È cosa nota che la crescita economica nel nostro paese sia oggi in gran parte ostacolata dall’eccessivo peso del sistema fiscale, cui si aggiungono i vincoli economici esterni rappresentati dalla moneta unica e dai parametri di bilancio imposti da Bruxelles, che ci costringono a politiche di “sopravvivenza” e a misure di austerità, che non permettono lo sblocco di risorse produttive.
Proprio in riferimento al problema del carico fiscale, il Governo in carica ha recentemente proposto l’adozione di una misura, non esattamente originalissima, con lo scopo di dare uno shock alla stagnante economia italiana.
Nello specifico, la proposta in questione, presentata dalla componente “di destra” del Governo Conte, ossia dalla Lega di Matteo Salvini, prevede di introdurre nel nostro sistema fiscale un’imposta “piatta”, la cosiddetta “flat tax”, per le persone fisiche. Già prevista per le imprese (l’IRES è di fatto una flat tax, con una sola aliquota pari al 24%, introdotta dopo la legge di stabilità 2016), la proposta del governo consisterebbe specificatamente nella fissazione di un’unica aliquota fiscale (al 15%) sui redditi, con conseguente, ipotetica, riduzione della pressione fiscale.
Battaglia del centrodestra berlusconiano per molti anni, la flat fax, secondo i suoi sostenitori, permetterebbe, dunque, un abbassamento del carico fiscale, cui seguirebbe, nelle intenzioni dei proponenti, un’attrazione di capitali di investimento provenienti dall’estero.
Volendo sorvolare sul problema, affatto secondario, relativo all’incostituzionalità di una simile misura, incompatibile con il disposto di cui all’art. 53, prescrivente un sistema tributario informato a criteri di progressività, ove i redditi più alti sono sottoposti a percentuali via via crescenti, e prescindendo dalle considerazioni, indimostrate, secondo cui abbassando le tasse diminuirebbe la propensione ad evaderle (un calo dell’evasione è piuttosto direttamente proporzionale all’efficacia dei controlli), il presente articolo intende analizzare la questione sotto un profilo strettamente economico-politico.
Da quanto detto in precedenza, si desume facilmente il nesso che lega detta misura a scelte di politica economica che basa il Pil del paese sugli investimenti stranieri, anziché su quelli pubblici/statali. Senza considerare che non è affatto garantito o dimostrato da alcun dato empirico che il maggior gettito derivato dall’avvento dei contribuenti stranieri sarebbe sufficiente a compensare il minor gettito fiscale interno. Con la logica conseguenza che di fronte a un deficit di entrate la soluzione venga rintracciata, molto probabilmente, nelle “classiche” ipotesi di aumento dell’Iva, come già proposto dall’attuale Ministro dell’Economia, o delle accise sulla benzina, delle tariffe dei servizi pubblici, delle tasse locali come la Tari, eccetera: ossia, trasferendo di fatto sui ceti popolari il peso del mancato introito.
Sì deduce, pertanto, la matrice neoliberista di una simile misura, non a caso ideata da uno dei suoi esponenti più rappresentativi, l’economista Milton Friedman, e da sempre mantra delle teorie neoliberiste in campo fiscale. Infatti, come è stato già fatto notare, l’idea dell’aliquota unica e piatta aderisce alla perfezione all’esigenza di un’economia improntata esclusivamente sulle esportazioni e sugli investimenti stranieri, a discapito invece di politiche di investimento pubbliche di sostegno della domanda e dello sviluppo economico del paese.
In tal senso, non deve meravigliare che la flat tax sia stata affiancata alla proposta di introduzione del reddito di cittadinanza. Cavallo di battaglia, quest’ultimo, della componente “di sinistra” dell’odierno Governo, a dispetto del nome, mostra nei contenuti forti somiglianze rispetto al reddito minimo garantito, adottato in Germania. La stessa misura del reddito base, o reddito garantito o di cittadinanza (la materia è molto complessa e presenta diverse versioni e applicazioni) rappresenta a sua volta una proposta di matrice neoliberista. A conferma di quanto detto, sempre Friedman, tra gli altri, aveva ad esempio ideato una forma di sostegno del reddito detta “negative income tax”, cioè imposta negativa sul reddito, la quale, al di sotto di una determinata soglia di minimo imponibile si trasformerebbe in un sussidio pari alla differenza tra il reddito standard minimo e il reddito famigliare effettivo. Uno strumento che, in ottica neoliberista, veniva ideologicamente pensato proprio per rendere sostenibile il sistema capitalista e in cui a essere tutelato non era il cittadino, bensì il mercato e il suo funzionamento. Difatti, in questa maniera sarebbe stato possibile sostenere l’offerta, coronando il sogno liberista di fare a meno dell’intervento dello Stato in economia.
Alla luce di quanto detto, si osserva, dunque, come non sia affatto singolare l’accostamento flat tax-reddito di cittadinanza. Anzi, le due misure rispondono a un impianto economico di carattere neoliberista, che intende superare e riformare l’attuale sistema di welfare.
Infatti, la riduzione della risorse dovuta al minor gettito fiscale per via della flat tax, avrebbe come iniziale logica conseguenza una riduzione della spesa pubblica di finanziamento dello stato sociale.
In tal senso, a fronte di una progressiva privatizzazione del sistema di welfare, il cosiddetto reddito di cittadinanza si presenta proprio quale misura adatta e necessaria a sostituire l’assenza di strumenti di tutela e previdenza sociale, in un contesto di ripensamento del welfare in chiave neoliberista.
Claudio Giovannico