Tensioni che serpeggiano sotterranee e che, con poco, possono tramutarsi di nuovo in conflitti palesi. Quanto successo ed accade nell’Irlanda del Nord non attira più l’attenzione della grande stampa, ma offre lo stesso interessanti spunti di riflessione. Quasi vent’anni anni fa – era l’aprile 1998 -, in occasione del Good Friday Agreement, vennero firmati gli accordi di pace dal governo britannico e da quello irlandese. Nel luglio del 2005, con un atto di buona volontà, l’Irish Republican Army (IRA) annunciò l’inizio della distruzione del proprio arsenale.
Alla storia recente dell’Irlanda del Nord è dedicato il libro di Fabio Polese (www.fabiopolese.it), “Strade di Belfast. Tra muri che parlano e sogni di libertà” (Eclettica Edizioni). Il giornalista e fotoreporter perugino racconta senza filtri la situazione attuale di una città ancora ribelle (i cattolici nordirlandesi sono stati sistematicamente discriminati per decenni) e che ha visto in passato violenze e spargimento di sangue – tra i responsabili anche i sedicenti “difensori della democrazia” – e spesso nell’indifferenza dei mass media. Polese porta all’attenzione del lettore i giorni infuocati di luglio, quando le parate orangiste provocano la rabbia dei repubblicani ed è arricchito da foto di rara bellezza che parlano della vita quotidiana, degli scontri più accesi e degli immancabili murales identitari delle roccaforti dei nazionalisti irlandesi, compreso quello di Bobby Sands. Il libro raccoglie, inoltre, numerose testimonianze ed interviste ad ex militanti dell’IRA.
La questione nord-irlandese da tempo occupa sempre meno le pagine dei giornali. Come mai?
Nelle pagine dei giornali italiani se ne parla sempre di meno perché si pensa – sbagliando – che il conflitto anglo-irlandese sia definitivamente concluso. In realtà, però, non è così. Certo, la situazione attuale in Irlanda del Nord è sicuramente cambiata. È più tranquilla rispetto agli anni più cupi. Ma questo non vuol dire che decenni di guerra tra occupanti e occupati siano dimenticati. Né che siano cessati del tutto.
Nel tuo libro, infatti, racconti la vita di una città europea “ancora ribelle”…
Nel mio libro cerco di raccontare la situazione attuale. Nonostante la pacificazione di facciata che è stata imposta dai politici. Racconto degli scontri più infuocati di luglio, quando le parate orangiste provocano la rabbia dei repubblicani. E, soprattutto, racconto della voglia di libertà che è ancora forte in gran parte del popolo irlandese.
Come viene visto il governo di Londra dai nazionalisti di Belfast?
È ancora visto e considerato dai nazionalisti irlandesi come l’oppressore da combattere. Anche se è cambiato il modus operandi. Molti ex combattenti dell’Esercito Repubblicano Irlandese (IRA), infatti, hanno deposto le armi e ora fanno politica con lo Sinn Fèin. Una minoranza, invece, continua a credere in una soluzione armata.
Dunque, l’IRA (re-)esiste ancora?
Esistono diversi gruppi armati, più o meno collegati alla vecchia IRA. Ma in questo periodo le loro azioni sono molto limitate, perché manca il supporto della maggioranza della popolazione. Quel supporto che fino alla fine degli anni Novanta ha fatto dell’IRA un gruppo paramilitare organizzatissimo e molto temuto dal governo britannico. Nell’ultimo periodo questi gruppi hanno rivendicato alcuni attentati e l’uccisione di un secondino che addestrava le guardie carcerarie di Maghaberry, dove attualmente sono detenuti molti dissidenti politici repubblicani.
Il tuo lavoro di reporter ti ha portato di recente nelle Filippine. Anche lì la situazione è difficile. I cristiani sono perseguitati e uccisi, ma se ne parla pochissimo.
Le Filippine sono il Paese con la più grande comunità cristiana dell’Asia. Ma nella regione del Mindanao la situazione cambia ed è molto complessa. Da decenni, infatti, nella parte meridionale del Paese i gruppi armati musulmani portano avanti una lotta per l’autonomia. Questo contesto ha portato alcune organizzazioni a radicalizzarsi e a combattere in nome dei tagliagole dello Stato Islamico. In queste zone la vita per i cristiani è molto complicata e molti sono stati uccisi per il proprio credo religioso. Nel mio ultimo reportage, fatto per “Gli Occhi della Guerra” (www.occhidellaguerra.it), ho provato a raccontare questa situazione e le storie dei cristiani perseguitati. Ma non solo. Sono entrato anche nel quartier generale dei guerriglieri islamici ed ho intervistato uno dei loro leader.