La polemica estiva sul burqini, nata sulle spiagge francesi, ha generato un acceso dibattito tra gli occidentali sulla condizione delle donne musulmane in Francia, senza preoccuparsi, però, del reale status di esse all’interno della società francese.
Pertanto, è necessario, per meglio inquadrare la questione, prendere in considerazione la loro esperienza di immigrate. Solamente attraverso le loro storie, le loro vicissitudini, i loro percorsi possiamo comprendere la reale sofferenza e il disagio di queste donne.
In base a queste considerazioni, ho voluto personalmente ascoltare e di conseguenza trasmettere l’esperienza di alcune donne algerine emigrate in Francia, attive e impegnate nella difesa e tutela delle donne immigrate in Francia e nella loro integrazione all’interno della società francese.
La prima donna algerina che ho avuto il piacere e la fortuna di conoscere è M.me Nadjet, una donna piena di energia ed entusiasmo.
Mi accoglie nel suo ristorante Le Petit Prince, situato nella cité di La Seyne sur mer e inizia a raccontarmi del suo percorso di vita, mi dice che è arrivata in Francia all’età di 32 anni, par hasard, (per caso), e poi non è più partita.
Nonostante abbia la nazionalità francese e viva in Francia da moltissimi anni, M.me Nadjet non si sente una cittadina francese, è francese per filiazione, perché sua mamma era francese, ma anche perché quando è nata l’Algeria faceva parte della Francia: “Ho maturato questa convinzione una volta arrivata in Francia, quando ho visto che il mio percorso di inserimento non è stato del tutto semplice. Se un giorno avrò la possibilità di scrivere un libro autobiografico, il titolo sarà Quando sarò una francese”.
Infatti, mi confida che l’integrazione è stata molto difficile, soprattutto perché nel Sud della Francia si sente ancora qualche ripercussione della guerra d’Algeria, motivo per cui, afferma M.me Nadjet, “il partito Le Front National vince più al Sud della Francia che in altre zone”.
In effetti, aggiunge ancora, forse per ragioni storiche, gli algerini sono quelli che sono più discriminati in Francia, rispetto ai tunisini e marocchini.
In relazione alla religione e alla sua fede, afferma che lei è una donna musulmana praticante, ma non lo manifesta, perché non ha bisogno di “esternare la sua fede”.
Nadjet all’inizio non ha incontrato grandi problemi legati alla religione; le varie discriminazioni islamofobe si sono registrate in questi ultimi anni con l’affaire du foulard per esempio.
Per quanto concerne la questione del velo, la donna asserisce che vede una sorta di accanimento a riguardo, in quanto:“in Francia vi è la legge che vieta alle musulmane di entrare a volto coperto nelle scuole, ma, invece, si consente alle ragazze di entrare a pancia scoperta o con un abbigliamento poco consono all’ambiente scolastico”,
E continua: “Sono contenta quando mi dicono che sono diversa dalle altre algerine, o donne arabe in generale, solamente perché non porto il velo e quindi credono che sia francese fino a quando non sono io che rivelo la mia nazionalità”.
L’errore è dei media che fanno cattiva informazione, soprattutto per quanto riguarda gli episodi legati alla religione islamica, per settimane e settimane si concentrano su un determinato problema e lo portano fino all’esasperazione, facendo esaltare la paura dell’altro e anche una sorta di odio. “Oggi – dice Nadjet – facciamo paura a tutti, il pregiudizio nei nostri riguardi è aumentato, che, ribadisco, quando sono arrivata in Francia non lo avvertivo affatto”.
M.me Nadjet non mi parla solamente del forte pregiudizio della società francese nei confronti della popolazione araba, ma anche di tante donne maghrebine che pur di non essere giudicate negativamente dai loro mariti o dalla loro comunità indossano. Tornando al concetto d’integrazione Madame Nadjet sostiene che: “Per quanto riguarda il problema dell’integrazione dell’immigrato maghrebino, l’errore sta nel fatto che i francesi ci considerano e ci trattano come esseri inferiori, infatti alcuni chiamano noi donne immigrate non con il nostro nome, ma con l’appellativo di “Madames Cous-cous” o si rivolgono alle ragazze chiamandole “Fatima” e ai ragazzi “Mohammed. Inoltre, non accetto in alcun caso di essere insultata a causa della mia religione, perché la mia religione non uccide nessuno, anzi è bella e pacifista, io non mi riconosco in coloro che affermano di uccidere in nome dell’Islam. Penso che sia stato l’uomo ad infangare la nostra religione, interpretando i precetti islamici secondo una visione maschilista e patriarcale. Quando dicono che noi donne non dobbiamo lavorare, non dobbiamo essere libere, io mi chiedo in cosa gli uomini sono meglio di noi, perché noi dobbiamo subire tutto questo. Quello che succede in Algeria, per esempio, si ripercuote anche in Francia, perché la maggior parte degli algerini che vive nel territorio francese non è istruita, la vecchia generazione di immigrati algerini è emigrata per questioni economiche per cui era più diffuso un certo analfabetismo, ma il problema è iniziato quando sono giunte le donne attraverso il ricongiungimento familiare, quando hanno avuto dei figli e non hanno voluto che quest’ultimi si integrassero nella società francese perché troppo occidentalizzata e queste donne non hanno fatto che avvallare il volere degli uomini misogini.
