Perché occorre riorganizzazione dell’Heartland
Partiamo dall’assunto che l’impostazione multipolare del mondo sia un qualcosa di già innescato e fattuale, richiedente però una organizzazione nel mentre della sua progressiva definizione. Si tratta di un processo entro il quale ci troviamo, non di un passaggio “formale” – per quanto geopoliticamente si possa parlare di formalismo geografico – e, quindi, da considerare nel corso del suo sviluppo.
Un primo focus possibile è quello sull’Heartland, il Cuore della Terra, che Halford Mackinder non smetteva di ricordare essere l’asse geografico della Storia, necessaria cioè per impostare il piano cartesiano dell’esistenza umana.
Iniziamo quindi focalizzandoci su quei principali vettori dell’attività geopolitica che migliorerebbero qualitativamente il potenziale complessivo di Heartland, dal quale dipende l’esistenza o meno di un mondo multipolare. Si tratta di una riorganizzazione strategica dello spazio che circonda la Russia da tutti i lati, con lo scopo di:
- Riequilibrare la presenza militare nei cinque domini (terra, acqua, aria, spazio, infosfera) del blocco dell’Atlantico;
- Favorire lo sviluppo di sistemi sociali differenti da quelli occidentalocentrici;
- Favorire lo sviluppo di sistemi geoeconomici e finanziari al di fuori delle piatteforme a controllo occidentale (in particolare USA, Regno Unito, Israele e Arabia Saudita);
- Rafforzare gli attori e promotori del multipolarismo;
- Permettere ai Paesi dell’Heartland, in primis dunque alla Russia, di avere accesso diretto ai punti di contatto con il Rimland e il Sealand, e quindi porti, mari caldi e non solo freddi, risorse, posizioni strategiche.
Come anche in più occasioni dimostrato dalla diplomazia russa, in particolare dall’inizio della Special Military Operation, l’Heartland deve consolidarsi, accumulare risorse, mobilitare strutture sociali, passare a una fase di maggiore attività geopolitica o, meglio, di maggiore specificità geopolitica. Tutto ciò richiede un intenso lavoro politico e necessita una sorta di mobilitazione geopolitica, che ha richiesto negli anni precedenti un’attenta revisione degli strumenti, risorse e potenziali vantaggi, senza attirare eccessiva attenzione almeno durante il periodo di sviluppo inerziale. È in tal senso che si possono leggere i passi diplomatici compiuti dalla Russia negli ultimi anni: una revisione della propria attività in ottica di assicurazione di punti stabili nei confronti degli Stati nell’orbita eurasiatica, contando sulle vicinanze etnosociologiche e sul condiviso interesse all’affrancamento dall’orbita anglo-americana. In questo caso, è necessario un calcolo completamente differente affinché emerga una rosa di possibilità completamente diversa.
L’inizio della costruzione di un mondo multipolare risiede necessariamente in un cambiamento nella coscienza dell’élite politica russa, la sua apertura ad un orizzonte geopolitico continentale e planetario, la consapevolezza della propria responsabilità per il destino dello spazio sociale, politico, economico e storico ad essa affidato. D’altronde, il globalismo e la costruzione di un mondo unipolare curano metodicamente l’educazione di diverse generazioni dell’élite americana, europea e mondiale in chiave atlantista (attraverso club privati, logge, organizzazioni di esperti, corporazioni di intellettuali, istituzioni educative specializzate, eccetra), che include, tra l’altro, uno studio minimo obbligatorio della geopolitica e delle altre discipline complementari. Similmente, dunque, la creazione di un mondo multipolare e la riorganizzazione dell’Heartland devono prevedere un rinnovato slancio geopolitico e l’educazione dei quadri dirigenti dei Paesi implicati nel processo, ed in questo la Russia ha dimostrato, almeno parzialmente, di essere riuscita a intensificare la formazione geopolitica (che hai tempi della URSS era vista come capziosa e sovversiva), così da configura una linea che si sta dimostrando, ad oggi, sufficientemente stabile nella gestione multilaterale di un contesto strategico internazionale. Mutuando quanto già in più volte ebbe ad indicare il filosofo russo Aleksandr Dugin, l’élite russa deve diventare consapevole di essere l’élite dell’intero Heartland, cominciando a pensare su scala eurasiatica e non solo su scala nazionale. Questo passaggio non è stato automatico ma esito di un processo educativo, se consideriamo che fino a pochi anni (forse mesi) fa si paventava una possibile adesione della Federazione Russa alla NATO, non senza una certa ironia. È chiaro che solo una classe dirigente adeguatamente preparata in ottica geopolitica è stata – e sarà – in grado di realizzare la necessaria mobilitazione geopolitica e perseguire efficacemente una politica attiva di ristrutturazione dell’intero spazio eurasiatico, al fine di costruire un mondo multipolare e, cosa più complicata, proteggerlo.
