Col sollevare la questione di legittimità costituzionale del decreto-legge Lorenzin, che rende di fatto obbligatorie per tutti i minori in età scolastica ben dodici vaccinazioni, la Regione Veneto ha riportato nell’ambito giuridico le proteste di molti genitori. La palla passa alla Corte costituzionale, la cui decisione però, quale che ne sia il contenuto, prevedibilmente si avrà dopo l’imminente inizio dell’anno scolastico. Si pone quindi il problema se i genitori non intenzionati a chiedere asilo politico all’Austria, come pare abbiano fatto alcune famiglie altoatesine, possano, nell’attesa, fare ricorso all’obiezione di coscienza, lo strumento implicitamente (a differenza di quella tedesca la nostra Carta non ne fa espressa menzione) garantito dall’ordinamento costituzionale per i casi nei quali il “facere” imposto dalla legge si scontra, nella coscienza del cittadino, con imperativi di natura etica, filosofica e religiosa.
In realtà sia il riconoscimento del diritto all’obiezione, sia la sua diretta derivazione dalla Carta costituzionale senza necessità dello specifico riconoscimento di volta in volta da parte del legislatore ordinario hanno dato luogo negli anni scorsi a dibattiti e problematiche che sul piano giuridico (non necessariamente su quello della politica e della pseudo-informazione mass-mediale) possono ritenersi definitivamente superati. Il primo caso, e forse (all’epoca) il più dibattuto anche per il contrasto con un altro valore di rilevanza costituzionale – il dovere di difesa della patria di cui all’art. 52 Cost. -, è stato l’obiezione di coscienza al servizio militare armato. Caso risolto a favore degli obiettori prima con la legge n. 772/1972, che ne consentiva la sostituzione con un servizio civile di più lunga durata, poi, dopo un intervento della Corte costituzionale, con la legge n. 230/1998, che ha riconosciuto trattarsi non di una concessione dello Stato, ma di un diritto della persona. In seguito sono stati riconosciuti con legge ordinaria il diritto all’obiezione nel caso dell’aborto volontario (art. 9 legge n. 154/1978), della sperimentazione animale (legge n. 413/1993), della procreazione medicalmente assistita (art. 16 legge n. 40/2004). Riconoscimenti certamente opportuni, ma a rischio di aumentare nell’opinione pubblica la convinzione (spesso ideologicamente strumentale) che il diritto all’obiezione dipenda dal riconoscimento del legislatore ordinario, che, volendo, potrebbe non concederlo o revocarlo (a favore della revoca sempre più forti le pressioni mass-mediali e politiche in tema di aborto). Non è così. Il diritto all’obiezione di coscienza trova diretto e immediato fondamento nella Costituzione italiana (artt. 2,13, 19, 21), nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (art. 18), nella omonima Convenzione Europea (CEDU) (artt. 9 e 10).
Appare, quindi, pienamente condivisibile la conclusione cui, sull’insegnamento della Corte costituzionale, perviene il magistrato Valter Brunetti: “Se dunque il diritto spetta a ogni uomo in quanto dotato di ragione e di coscienza, nessuna eccezione alla libertà di coscienza può essere posta dal legislatore ordinario. La giurisprudenza della Corte Costituzionale offre ulteriore conferme. La Corte Costituzionale nella parte motiva della sentenza n. 467 del 1991 pone un principio di sostanziale obbligatorietà per lo Stato democratico di riconoscere l’obiezione di coscienza”. Con la conseguente non solo possibile, ma doverosa applicazione del principio anche ai casi non ancora espressamente disciplinati, trattandosi “di un diritto costituzionale inviolabile spettante ad ogni persona, di cui l’obiezione di coscienza è sicura espressione, senza eccezioni e indipendentemente da interventi del legislatore” (“Obiezione di coscienza. Una nuova sfida del diritto moderno” in Il diritto vivente n.1/2017 pp.12 ss.).
