Accusata di essere ‘fascista’ dalla sinistra e ‘comunista’ dalla destra. Al di là di ogni fuorviante banalizzazione andiamo ad analizzare il retroterra ideologico e culturale della Russia di oggi.
Archiviato traumaticamente il periodo comunista sovietico, la Russia degli anni ’90 è stata velocemente catapultata nel mondo del liberal-capitalismo. Il ‘sogno’ della democrazia si è però ben presto tramutato in incubo fatto di povertà, disuguaglianze sociali, banditismo e degrado morale. A porre un freno alla decadenza della neonata Federazione Russa arrivò Vladimir Putin, l’Uomo della Provvidenza.
Funzionario del Kgb in epoca sovietica ma anche fervente ortodosso, comincia a fare politica a San Pietroburgo con l’élite liberale grazie alla quale giunge al potere nel 1999. La sua caratteristica principale fin dall’inizio è quella di essere un uomo d’ordine. “La Russia ha esaurito la sua quota di rivoluzioni” e “il benessere di un popolo dipende primariamente dalla stabilità”, afferma. Tutti gli sforzi di Putin nei suoi primi anni al Cremlino sono concentrati verso la necessità di restaurare un ordine interno. Ci riesce pacificando la Cecenia, ristabilendo l’autorità statale e mettendo fine al saccheggio delle ricchezze pubbliche da parte dei gangster assurti al ruolo di oligarchi. Una volta fatto ciò occorreva costruire una nuova ideologia sulla quale posare le fondamenta dello Stato.
Quasi sempre i cambiamenti nella società russa sono avvenuti in modo repentino e violento: la modernizzazione in senso europeista voluta da Pietro il Grande, la rivoluzione bolscevica, il crollo dell’Unione Sovietica. Si avverte quindi un naturale bisogno di trovare stabilità e unità. In quest’ottica Putin definisce il patriottismo come “l’unica ideologia possibile nella società moderna”. Secondo l’ex-diplomatico Luca Gori, autore dell’ottimo volume La Russia eterna[1], “l’obiettivo strategico consisteva nel dotarsi di un’articolata piattaforma di valori coerenti con la tradizione storica della Russia in cui tutti i cittadini potessero riconoscersi”. In un certo senso possiamo dire che
Putin ha innalzato ad ideologia la Russia stessa, rappresentata come civiltà unica, indipendente e immutabile, unita da un filo identitario che partendo dalla Rus’ di Kiev e passando per Impero zarista e Unione Sovietica arriva fino all’odierna Federazione Russa. Il tutto costellato da una serie di imprese eroiche da celebrare, come le battaglie di Aleksandr Nevskjj, la resistenza all’invasione napoleonica, l’assedio di Sebastopoli, la vittoria nella Grande Guerra Patriottica e oggi la difesa del Donbass. Indicativa dal punto di vista simbolico è la scelta di Putin di tornare all’inno sovietico cambiandone però le parole. Non stupisce pertanto ascoltare il Presidente russo tessere le lodi degli Zar conservatori Nicola I e Alessandro III ma anche del leader comunista Josef Stalin, al quale viene riconosciuto il merito di aver tutelato l’ordine e l’integrità dello Stato conducendo il popolo alla vittoria nella Seconda Grande Guerra Patriottica. Nessuna rivalutazione invece della figura di Lenin, colpevole con il suo estremismo di aver portato alla dissoluzione dell’Impero zarista.
L’ideologia nazionale che si sta formando in Russia è antitetica rispetto al liberalismo dominante in Occidente. “L’idea liberale è diventata obsoleta. È entrata in contrasto con gli interessi della stragrande maggioranza della popolazione. I valori tradizionali sono più stabili e più importanti per milioni di persone dell’idea liberale”, spiega in modo chiaro e perentorio Vladimir Putin in un’intervista al Financial Times nel 2019. La questione dell’incompatibilità tra Russia e democrazia è da tempo oggetto di discussione per i politologi. Le ragioni a sostegno di questa tesi sono molteplici: l’eredita storica bizantino-mongola, la forte influenza della religione Ortodossa, l’isolamento geografico e l’enorme estensione territoriale, il carattere multietnico e multireligioso della popolazione, il costante senso di accerchiamento e di minaccia dovuto alla mancanza di confini geografici naturali e alle numerose invasioni subite, l’isolamento nelle relazioni internazionali (“Gli unici alleati della Russia sono il suo esercito e la sua flotta” secondo lo Zar Alessandro III). Ma ci sono anche importanti motivazioni di carattere culturale.