Uno sguardo alla strategia occidentale dell’Heartland
Consideriamo ora i parametri generali di come sta avvenendo e dovrebbe ulteriormente avvenire la rinascita di Heartland, nelle direzioni principali del percorso di costruzione del mondo multipolare, partendo da ovest.
Il primo e fondamentale punto è il modello su cui sono costruite le relazioni tra Russia e Stati Uniti. La situazione creatasi con l’escalation militare della SMO, che ben sappiamo essere stata l’esito di un lungo processo e non un evento singolo ed isolato, non esclude aprioristicamente la possibilità di un nuovo equilibrio, proprio attraverso la diplomazia inter-bellica (quella che già sta avvenendo) e di quella post-bellica. Ciò che potrebbe emergere e che sarebbe geopoliticamente conveniente per l’intero Heartland, è l’indipendenza dall’amministrazione americana e dalle opinioni personali, politiche e relative strutture culturali degli Stati Uniti. Se, infatti, gli Stati Uniti non possono fare a meno di pensare e agire a modo loro, perché questo è il vettore costante della loro strategia planetaria (a partire da Woodrow Wilson), l’unica che abbia garantito risultati convincenti e portato gli Stati Uniti vicini al dominio mondiale, e quindi non possono esserci ragioni o argomenti in grado di costringere gli Stati Uniti ad abbandonare l’egemonia mondiale e la costruzione di un mondo globale, è però vero che una sconfitta militare ridisegnerebbe notevolmente non soltanto le geografie dei confini, ma ancor di più quella del Lebensraum, dello spazio vitale geopolitico degli Stati europei, che sono direttamente confinanti con l’Heartland e soprattutto con la Russia.
A livello di scuole di pensiero, per gli USA qualsiasi altra posizione nei confronti di Heartland, che sia diversa dall’essere ferocemente e costantemente ostili, è semplicemente considerata irresponsabile e stupida: tutto ciò per cui gli Stati Uniti si battono nella zona del continente eurasiatico è direttamente opposto agli interessi strategici di Heartland e alla costruzione di un mondo multipolare. Questa visione opposta dell’organizzazione dello spazio politico dell’Eurasia è un assioma assoluto, che non ammette eccezioni né sfumature. Gli Stati Uniti vogliono vedere l’Eurasia e l’equilibrio di potere in essa il più possibile corrispondenti all’unipolarismo e alla globalizzazione.
L’Heartland tutto, però, ha una visione esattamente opposta, che la leadership russa sta dimostrando di aver capito, facendosi capofila di un conflitto che militarmente coinvolge poche potenze, ma geoeconomicamente nel giro di pochi mesi ha completamente ribaltato gli equilibri internazionali.
L’attuale asimmetria esistente fra i Paesi eurasiatici e il blocco dell’Atlantico è però tale da non permettere, a mio giudizio, uno scontro diretto fra potenze, fra Terra contro Mare, non perlomeno nella modalità classica che potremmo aspettarci. L’ibridazione del warfare comporta l’esigenza di maggiori interazioni, contemporaneamente ad una impossibilità strategica ed economica della Russia da solo di intraprendere un conflitto mondiale, cosa che nemmeno ai tempi dell’Unione Sovietica sarebbe stata possibile. Entrano, quindi, in gioco i Paesi vinici.
