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L’OCCASIONE PER DEFINIRE UNA CULTURA EUROPEA? Di Andrea Giumetti

E’ sempre stato mio pensiero che l’Europa unita dovesse configurarsi come il faro della civiltà che, alla luce della moderatezza, dello stile di vita e del relativo buonsenso che accomuna, o dovrebbe accomunare, gli europei, indica la strada verso il futuro. Per tutto il ‘900 disegni di costituzione di un’Europa unita, anche molto diverse tra di loro, si sono succeduti, sempre inseguendo un ideale a tratti inafferrabile, e spesso oscurato dalle logiche di potere delle grandi potenze. Il brutto vizio di guardare come un esempio ad ovest o ad est, non per trarre ispirazione, ma con acritica ammirazione, è purtroppo stato estremamente forte proprio negli anni che, a partire dal 1992, hanno scandito la mia esistenza su questo mondo: noi europei, chissà per quale motivo, abbiamo progressivamente dimenticato la basilare verità che, per storia, tradizioni, identità ed abitudini, noi non siamo evidentemente né americani, né cinesi, così come la nostra storia non dovrebbe consentirci di rivederci né nel menefreghismo individualista e arrogante del capitalismo neoliberista, né nel dispotismo collettivista proprio delle società socialiste, per quanto questo possa essere talvolta tecnocratico e illuminato. Dopo che due guerre mondiali hanno spazzato via la volontà di potenza degli europei, Gran Bretagna a parte (che ha infatti fatto benissimo ad andare per conto suo), noi non possiamo più pesare di poterci rivedere in forme così estreme: la nostra natura di europei, la nostra vocazione, è quella di un benessere, di una cultura e di una solidarietà civile diffusa. Invece, per anni abbiamo smarrito la bussola, sprecando le già scarse energie di un costrutto anomalo quale l’Unione Europea in tentativi di rincorrere superpotenze tra le cui noi avremmo dovuto, idealmente, porci come terzo polo ad ampio prestigio diplomatico ed economico. Ma questo grigiore potrebbe finire a breve, in quella che forse è la più importante occasione di definizione culturale europea degli ultimi anni: giovedì scorso il parlamento europeo ha aperto un dibattito, che idealmente dovrebbe portare alla definizione di un regolamento europeo ratificato dagli stati membri, per prendere una posizione genuinamente europea in aperto contrasto con quella che è la direzione che invece sta prendendo il resto del mondo. E’ infatti passato il voto preliminare per limitare fortemente l’utilizzo delle telecamere di sicurezza, i software di riconoscimento facciale, gli apparecchi di monitoraggio dell’umore e i software di fisiognomica. Molti probabilmente sapranno che strumenti di questo tipo sono ampiamente diffusi nella Repubblica Popolare Cinese, ma immagino che meno sappiano che, ben prima che si diffondessero nel paese socialista, gli strumenti basati sul monitoraggio e gli algoritmi di previsione erano già diffusi già da anni nella città stato di Singapore, grande alleata dell’occidente nel Sud Est Asiatico. Pochi, immagino, avranno realizzato che anche negli Stati Uniti esistono ormai da anni, seppur concentrati in realtà ad alta urbanizzazione, reti molto estese e molto sofisticate di monitoraggio tramite telecamere, o che già da prima alcuni stati avevano inaugurato la tradizione di usare le macchine della verità, e più recentemente tramite algoritmi, per sistemi di gestione del personale e per le valutazioni su mutui o prestiti bancari. Ma le telecamere e la schedatura digitale hanno anche passato l’oceano: già in Inghilterra un sistema di controllo e di identificazione facciale limita l’accesso ai Pub della città di Londra, e se pensiamo alla potenza che le società multinazionali di raccolta e commercio di dati, appare piuttosto evidente quale sia la tendenza verso cui si muove il mondo. Ebbene, il disegno parlamentare, qualora riuscisse ad essere convertito in regolamento, prevederebbe una fortissima limitazione rispetto alla diffusione di questi sistemi di tracciamento della persona, compresa la messa al bando dell’utilizzo per funzioni preventive e valutative. Se tutto questo passasse, forse per la prima volta avremmo una forte affermazione forte e decisa rispetto alla definizione di un’identità non più occidentale, ma bensì, finalmente, europea. Detto ciò, il parlamento europeo è purtroppo un organo principalmente consultivo, mentre il vero potere sta nel consiglio europeo, formato dai capi di stato dei paesi europei, dove affinché una mozione non passi è sufficiente un singolo voto contrario, per cui questo fortissimo punto di svolta potrebbe effettivamente restare solo inchiostro su carta, rimandando a chi sa quando l’occasione di poter configurare una Via europea.

Andrea Giumetti

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