Non esiste nessun ‘culto della libertà’ in Russia simile a quanto invece vi è in Occidente. Lo scrittore Nikolaj Berdjaev sostiene che “non c’è nulla di più tormentoso per
l’uomo della libertà”. L’individualismo è elemento completamente estraneo alla mentalità ortodossa che invece attribuisce un valore positivo alla sofferenza e al sacrificio. “Il piccolo borghese è incompatibile con il carattere russo e ringraziamo Dio per questo” scrive il filosofo Georgij Fedotov. Anche l’iniziativa economica privata e la cultura imprenditoriale non sono mai state molto incoraggiate. Per tutti questi motivi i liberali in Russia non sono mai riusciti a coinvolgere le masse, dalle quali vengono percepiti come un élite esterofila quando invece il prerequisito necessario per aspirare ad una carriera politica è essere un patriota. Anche nello scenario politico odierno i liberali filo-occidentali alla Navalny hanno un peso politico del tutto irrilevante e la principale opposizione al partito di governo ‘Russia Unita’ è rappresentata dal Partito Comunista (KPRF).
La Russia è una delle poche nazioni sviluppate nel mondo di oggi dove l’egemonia culturale è saldamente in mano ai conservatori. A conferma di ciò l’approvazione plebiscitaria della riforma costituzionale in senso sovranista e conservatore voluta dal Putin nel 2020. Nella nuova costituzione viene introdotto il riferimento alla fede spirituale in Dio come fondamento della nazione, si definisce esplicitamente il matrimonio come unione tra un uomo e una donna (chiudendo quindi a qualsiasi possibile rivendicazione Lgbt), si afferma la preminenza del diritto nazionale rispetto a quello internazionale e si fa divieto di ricoprire cariche politiche a chi possiede la doppia cittadinanza (ovvero quasi tutti gli oligarchi filo-occidentali).
La Russia secondo i conservatori non deve ricalcare modelli di sviluppo provenienti dall’esterno ma svilupparsi in base ai suoi specifici valori. Per farlo occorre sapersi difendere da attacchi e ingerenze esterne, sia dal punto di vista militare che spirituale. “La fede tradizionale e lo scudo nucleare sono due cose che rafforzano lo Stato russo e creano le condizioni necessarie per garantire la sicurezza dentro e fuori il paese”, parole di Vladimir Putin. La convinzione dell’unicità e della predestinazione del popolo russo trae ispirazione tra le altre cose anche dal mito della ‘Terza Roma’. Ivan IV durante la sua incoronazione proclamò: “Due Rome sono cadute ma non Mosca. E non vi sarà una quarta Roma”. La Russia come erede degli imperi romano e bizantino, ultimo baluardo contro la sovversione anticristiana.
La base ideologica di partenza del conservatorismo russo è la famosa triade di Uvarov “Ortodossia, Autocrazia, Nazionalità”, ma facendo un analisi più approfondita si possono distinguere correnti di pensiero differenti al suo interno. C’è un conservatorismo liberale, più moderato, che contempla la possibilità un giorno di costruire un sistema democratico anche in Russia. Il conservatorismo sociale focalizza la sua attenzione verso il rafforzamento dell’assistenza paternalistica da parte dello Stato ai suoi ‘figli’ più deboli e bisognosi di aiuto. Gli etnonazionalisti sostengono la centralità dei russi etnici rispetto agli altri popoli che compongono la Federazione Russia, contestano l’accoglienza di immigrati provenienti dalle repubbliche asiatiche ex-sovietiche e talvolta sposano l’idea del politologo Vadim Cymburskij di una ‘Isola Russia’ che limiti il
suo raggio d’azione alla tradizionale sfera di influenza regionale senza sfidare apertamente l’egemonia mondiale americana. C’è poi un conservatorismo ortodosso, per cui Stato e Chiesa devono formare una perfetta ‘sinfonia’, contraddistinto dall’attenzione verso le politiche a favore della famiglia e di contrasto ad aborto e diritti Lgbt. Anche i conservatori ortodossi nutrono una forte ostilità verso il modello globalista statunitense. Secondo il politico Egor Kholmogorov “l’America si è trasformata in un aggressivo califfato Lgbt, fondamentalmente in nulla diverso dal califfato islamico”. Infine ci sono i conservatori eurasisti secondo cui “la Russia non è né Europa né Asia ma uno specifico mondo geografico chiamato Eurasia”. Uno dei più noti esponenti di questa corrente è il filosofo Aleksandr Dugin, teorico della ‘Quarta Teoria Politica’ che parte dal superamento delle tre più diffuse ideologie politiche (liberalismo, comunismo e nazionalismo) per elaborare una nuova sintesi. Alla democrazia liberale Dugin contrappone la ‘democrazia organica’ in cui non risulta importante tanto l’architettura istituzionale quanto invece la capacità del Capo di essere in sintonia con il popolo. Analogamente a livello geopolitico contrappone l’Eterna Roma, ovvero la Russia erede degli imperi che poggiavano la loro forza sullo Stato e la spiritualità, all’Eterna Cartagine, rappresentata dagli Stati Uniti con la loro essenza individualistica e materialistica. Uno scontro eterno e metafisico che non può essere eluso.
Lorenzo Berti
[1] L. Gori, La Russia eterna. Origini e costruzione dell’ideologia postsovietica, Luiss University Press, Milano 2021.