limitato alla seconda metà del percorso in quanto dà per scontata la ricorrenza dei requisiti fondamentali della “integrità delle intenzioni” e della “affidabilità metodologica” di operatori e mezzi che hanno fatto emergere “questi dati scientifici – forniti dalle autorità di settore e che non possono perciò essere sostituiti con dati provenienti da fonti diverse, ancorché riferibili a “esperti” del settore – (sui quali) si è basata la scelta politica del legislatore; legislatore che altrimenti, anziché alle autorità istituzionali, avrebbe dovuto affidarsi a “esperti” non è dato vedere con quali criteri scelti”. Un’affermazione che, a tutto concedere, può valere per il legislativo e l’esecutivo, ma non per il giudiziario e nemmeno per la Corte costituzionale, che, pur non appartenendo all’ordine giudiziario, giudice certamente è , sia pure in qualche misura “sui generis” per quel tanto di “politico” di cui partecipa, e, per di più, giudice col compito specifico di controllare la conformità alla Costituzione dell’attività degli altri poteri dello Stato. Il problema non è, quindi, se il parlamento e il governo avrebbero potuto affidarsi, invece che alle autorità istituzionali di settore, ad altri esperti e con quali criteri avrebbero potuto sceglierli, ma riguarda il potere/dovere della Corte di controllare anzitutto, per valutarne l’affidabilità, il percorso seguito e i risultati raggiunti da quelle autorità, sia attraverso un esame critico svolto direttamente sul materiale disponibile, come ha fatto il magistrato militare, sia, ove occorresse, dal momento che gli artt. 13 e seguenti della legge n. 87/1953 le conferiscono il potere di svolgere una propria attività istruttoria (e poco importa che abitualmente non si avvalga di tale potere), attraverso la nomina di consulenti tecnici di propria fiducia, scelti fra esperti anche – volendo – di fama mondiale, o fra gli autori di studi scientifici pubblicati da riviste di fama consolidata nel mondo medico-scientifico come The Lancet o Cochrane (quest’ultima citata dal Gip nel proprio provvedimento). Al riguardo risulta tranchante, anche per la situazione italiana, quanto osserva Lauréline Fontaine in un suo recente libro (La Constitution maltraitée-Anatomie du Conseil constitutionel1) a proposito dei casi (fra questi viene espressamente nominata la pandemia da Covid 19) ritenuti di gravità tale da giustificare la restrizione di diritti fondamentali del cittadino – o, se si preferisce, dell’uomo – quali la libertà di circolazione, la libera determinazione sanitaria ecc. In questi casi – osserva la Fontaine – a ben vedere, il giudizio di costituzionalità non ha ad oggetto la legge, poiché la legge, escludendo un diritto di libertà costituzionalmente garantito, di per sé è sempre incostituzionale sicché il giudizio ha necessariamente ad oggetto quei fatti in forza dei quali si ritiene che sia legittimo comprimere un diritto per salvarne un altro. Non è la legge a essere costituzionale o incostituzionale, ma sono i fatti a renderla o a non renderla tale. In qualche misura lo riconosce la stessa Corte costituzionale quando in sentenze precedenti a quelle cui si fa qui più specifico riferimento scrive: “il sindacato sulla non irragionevolezza della scelta del legislatore di incidere sul diritto fondamentale alla salute, anche sotto il profilo della libertà di autodeterminazione, va effettuato alla luce della concreta situazione sanitaria ed epidemiologica in atto (sentenze n. 5 del 2018 e n. 268 del 2017)”. Ciò che occorre è, quindi, anzi tutto l’accertamento della effettiva “situazione sanitaria ed epidemiologica”, alla quale tutto il resto necessariamente consegue, inclusa la ulteriore valutazione della congruità e ragionevolezza dei provvedimenti messi in campo.

Con buona pace di Golia, il magistrato militare napoletano ha pienamente adempiuto, senza delegarlo ad altri, questo suo compito. La Corte costituzionale no.

Francesco Mario Agnoli

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2 thoughts on ““IUSTITIA… SUUM CUIQUE DISTRIBUIT”. ALCUNE RIFLESSIONI SULLA SENTENZA DEL TRIBUNALE MILITARE DI NAPOLI. Di Francesco Mario Agnoli

  1. Un’ottima e chiara ssegesi giuridica degna dell’altezza professionale e culturale del maestro suo autore, il nostro caro Francesco Mario Agnoli.

  2. Un’ottima e chiara esegesi giuridica degna dell’altezza professionale e culturale del maestro suo autore, il nostro caro Francesco Mario Agnoli.

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