Tralasciando come inconferenti le argomentazioni della politica politicante e dei mass-media (ora pro ora contro), merita invece considerazione l’opinione, strettamente giuridica, di chi ritiene che per l’obbligatorietà delle vaccinazioni l’obiezione di coscienza incontri un insuperabile ostacolo nella sentenza della Corte Costituzionale n. 118 del 1996 (e altre precedenti, come la 307/1990, la 132/1992 riguardante l’interesse del bambino, meritevole di tutela anche nei confronti dei genitori inadempienti ai compiti inerenti alla cura dei minori). In realtà la decisione del ’96, che, su questione sollevata dal Pretore di Firenze a proposito delle lesioni permanenti conseguenti ad una vaccinazione antipolio, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli articoli della legge 210/1992, che, pur stabilendo un indennizzo a favore di chi riporti complicanze irreversibili a causa di obbligatorie vaccinazioni, trasfusioni e somministrazione di endoderivati, ne fissa limitazioni temporali, non si occupa affatto dell’ammissibilità dell’obiezione di coscienza, tanto che in motivazione si legge: “Impregiudicato qui il problema del rilievo da riconoscersi all’obiezione di coscienza nei confronti dei trattamenti medicali”. Ciò nonostante è innegabile che la questione sottoposta alla Corte riguardava un caso tipico da obiezione di coscienza: la scelta legislativa a favore del secondo nel contrasto fra il diritto individuale alla salute, che implica, per espressa disposizione dell’art. 32 Cost., il diritto all’autodeterminazione del suo titolare (previsto anche dalla Convenzione di Oviedo del 1997, recepita in Italia dalla legge n. 145/2001), e quello collettivo. Un conflitto che in via di principio (ma con risultato opposto nel caso concreto) la Corte aveva già risolto, sotto certe condizioni, in conformità alla scelta legislativa. La sentenza n.118/1996, difatti, richiama la precedente n. 307/1990, con la quale la Corte aveva ritenuto non incompatibile con l’art. 32 della Carta l’imposizione di un trattamento sanitario “diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio a tale ulteriore scopo attinente alla salute come interesse della collettività a giustificare la compressione di quell’autodeterminazione dell’uomo, che inerisce al diritto di ciascuno alla salute quale diritto fondamentale”. Sembrerebbe, quindi, venir meno il presupposto del diritto all’obiezione di fronte ad un trattamento sanitario la cui obbligatorietà sia stabilita, come richiesto dall’art. 32/2° comma, da un’apposita disposizione di legge. Tuttavia, procedendo nell’argomentazione, la sentenza, sempre in linea con la precedente n. 307/1990, pervenuta difatti alla dichiarazione di incostituzionalità della legge n. 51/1966 recante “Obbligatorietà della vaccinazione poliomielitica”, precisa che il rilievo dalla Costituzione attribuito alla salute in quanto interesse della collettività, se è normalmente idoneo da solo a “giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale, cioè a escludere la facoltà di sottrarsi alla misura obbligatoria (si veda, altresí la sentenza n. 258 del 1994), non lo è invece quando possano derivare conseguenze dannose per il diritto individuale alla salute”. Anche in questo caso è sì possibile che “in nome del dovere di solidarietà verso gli altri (…) chi ha da essere sottoposto al trattamento sanitario (o, come nel caso della vaccinazione antipoliomielitica che si pratica nei primi mesi di vita, chi esercita la potestà di genitore o la tutela) sia privato della facoltà di decidere liberamente”, tuttavia “nessuno può essere semplicemente chiamato a sacrificare la propria salute a quella degli altri, fossero pure tutti gli altri”. Ne deriva che “la coesistenza tra la dimensione individuale e quella collettiva della disciplina costituzionale della salute nonché il dovere di solidarietà che lega il singolo alla collettività, ma anche la collettività al singolo, impongono che si predisponga, per quanti abbiano ricevuto un danno alla salute dall’aver ottemperato all’obbligo del trattamento sanitario, una specifica misura di sostegno consistente in un equo ristoro del danno”. In entrambi la Corte afferma che il diritto alla salute individuale e il diritto del singolo all’autodeterminazione non possono essere sic et simplitciter sacrificati, nonostante il principio costituzionale della solidarietà, alla salute della collettività e se si limita a condizionare la legittimità del trattamento obbligatorio della vaccinazione alla previsione di una misura di sostegno consistente in un equo indennizzo (misura, quindi, successiva al danno) è perché i casi sottoposti al suo esame dai giudici remittenti riguardavano lesioni già verificatesi. Con ciò, quindi, non si esclude il dovere del legislatore ordinario di condizionare l’obbligatorietà della vaccinazione a precauzioni di natura preventiva ove sussistano accorgimenti idonei a meglio conciliare il diritto individuale e quello della collettività alla salute, facendo salvo almeno in parte anche il diritto del singolo all’autodeterminazione. Con la conseguenza che ove non lo faccia il provvedimento può risultare costituzionalmente illegittimo.
Del resto è evidente che le norme di riparazione risultano insoddisfacenti ogniqualvolta sia possibile la prevenzione, tanto più quando sono in gioco diritti di rilievo costituzionale dei quali è più che mai indispensabile ridurre al minimo la compressione. Possibilità certamente presente nel caso delle vaccinazioni se si ha l’avvertenza di imporre l’obbligatorietà incondizionata solo di quelle (se ve ne sono) scientificamente accertate come efficaci e non comportanti il pur minimo rischio per la salute, e di limitare l’obbligatorietà delle altre (o, se occorre, di tutte) al previo accertamento di volta in volta di effettive situazioni di pericolo, in sede locale o nazionale, per la salute pubblica. Del resto per evitare che diritti costituzionalmente garantiti, autodeterminazione sanitaria e obiezione di coscienza, vengano, come oggi invece accade, più che compressi annullati, è sufficiente riprodurre a livello nazionale la previsione di cui all’art. 117 del D.Lgs n. 112/1998, che autorizza l’emissione da parte del sindaco di ordinanze contingibili solo in caso di “emergenze sanitarie e di igiene pubblica”. Si dirà che le osservazioni fin qui svolte sembrano riguardare più l’illegittimità costituzionale del decreto-legge Lorenzin che il diritto di obiezione, ma i due aspetti sono, come ovvio, inscindibilmente connessi. Se il diritto all’obiezione di coscienza ha origine e protezione costituzionale, ogni legge ordinaria che non lo rispetti incorre nel vizio di incostituzionalità.
Francesco Mario Agnoli