Da ormai diversi anni, nonostante alcune parvenze di ripensamenti, la Russia è strategicamente interessata a non avere alcuna presenza americana o della NATO nello spazio post-sovietico, mentre gli Stati Uniti sono interessati esattamente all’opposto; la Russia vuole avere relazioni di partenariato diretto con i suoi vicini dell’Europa orientale (i Paesi dell’ex blocco socialista), gli Stati Uniti guardano a questa zona come di influenza primaria, come ad un cordone sanitario che impedisce a Mosca di avvicinarsi all’Unione Europea; la Russia vuole costruire un modello di integrazione con Ucraina e Bielorussia, gli Stati Uniti hanno sostenuto la rivoluzione colorata a Kiev e il conflitto nel Donbass. È palese che la Russia abbia tutto l’interesse ad avere forti contatti con le maggiori potenze dell’Europa continentale (Germania, Francia, Italia), soprattutto nel campo della cooperazione energetica, tentando la prosecuzione di quanto già applicato con i progetti dei due Nord Stream e proseguendo ancora oggi, nonostante le minacce belliche e l’ingresso fattuale nel conflitto ucraino di quei Paesi; gli Stati Uniti, attraverso la loro influenza sui Paesi dell’Europa orientale e su alcuni ambienti politici dell’Unione europea (euro-atlantisti), sabotano in tutti i modi questi contatti, ostacolano i progetti, mettono costantemente in discussione le rotte dei gasdotti e cercano persino di legiferare al fine di legittimare un intervento militare in caso di situazioni energetiche controverse con forniture, ovviamente riferite principalmente alle consegne dalla Russia.
L’efficacia delle relazioni russo-americane da entrambe le parti si misura esattamente in modo opposto: il successo della Russia nelle relazioni con gli Stati Uniti è misurato dal modo in cui Mosca riesce a rafforzare la posizione dell’Heartland; i successi degli Stati Uniti sono interpretati in modo esattamente opposto, ossia in quanto siano riusciti a indebolirla. È difficile, dunque, pensare ad una possibile risoluzione, mentre è più verosimile la spinta, da ambo i lati, per l’accettazione di un nuovo equilibrio, di uno status quo delle cose sufficientemente conveniente per le parti contendenti.
Per quel che riguarda l’Europa, che è la vera sacrificata del conflitto ancora presente, esiste un modello completamente diverso rispetto all’Unione Europea: nella versione ampliata della teoria sviluppata da Mackinder nel 1919, oltre alla Russia, l’autore include il territorio della Germania e dell’Europa centrale. L’Europa ha una forte tradizione continentale, un’identità continentale che presenta un’ampia varietà di espressioni culturali, sociali e politiche, chiaramente visibile nella politica di Paesi come Francia e Germania, in misura minore nella politica di Italia e Spagna. Lo sviluppo di un partenariato strategico con questo nucleo dell’Europa è una priorità per la Russia, poiché è sulla sua base che può prendere forma il multipolarismo[1]. Priorità che è venuta ad aumentare con l’inizio della SMO, essendo in particolare l’Italia estremamente delicata sul piano strategico nell’ottica dell’estensione globale conclamata del conflitto. Non a casa, e molto probabilmente già in vista progettuale di quel che oggi stiamo vivendo, la leadership europea a capo UK-USA ha sempre spinto per garantirsi il Rimland come cordone di sicurezza all’espansione della Russia, con lo scopo di espandersi ad est (attuato con la NATO nel giro di un paio di decenni) in modo da accerchiare quanto più possibile l’intero Heartland.
Questo è esattamente ciò che Mackinder aveva ipotizzato nel percorso verso il dominio del mondo: «Chi controlla l’Europa orientale, controlla il cuore della terra (Heartland); chi controlla il cuore della terra (Heartland) controlla l’isola del mondo; chi governa l’isola del mondo, governa il mondo»[2].
Con uno sguardo concreto alla politica nazionale degli Stati europei, è difficile pensare ad una possibile presa di distanza dall’egemonia d’oltreoceano. I capi di Stato europei sono a maggioranza antirussa e perseguono politiche belligeranti e aggressive nei confronti dell’intero Heartland (perché tali sono anche verso i Paesi dell’ex URSS), e questo vuol dire una preventiva e preventivabile chiusura anche sul lungo termine. La mancanza di una sovranità nazionale gioca, senza ombra di dubbio, un ruolo centrale in questo aspetto geopolitico.
