Tra le fonti più note per avere un punto di vista originale sulla vita quotidiana nel Veneto durante l’ultimo periodo della dominazione asburgica c’è il libro Nell’Italia soggetta all’Austria 1856-1867. Vicende dei miei anni d’insegnamento di Ernst Gnad (Pilsen, 1836-Graz, 1918), suddito imperiale di origine boema.
Il professor Gnad fu mandato nel Lombardo-Veneto dal governo austriaco per insegnare la lingua tedesca agli scolari italiani; il 12 marzo 1855, infatti, era stato decretato che lo studio del tedesco divenisse obbligatorio in tutti i ginnasi del Regno Lombardo-Veneto[1].
Nella sua opera, pubblicata per la prima volta a Innsbruck nel 1904, l’ex insegnante condensò i ricordi dei dieci anni che aveva trascorso in Veneto, trattenendosi a Venezia, Udine e soprattutto a Padova, la città a cui rimase maggiormente legato.
Nella sua breve premessa rivolta al lettore, Gnad afferma di aver scelto di condividere queste sue memorie seguendo l’invito di alcuni suoi amici convinti che la sua testimonianza avrebbe potuto destare interesse non tanto riguardo alla sua persona, ma per il paese in cui si svolsero i fatti narrati e per gli anni difficili in cui accaddero, considerati ormai parte di «un passato già divenuto storico»[2].
Fedele a Francesco Giuseppe suo Sovrano, il professore descrisse la tenace costanza con cui i veneti si opposero al governo austriaco. Padova, in particolare, è il centro che offrì a Gnad le più significative manifestazioni di insofferenza nei confronti degli austriaci. La prima impressione che l’educatore si fece della città non fu particolarmente positiva, l’aspetto delle strade gli sembrò ancora medievale e comprese subito che la popolazione era solita attribuire l’appellativo di austriacante e di spia «anche agli uomini più onesti se non nascondevano la loro devozione all’Austria»[3]. Impiegati polacchi e cechi erano chiamati ‘tedeschi’ senza alcuna distinzione.
Un aspetto caratteristico della città era rappresentato ovviamente dagli studenti universitari e all’interno di questa categoria si distinguevano i pedrocchini, ovvero gli ‘elegantoni’, che evitavano i locali frequentati dai loro coetanei meno danarosi (che li sbeffeggiavano per il loro snobismo). I popolani di più bassa condizione abitavano zone povere come il Portello, venivano chiamati paci[4] e spesso erano coinvolti in risse che li vedevano contrapposti agli studenti.
Con grande dovizia di particolari Gnad testimonia che i patavini non amavano il governo asburgico e che gli scolari, per spirito patriottico, rifiutavano di studiare il tedesco.
Un cambiamento politico decisivo fu segnato dall’armistizio dell’11 luglio 1859; a Villafranca Francesco Giuseppe comprò la pace a prezzo della Lombardia: l’Impero perse una delle sue regioni più ricche e iniziò la fine dell’egemonia austriaca in Italia.
«Devo anche riconoscere che in tutti gli anni del mio soggiorno nel Veneto solo raramente ho notato un’avversione personale o preconcetta contro i tedeschi o sentimenti di vero odio contro il governo austriaco» precisa Gnad, «Si imprecava sì contro di esso, lo si chiamava tirannico e poliziesco, ma gli si concedevano molte attenuanti». Secondo il docente di tedesco, agli impiegati austriaci erano rimproverate la ristrettezza di vedute e la pedanteria, tuttavia erano riconosciuti come uomini onesti, con un gran senso del dovere[5]. «Solamente nei confronti della polizia si covava una vera e propria ostilità, provocata sovente anche da un sentimento regionalistico, avverso ai gendarmi che in gran parte provenivano dal Tirolo meridionale o dalla Lombardia»[6].
