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LA MADONNA DEL ROSARIO DEL DOMENICHINO.

Scriveva il Cardinale di Bologna G.Paleotti nel 1582: “le pitture servono come libro aperto alla capacità di ogniuno, per essere composte di linguaggio commune a tutte le sorti di persone, uomini, donne, piccioli, dotti, ignoranti… spesso dei libri avviene che quello che con gran difficoltà si è imparato, con gran facilità si scorda; dove le imagini, quello che insegnano lo scolpiscono nelle tavole della memoria si saldamente che vi resta impresso per molti anni”.

Gli artisti venivano a confrontarsi con l’intento, dettato dal Concilio di Trento, di inquadrare le possibilità espressive e definirne ancora una volta i divieti: la condanna delle pitture lascive e non in linea alle riformate iconografie destinate alle chiese faceva il paio con la committenza privata di ecclesiastici in cui si proseguiva liberamente nell’ormai consuetudine pittorica rinascimentale nei continui rimandi all’antichità ed alle allegorie pagane, abbondanti di significati occulti e che mal si allineavano alla dottrina ufficiale della Chiesa.

In questo contesto va intesa “La Madonna del Rosario” di Domenico Zampieri detto il Domenichino, opera già controversa al suo apparire, considerata ambigua ed oscura. Basti citare Monsignor Agucchi, protettore del pittore, che lo sconsigliava di simili invenzioni, che non servivano altro che a fargli perdere tempo ed onore, a costargli la reputazione. Oppure il Malvasia, che sebbene lodasse il dipinto come “ingegnosissima invenzione e ricchissima composizione d’uno de’ primi pittori che sia mai stato”, scrisse che pur spendendo molte ore per trovarvi un significato, si era infine arreso alle generale opinione che interpretava nelle figure del dipinto le età e le condizioni degli esseri umani: negli infanti, lo stato dell’innocenza; nelle giovani donne che si abbracciano la purezza della verginità; nella donna che viene tirata per i capelli da un soldato, immagine del tempo, insieme alla figura maschile incredula, distesa ed impotente, il dovere del matrimonio; infine gli anziani nei quali evidente è il riferimento al Papa e al Clero.

La visione della Madonna che viene invocata da San Domenico a difesa dei cattolici durante la crociata contro gli albigesi è il fondamento dell’iconografia: la Madonna indica a Domenico il rosario e la preghiera come arma per sconfiggere le eresie, un tema tipico della Controriforma. Il fatto che sia Gesù Bambino a lanciare le rose prese da un vaso d’oro – vaso come simbolo del cuore umano – implica che solo attraverso il Figlio sia possibile la Salvezza impetrata alla Vergine, mentre le rose – chiaramente mistiche – allegoria della rinascita spirituale, che pur cadono sulla parte inferiore del dipinto, nel divenire degli eventi, non risparmiano dal massacro. La salvezza è altrove, non è di questo mondo.

Tutti i personaggi ritratti sono circondati da soldati pronti a sferrare i loro colpi mortali mentre lo stupore e l’orrore delle figure, che pure hanno il rosario in mano, è l’evidenza di non poter fuggire alla brutale esecuzione. Le figure umane sono così sopraffatte, e la fede vacilla o scompare dinnanzi alla tragedia e alla morte? La preghiera del Papa, che allarga le braccia in segno di remissività, è impotente, e lo è l’arma del rosario, che non può opporsi al furore omicida. Il Bellori ricorda che il Domenichino era il più abile dei pittori nel ritrarre le emozioni umane, «di linear gli animi e di colorir la vita»: le figure della parte inferiore del dipinto vanno incontro alla morte piene di angustie, e questa non può che essere una ben determinata volontà di rappresentazione del pittore. Anche la parte superiore del dipinto si offre ad incertezze: perché mostrare il dolore dell’angelo che regge la croce dove sarà compiuto il sacrificio del Figlio? Il sacrificio è scritto nella legge dell’eternità, come l’angelo che contempla non il mondo terreno bensì il mondo soprannaturale. L’angelo non può confondere la transitorietà con l’eternità.

Si potrebbe pensare che il Domenichino – en passant, era stato costretto al carcere a Roma dal Cardinale Scipione Borghese, assiduo e fanatico collezionista, per non aver voluto vendere a quest’ultimo uno dei suoi dipinti – dubitasse dell’effettiva opportunità o perfino eticità delle azioni e delle riforme della Curia romana, per altro molto legata a quella bolognese dell’epoca. L’attitudine alla solitudine, le difficoltà che incontrava nelle continue diffamazioni, o la terribile disavventura di aver perduto due figli, non poterono che rafforzare nello Zampieri un sentimento quantomeno di sfiducia nel mondo degli uomini e forse perfino nella misericordia divina. In una lettera del 1637 nella quale veniva richiesta da Francesco Albani, amico e famoso collega, un’esplicita spiegazione sul significato dell’allegoria de “La Madonna del Rosario”, il Domenichino parlando con vaghezza di questioni tecniche circa l’esecuzione, rifiutava di esporsi apertamente, lamentando di esser incompreso. E’ assai probabilmente l’esprimere nell’allegoria il dubbio che nulla risparmia che destava sconcerto e fastidio nelle menti dei più perspicaci contemporanei dello Zampieri.

P.A.

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