A questo punto sono interessanti due possibilità. Per quanto riguarda l’Europa orientale, la Russia può presentare un progetto costruttivo, che può essere chiamato Grande Europa Orientale: dovrebbe basarsi sulle caratteristiche storiche, culturali, etniche e religiose delle società dell’Europa orientale, ma entrando nel corso della storia dell’Europa occidentale, i suoi gruppi etnici slavi e le società ortodosse sono stati lasciati in periferia, privati della legittima considerazione e alla fine hanno avuto poca influenza sullo sviluppo di un comune paradigma sociale, culturale e politico all’interno dell’Europa occidentale. Le culture slava e ortodossa differivano in modo significativo dalle società romano-germaniche e cattolico-protestanti, dato che permetterebbe una simpatia e coesione non di poca importanza sul piano antropologico e religioso. Se l’Europa occidentale interpretava storicamente queste differenze a favore della superiorità della cultura romano-germanica su quella slava e del cattolicesimo sull’ortodossia, allora nel quadro di un approccio multipolare tutto appare diverso e l’identità dei Paesi e dei popoli dell’Europa orientale è affermata come fenomeno sociologico e culturale indipendente e di valore intrinseco. La Grande Europa Orientale può comprendere sia la cerchia slava (polacchi, bulgari, slovacchi, cechi, serbi, croati, sloveni, macedoni, bosniaci e serbi musulmani), sia piccoli gruppi etnici (come i serbi lusaziani) e gli ortodossi (bulgari, serbi, macedoni, ma allo stesso tempo rumeni e greci). Gli unici popoli dell’Europa orientale che non rientrano nella definizione di slavi o ortodossi sono gli ungheresi, ma non bisogna dimenticare la loro origine eurasiatica, steppica, comune ad altri popoli ugrofinnici, la stragrande maggioranza dei quali vive nel territorio dell’Heartland e ha un pronunciato carattere culturale eurasiatico. La Grande Europa Orientale potrebbe diventare un grande spazio indipendente nel quadro di un’Europa unita. Dal punto di vista di Heartland, questa sarebbe l’opzione migliore.
Una seconda opzione, forse concretamente più lunga da realizzare, è quella del distacco del blocco europeo dal controllo coloniale anglo-americano, dal Seapower, per affermare una geopolitica eurocentrica, indipendente, sovrana, per una Europa dei popoli europei, che sono a maggioranza tellurocratica. L’analisi di questa seconda opzione merita uno studio dedicato; basi osservare, però, alcune difficoltà oggettive nella realizzabilità di questa opzione, perlomeno sul breve termine: l’eurocentrismo richiede una formazione euro-centrata, elemento praticamente assente nelle scuole politiche, geopolitiche e soprattutto militari. Manca, cioè, quella élite politica e finanziaria capace di affermare l’imperativo identitario, per di più in un contesto multipolare, che è ideologicamente più bello, ma diplomaticamente e strategicamente molto più complesso; c’è poi bisogno di formare i popoli, i cittadini, processo che significa svecchiare intere nazioni da quasi un secolo di controllo egemonico, una riprogrammazione per niente veloce e che non è detto nemmeno che vada a buon termine. Un’Europa europeo, per fare un gioco di parole, sarebbe senza dubbio più conforme ad un mondo multipolare e più vantaggiosa anche per l’Heartland stesso, in chiave non russo-centrica ma autenticamente indipendente ed equilibrata nei poli in interazione.
Lorenzo Maria Pacini
[1] Al momento dell’invasione unilaterale dell’Iraq, non approvata dalla coalizione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (USA e Regno Unito) nel 2001, il profilo dell’alleanza continentale russo-europea ha preso forma nell’asse Parigi-Berlino-Mosca, quando i tre presidenti di questi Paesi (Chirac, Schroeder e Putin) hanno condannato congiuntamente le azioni di Washington e Londra, esprimendo così gli interessi consolidati di Heartland nella sua interpretazione più ampia (Russia + Europa continentale). Ciò causò quasi il panico negli Stati Uniti, una volta resisi conto di come sarebbe potuta finire per l’egemonia mondiale americana qualora una simile alleanza fosse stata approfondita e continuata, per cui presero la decisione di smantellarla con tutti i mezzi.