Gnad fu un buon letterato, pubblicò novelle e saggi[7] e in questo suo testo diede prova di essere un bravo scrittore, il tono della narrazione riflette imparzialità ed equità di giudizi; l’austriaco racconta ad esempio che il 16 gennaio 1862 Francesco Giuseppe visitò il capoluogo euganeo, «Tuttavia, nonostante la diffusa simpatia personale per il sovrano, la popolazione di Padova, come di tutte le altre città del Veneto, era tutt’altro che ben disposta verso il Governo»[8].
Nel Padovano il “sentimento di unità nazionale” si era ormai impossessato anche degli animi più tranquilli, ma il rifiuto dei cittadini per la dominazione straniera si esprimeva con passività e sopportazione, ossia attendendo un cambiamento esterno anziché una rivolta come quella del 1848, perché si sapeva che l’inevitabile mutamento delle condizioni politiche era imminente. Diverso era invece l’atteggiamento dei contadini, troppo impegnati nella loro guerra quotidiana contro la fame e la povertà per condividere (o comprendere) gli entusiasmi patriottici.
Ad ogni modo, il processo risorgimentale si trovava in una fase così avanzata che i veneti non si sarebbero accontentati di nessun tipo di “autonomia particolare” e, d’altro canto, gli austriaci – poco propensi al compromesso – non concessero maggiori libertà. Anzi, «Nell’anno 1856 si cangiarono gli stemmi austriaci, i quali recavano da prima nel ventre le insegne italiane, cioè il leone Veneto, e la biscia Milanese; e vi si sostituirono i colori e le insegne austriache»[9].
Gnad, devoto suddito imperiale, testimonia che non erano rare le piccole aggressioni politiche, compiute sotto gli occhi impotenti della polizia. Oltre ai pochi legittimisti e agli impiegati statali, venivano colpiti addirittura quei sacerdoti che nelle loro prediche osavano inveire contro la Casa di Savoia; in realtà, però, non si trattava quasi mai di attentati gravi, quanto piuttosto del lancio di innocui petardi artigianali, che arrecavano solo disturbo e fastidio[10].
Lo scrittore chiarisce che per strada non era difficile distinguere i ‘tedeschi’ e i rari legittimisti: «tutti coloro che servivano nello Stato o erano propensi all’Austria portavano il mento raso, mentre gli indipendenti e gli italiani o portavano i baffi alla francese o la barba intera, per non passare, Dio guardi, per austriacanti. Per i dipendenti dello Stato non c’era allora, come invece oggi, libertà completa di portare o no la barba. Un professore universitario trentino, con un nome tedesco e di rigidi sentimenti austriaci, membro della Facoltà di Medicina, soffriva di un eczema facciale per cui non poteva radersi il mento. Per non dare nell’occhio a causa della barba, dovette andare a Venezia e chiedere al governatore Toggenburg[11] il permesso di portare il mento non raso»[12].
Avvicinandosi al 1866 la situazione di Padova si fece tesissima[13], le donne venete vestivano sempre più spesso i colori italiani e le famiglie più lungimiranti avevano già preparato il tricolore per salutare l’arrivo del nuovo governo. I petardi iniziarono a essere lanciati anche dentro le case dei lealisti. Il sesto centenario della nascita di Dante, celebrato il 14 maggio 1865, offrì agli italiani una nuova occasione per manifestare il loro orgoglio nazionale e il governo di Vienna non fece nulla per dissuaderli dal loro intento. Ormai persino alcuni tedeschi, impiegati dello stato, sostenevano la causa italiana.
Sebbene fosse innamorato del clima e del paesaggio della Penisola, con il 1866 e l’annessione del Veneto al Regno d’Italia, Gnad dovette tornare in Patria. Invero ricevette la dignitosa proposta di rimanere a Padova a insegnare greco antico, ma il sentimento di fedeltà verso il suo paese lo spinse a rifiutare immediatamente quell’offerta. A distanza di alcuni mesi, lo scrittore si recò nuovamente a Padova per salutare e ringraziare colleghi e amici; accantonati i passati screzi ideologici, i suoi ex studenti accolsero Gnad con giubilo, entusiasmati anche per l’imminente visita di Garibaldi in città, evento a cui il boemo poté assistere personalmente.
