Varie tecniche per l’addestramento della mente e del corpo sono tradizionalmente alla base di pratiche religiose quanto laiche in Asia. E’ pur vero che è difficile stabilire un confine netto e che molte delle tecniche nacquero all’ombra di templi, o nei recessi montani degli asceti, assumendo un carattere mitico, come nel teatro giapponese popolare furyu, originariamente forme di esorcismo a seguito della credenza negli spiriti vendicativi dei morti. Yasuo Yuasa asserisce che la cultura del corpo-mente (infatti: non due entità separate, ma un sistema complesso di reciproche influenze e corrispondenze) fu trasmessa al Giappone dalla Cina intorno al VII secolo, e coinvolse anzitutto arti come la danza e il combattimento, fino a quelle dell’artigianato, come la pittura e la scultura. Waza è l’esecuzione, tradizionalmente associata a keiko, ovvero “studiare il passato”, ereditare e ripensare le tecniche dei predecessori. L’innovazione non è quindi aliena al contesto tradizionale. In Cina il termine quigong si riferiva all’addestramento dell’energia psico-fisica, con due principali diramazioni: il jinggong, forme di meditazione statica, incentrate primariamente sulla respirazione, e il donggong, allenamento dinamico, in rapporto anche con la medicina tradizionale e la promozione della salute. Come per le innumerevoli pratiche di Yoga in India e non solo, è importante sottolineare che i metodi della cultura del corpo-mente non hanno per lo più un rapporto unilateralmente specifico con un credo religioso o settario. Metodi meditativi e tecniche dinamiche applicate alle arti hanno sempre avuto il fine di sviluppare il potenziale che ogni essere umano cela nella sua peculiarità. In Cina esiste la parola fengsui: un composto dei termini “acqua” e “vento” che simboleggiano due dei principali movimenti dell’energia ki nel mondo naturale, e che si applica alle costruzioni edili civili quanto religiose. Più di tutto dietro questo intendimento premoderno si distingue l’idea che l’uomo nel suo agire si adatti ad un movimento cosmico, e che la relazione conseguente abbia reciproci effetti e rimandi. Nella cultura del corpo-mente orientale, sottolinea Yuasa, il fondamento teoretico è questa stessa correlazione tra macrocosmo e microcosmo umano. Le tecniche curative della c.d. medicina popolare, medicina psicosomatica come l’agopuntura o la fitoterapia, non si limitano quindi alla sintomatologia, ma ricercano un ritrovato equilibrio eliminando le ostruzioni, sia organiche che emotive, per attivare il potere autocurativo, la ricerca dell’omeostasi.
Il termine Do in Giappone, Via, divenne sempre più diffuso nel tempo, connotando l’idea di una condotta etica e formale, oltre ad un’abilità concreta, come nel caso del judo (la via del combattimento gentile che sfrutta la forza dell’avversario) o del kendo (la via dell’arte della spada). Così il bushido (il percorso del bushi o guerriero) implica caratteristiche morali e psicologiche, quelle di un’inesausta dedizione e attenzione, nel continuo impegno al perfezionamento. Il percorso è in questo senso parte integrante del fine. Anche il comporre poesia, kado, era considerato un waza assimilabile alla meditazione statica. E non è un caso che in talune figure, il poeta, il contemplativo, e il guerriero, fossero diverse facce di una medesima personalità. Il raggiungimento di una personalità ideale attraverso una o più pratiche del corpo permeava la società tradizionale, tanto che waza divenne legato a kata, la forma ideale dell’esecuzione, la trasmissione di uno stile codificato nel tempo, per rivivere nel modo più accurato l’esperienza dei fondatori e sviluppatori del metodo. Ancora una volta il kata non possiede esclusivamente un intento estetico, né l’efficacia comprovata da una scuola che lo ha trasmesso, ma ricerca il plasmare lo spirito e l’intenzione, rinnovare la coscienza e l’esserci. Ma perfino il kata, una volta appreso nella ripetizione della pratica, va superato, nell’adattamento all’inaspettato e all’immediatezza dell’intuire. La ricerca in definitiva di risorse inesplorate nell’uomo. L’evidenza si ha nelle arti marziali attraverso il combattimento – per quanto più l’arte è sofisticata, più mira alla neutralizzazione più che ad una vittoria nel senso volgare – che comunque ha anche il significato di un miglioramento collaborativo con l’opponente, o nello shiatsu, tecnica curativa di pressione a mediazione corporea diretta, quando ad una pratica impeccabilmente eseguita, non risulta alcun beneficio evidente. A parte le consistenti varianti tra le differenti scuole di shiatsu, le principali risalendo a Namikoshi, che si basa sulla fisiologia della medicina moderna, e quella di Masunaga, che si fonda invece sulla conoscenza della medicina tradizionale cinese, i fattori nella terapia sono molteplici, ed è problematico individuare quella causalità inequivoca che delinea la medicina farmacologica scientifica.
L’Oriente, e non solo il Giappone, mantiene ancora la conoscenza di pratiche dalle radici millenarie che possono essere lette a differenti livelli, ma che non contrastano essenzialmente con un credo religioso, nemmeno come il Cristianesimo o l’Islam. Più di tutto viene posto l’ideale dell’esperienza diretta, del conoscere per tramite dell’esperienza che non può essere anticipata né compresa intellettualmente.
P.A.