Difatti, M.me Nadjet mi spiega che il problema dell’integrazione non è dovuto solamente a causa della società francese, la quale nutre ancora un certo pregiudizio nei loro confronti, ma anche di tante donne che sono giunte in Francia con la convinzione di crescere i loro figli secondo le tradizioni dei loro paesi, generando un senso di disadattamento e di non appartenenza nei riguardi di questi giovani, che si sentono sempre più francesi.
L’integrazione, conclude M.me Nadjet è il rispetto della doppia cultura, di provenienza e di permanenza, di esaltazione della propria tradizione, ma anche dell’apertura con altre culture; l’integrazione è saper rispettare tutti.
Imane la incontro a Marsiglia nel XIV arrondissement. È una giovane donna algerina che opera nell’associazione Forum Femmes Méditeranée, all’interno della quale è impegnata a difendere e tutelare i diritti delle donne immigrate maghrebine.
Forum Femmes Méditerranée, spiega Imane, è un’associazione fondata nel 1993 da M.me Esther Fouchier. Ha lo scopo di accogliere le donne migranti e di inserirle nella società. L’organizzazione si impegna contro le discriminazioni razziste e le violenze nei confronti delle donne. Si adopera per applicare l’uguaglianza giuridica e favorire lo sviluppo di progetti per promuovere l’indipendenza economica della donna immigrata.
Imane mi racconta che è arrivata a Marsiglia da non molto, nel 2013, e malgrado il suo buon livello della conoscenza della lingua francese e i suoi titoli di studi, anche per lei è stato difficile inserirsi. “Ho avuto – dice – molte difficoltà ad ottenere i documenti, a trovare un lavoro stabile, è stata una specie di lotta. Se fossi nata qui, e quindi fossi stata una figlia di immigrati, sicuramente non avrei incontrato tutti questi problemi, i ragazzi della “seconda generazione” hanno diritto all’istruzione, all’accesso alle cure sanitarie; chi soffre di più sono i loro genitori perché, parlando poco il francese, faticano a trovare un impiego e ad integrarsi. Attualmente, con i tristi avvenimenti che si sono verificati, l’integrazione è diventata ancora più difficile per tutti, indipendentemente dall’istruzione e la lingua. Questo radicalismo che c’è in Francia non è certamente opera degli immigrati che arrivano dall’Algeria, Tunisia o Marocco, ma i radicali sono dei cittadini francesi, che sono nati in Francia, di origine marocchina, tunisina o algerina. Sono persone che hanno fatto gli studi qui e che sono state influenzate da quest’ondata di radicalismo e sono partiti per la “jihad”. Secondo le statistiche, coloro che sono arrivati in Francia dall’altro lato del Mediterraneo sono persone tranquille e con tanta voglia di fare”.
Imane parla anche della difficile integrazione delle donne algerine in Francia, rispetto alle donne marocchine o tunisine, le algerine hanno subito maggiori discriminazioni in relazione alla storia: “Credo che a subire più ingiustizie siano state le donne algerine della vecchia generazione, quelle che sono arrivate in Francia durante gli anni ’60 e ’70 e quello non è stato un buon periodo, perché nel ’62 l’Algeria aveva ottenuto l’indipendenza e le conseguenze di questa guerra si sono sentite anche in Francia ovviamente . Io, personalmente, non ho subito questo tipo di discriminazione, io sono una donna algerina che non ha la cittadinanza francese, ma nonostante questo, non ho mai subito nessun tipo di ingiustizia per il fatto di essere algerina, forse perché appartengo alla nuova generazione di immigrate”.
Le motivazioni per cui oggi numerose ragazze algerine decidono di emigrare sono svariate, commenta Imane: “Una delle cause principali che ha spinto le algerine della nuova generazione ad emigrare in Francia è quella legata al terrorismo. Non dobbiamo dimenticarci che negli anni 90 l’Algeria ha vissuto nel terrorismo per ben dieci anni, questo ha causato forti danni all’economia e al turismo, penalizzando ulteriormente la condizione delle donne”.
Il racconto della giovane evidenzia anche le prime impressioni su quando è arrivata in Francia la prima volta e sui cambiamenti che ha constatato quando è ritornata per viverci. “Sono venuta in Francia – aggiunge – la prima volta nel 2009 grazie ad una borsa di studio e l’impatto che avevo avuto della Francia era stato quello di un paese laico e aperto, poi quando sono tornata nel 2013, e questa volta per sempre, ho notato un grande cambiamento sia tra i francesi che tra i maghrebini. Ho percepito che il principio di laicità si rafforzava sempre di più tra i francesi e vedevo dall’altra parte esternare e ostentare segni religiosi dalle varie comunità religiose. In effetti, le donne musulmane sono sempre più coperte, vedo più algerine coperte qui che non in Algeria, e questa cosa un po’ mi ha scosso. Se oggi vai ad Algeri, la città in cui sono nata, non trovi tante donne velate, invece qui, a Marsiglia, nel XIV arondissement, mi sembra di stare in un quartiere arabo. Nelle banlieues di Parigi o nella regione Nord-Pas-de-Calais, lì tutto è più accentuato, dalle donne velate ai giovani immigrati disoccupati. Dunque, mi chiedo. Ma è questa la Francia? È questa la Francia laica di cui si sente tanto parlare? Credo che i segni religiosi non vadano ostentati. Oognuno è libero di professare la propria religione, ma nel rispetto degli altri. Questo significa vivere in un paese laico.
Ludovica Paterna.