L’insegnante notò che l’entusiasmo esagerato diffusosi tra il popolo per l’unione delle Province Venete all’Italia fu di breve durata, ma non esitò ad ammettere che la giovane nazione italiana avesse tutta la forza necessaria per affrontare le sfide della nuova epoca che le si apriva davanti.
Arrivati all’epilogo di queste emozionanti rimembranze, davanti a pagine così commoventi, ci si rende conto subito che il contegno mostrato da Gnad merita ancora oggi rispetto. Persino quando gli furono rivolti insulti volgari per la sua nazionalità, egli non mostrò mai alcun astio verso il paese che gli aveva dato ospitalità, né verso i suoi abitanti, con cui strinse legami di sincera amicizia.
[1] AA. VV., a cura del Comitato Regionale Veneto per la Storia del Risorgimento Italiano, Dell’ultimo dominio austriaco in Venezia 1849-1866, Vianelli, Chioggia 1916, pp. 45-46.
[2] ERNST GNAD, Nell’Italia soggetta all’Austria 1856-1867 Vicende dei miei anni d’insegnamento, Istituto di Cultura Italo-Tedesco di Padova, 1983, p. 17. Per il lettore potrebbe risultare interessante confrontare la testimonianza di Gnad con un’opera storica recente come AA.VV., Il Veneto tra Risorgimento e unificazione, a cura di PAOLO DE MARCHI, Cierre Edizioni, Sommacampagna (VR) 2011.
[3] E. GNAD, op. cit., p. 38.
[4] Ai giorni nostri, nella lingua padovana, questo vocabolo è caduto completamente in disuso e il suo significato è stato quasi dimenticato dalla popolazione.
[5] E. GNAD, op. cit., p. 133.
[6] Ibidem. Si deve ricordare che sino alla Prima Guerra Mondiale l’Impero considerò i soldati tirolesi come truppe di «provata fedeltà» (sono parole utilizzate dalla professoressa Ulrike Kindl durante la conferenza “Il dramma dimenticato: la prigionia di guerra 1915-1918”, tenutasi a Padova, presso il Museo Storico della Terza Armata, giovedì 7 giugno 2018).
[7] Tra le altre cose Gnad fu un acuto studioso di Leopardi (un chiaro segno del suo amore per l’Italia) e sottolineò la vicinanza tra il pensiero del poeta e la filosofia di Schopenhauer (CESARE STUFFERI MALMIGNATI, Leopardi nella coscienza dell’Ottocento, Bonacci, Roma 1976, pp. 54-55).
[8] E. GNAD, op. cit., p. 174.
[9] AA. VV., Dell’ultimo dominio austriaco in Venezia 1849-1866, cit., pp. 46-47.
[10] Comportamenti simili si ebbero anche a Venezia negli ultimi mesi del governo austriaco in città: «Il popolo Veneziano per quanto mite e cortese, non sapeva trattenersi talvolta dal manifestarsi ostile verso i soldati austriaci provocatori e da solenni fischiate al passaggio di noti austriacanti e furono fatti scoppiare alcuni petardi davanti alle case di odiati arnesi polizieschi» (AA. VV., Dell’ultimo dominio austriaco in Venezia 1849-1866, cit., pp. 299-300).
[11] Il Conte Georg Otto von Toggenburg-Sargans (1810-1888) fu governatore di Venezia dal 1850 al 1855, venne chiamato a ricoprire nuovamente questa carica dal 1860 e l’anno successivo dovette firmare l’armistizio con cui l’Austria cedette definitivamente la Lombardia, mantenendo il dominio sul Veneto. Il 18 ottobre 1866 fu costretto a lasciare definitivamente la città lagunare.
[12] E. GNAD, op. cit, p. 183.
[13] Tra le azioni più eclatanti si può ricordare che a Padova, il 5 giugno 1864, un gruppo di studenti organizzò delle proteste in Prato della Valle, imbrattò le insegne imperiali e offese i gendarmi austriaci (AA. VV., Il Veneto tra Risorgimento e unificazione, cit., pp. 117-118).