Ripartire, riprendere, riaprire, rilanciare… parole che paiono indicare una salda intenzione, una ferma volontà, siano esse pronunciate per incoraggiare se stessi o nel tentativo di affermare una (così terribilmente necessaria) credibilità. Occorre constatare come tuttavia, in questi tempi liquidi, paiono dissonanti e poco credibili tali fermi propositi: in un mondo dove la passione sentimentale è la ragione più vera e costante, dove l’intuizione vale più del ragionamento e il trascinare più del convincere, dove si manifesta più che mai, come scriveva A. Manzoni, “quella funesta docilità degli animi appassionati all’affermare appassionato di molti”, l’idea stessa di porre solide fondamenta per la ripartenza fa sorridere e risulta, forse, se non impossibile, quantomeno problematica. Nonostante questo, è nostro dovere, come cittadini e come cristiani, proporre ancora quei solidi valori, quelle eterne virtù di cui siamo chiamati a essere annunciatori e custodi. Se il mondo s’ingegna a divellere qualsiasi radice culturale recante una croce, possiamo ricordarci che, come amava ripetere G. Andreotti: “non serve che le radici cristiane siano declamate per essere ben presenti”; se nel mondo intorno a noi si diffonde l’usanza di “a voce più che al ver drizzar li volti” (Dante, Purgatorio) per il formarsi di un’opinione, è nostro dovere non odiare o discutere col prossimo, ma ragionare assieme ad esso, di modo da realizzare qualcosa di vero e condiviso, che possa portare a un maggiore benessere comune.
Nel ricercare i principi da porre a fondamento e dai quali ripartire, onde evitare lunghe discussioni per far coincidere le diverse opinioni, é bene partire da qualcosa che chiunque si consideri cittadino italiano deve necessariamente condividere e riconoscere come fondamentale, come atto fondamentale dello Stato italiano: la Costituzione. Essa è il prodotto di diverse anime della tradizione politica occidentale, ma per vedere i suoi concetti sostanziali e comuni occorre illuminarla con qualcosa di più essenziale e basilare, con un’opera che sia a fondamento di tutte le anime di tale tradizione: la “Politica” di Aristotele. Con questo paragone, fra Costituzione e Politica, si pone in risalto ciò che deve essere posto a fondamento di uno Stato e che é necessariamente condivisibile da ogni parte che si voglia definire appartenente ad esso, in quanto costituente l’esistenza dello Stato stesso.
Cosa è, dunque, uno Stato, una Repubblica, come lo Stato italiano si definisce all’art.1? Come suggerito dal filosofo, “occorre analizzare il composto fin nei suoi elementi più semplici, cioè alle parti più piccole del tutto”, per una visione quanto mai chiara del concetto. Se uno Stato è un’aggregazione, occorre dunque individuare il principio di ogni aggregazione, dove esso è necessario, dove si è naturalmente dipendenti l’uno dall’altra; la prima comunità si forma non per semplice proponimento, ma “per naturale impulso, presente anche in ogni altro animale, di voler lasciare qualcosa di simile a sé dopo di sé”. La famiglia è dunque l’agente generante lo Stato, sul quale esso si fonda, attraverso un processo naturale e necessario: difatti, “in vista di necessità non giornaliere si riuniscono più famiglie fino a formare paesi, città, uno Stato”. Stato e famiglia sono dunque concetti strettamente correlati l’uno all’altro, tanto da non potersi reggere che vicendevolmente: il crollo di uno mette in pericolo l’esistenza dell’altro. La decantata ricostruzione di uno Stato deve porre quindi al centro, necessariamente e ragionevolmente, la famiglia. Non si parla qui di nuclei familiari di consumatori, costituiti anche eventualmente da un singolo individuo, ma della famiglia nel suo senso più specifico, più vero, dove l’attenzione è costantemente posta sulla crescita e le opportunità a lungo termine dei figli, non sul consumo personale. Tale famiglia è sorda agli incoraggiamenti di consumo che un repentino abbattimento fiscale vorrebbe generare, perché comprende che quello ricevuto oggi dovrà poi essere restituito con gli interessi un domani e considera il suo reddito permanente (necessario per crescere la propria prole) più importante di quello momentaneo con cui il Governo vorrebbe incoraggiarla a “sostenere l’economia” (ciò che è stato appena esposto è il ragionamento alla base dell’odiernamente accreditata “Equazione ricardiana” sviluppata da R. J. Barro negli anni ’70).
Come risollevare dunque uno Stato? Come ripartire? La risposta è più semplice di quanto in un primo momento non appaia. Risollevare uno Stato equivale a risollevare la condizione economica delle famiglie in tale Stato: le industrie, le banche, la borsa, l’economia stessa ha la propria origine ed è del tutto riconducibile alla famiglia, che è in grado di risollevare da sé tutti gli apparati di cui sopra, in virtù di questa loro peculiare caratteristica. L’Italia, che prima della crisi causata dal Covid-19 non era ancora completamente uscita dalla crisi precedente iniziata nel 2007 (a differenza di quasi tutti gli altri paesi europei che presentavano tassi di crescita fino al 6% come la Polonia), rischia ora di arenarsi completamente. Qualcuno amava ripetere che noi italiani siamo furbi, anzi furbissimi nei nostri affari privati, ma miopi e rovinosi in quelli pubblici: è ora di capire che i nostri affari pubblici coincidono con gli affari non solo nostri, ma soprattutto con gli affari dei nostri figli. È ora (si perdoni l’uso di retorica maoista) di alzarsi in piedi, di alzarci in piedi per prenderci cura di noi stessi e del nostro Stato e, quindi, così facendo, della nostra famiglia.
Luca Marco Agnoli