Condividi:

Share on facebook
Share on twitter
Share on linkedin
Share on whatsapp
Share on telegram
Share on email

Esplora:

LA VITA SOTTO IL REGIME TALEBANO. INTERVISTA AD UN REPORTER AFGHANO. A cura di Ada Oppedisano.

L’Afghanistan è un paese che non può essere dimenticato. La sua posizione geografica, nel centro dell’Asia, la sua più recente storia, che lo ha visto brodo di coltura del terrorismo internazionale, e le sue risorse minerarie, ne fanno da sempre oggetto di mire espansionistiche da parte delle grandi potenze e vittima di ingerenze straniere.

L’Afghanistan è un paese che non può essere dimenticato. A seguito degli accordi di Doha del 2020, siglati tra l’amministrazione statunitense e i vertici talebani, con una chiara volontà di esclusione del governo afghano, che si è ritrovato a doverne prendere atto con le mani legate, il paese è stato letteralmente “regalato” agli studenti delle madrase. Con il ritiro delle truppe occidentali, l’Afghanistan è tornato sotto la guida di un regime talebano che, a partire dall’agosto del 2021, lo ha convertito da Repubblica Islamica dell’Afghanistan in Emirato Islamico d’Afghanistan. In una società come quella in cui viviamo, in cui il ruolo delle parole viene spesso svuotato della propria essenza, è giusto invece soffermarsi sul reale significato dei termini che vengono utilizzati. Da Repubblica, dal latino res publica, la cosa pubblica, seppur a guida e ingerenza occidentale, l’Afghanistan è diventato Emirato (dal verbo arabo amr, diritto di impartire ordini). La differenza di intenti politici è quanto meno sostanziale.

Nel mondo occidentale, la parola “talebano” è entrata a far parte dell’uso comune per connotare comportamenti lesivi di libertà personali e individuali. Per il popolo afghano, è invece una parola che vaga nei più recenti ricordi di crudeltà inumane, fondamentalismi deviati, esecuzioni sommarie, terrore, discriminazioni, ignoranza e atrocità.

Con la caduta del vecchio governo afghano, la comunità internazionale ha imposto all’Afghanistan alcune sanzioni economiche (inclusa la sospensione di aiuti umanitari) e ha congelato circa 9 miliardi di dollari in risorse finanziarie. L’Emirato ha risposto a questa chiusura occidentale, dichiarando di essere il volto nuovo del movimento talebano, cercando goffamente di dimostrare agli occhi del mondo di essere tutore di diritti umani, di rispettare il ruolo della donna e di non commettere più atrocità come accadde in passato, con questa classica litania di concetti accattivanti, specchietti per le allodole, per la comunità internazionale. L’Occidente, ingenuamente, sembra credergli. O peggio, fa finta di credergli, mettendo sul tavolo delle discussioni la possibilità, seppur remota, di un eventuale riconoscimento internazionale.

Ma cosa accade davvero oggi in Afghanistan? Come è cambiata la vita dei cittadini afghani, inseriti a mano a mano in un contesto di società civile, seppur latente e allo stadio larvale, fino alla scorsa estate? L’Afghanistan di oggi è un paese blindato, lo dimostrano le notizie recenti di arresto a Kabul di due giornalisti della Bbc, collaboratori dell’UNHCR (l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, ndr). Per capirlo, siamo riusciti a contattare Mujeebullah Dastyar, reporter freelance di Kabul, che ha risposto alle nostre domande.

 

AO: Cosa è accaduto davvero nell’estate del 2021, a Kabul?

MD: “Dopo che i talebani hanno preso il controllo del paese il 15 agosto 2021, la città di Kabul si è trasformata da città frenetica a città silente. La sensazione era quella di vivere in una città su un pianeta perduto nella galassia. Di giorno in giorno, sempre più truppe talebane cominciavano ad arrivare a Kabul da diverse parti del paese, le banche venivano blindate, i supermercati sono stati chiusi per paura di rapine o saccheggi, le scuole e le università erano vuote, tutti i funzionari governativi scappavano, pensando di essere le prime vittime della vendetta talebana. La gente di Kabul si è trasformata in un gelido pezzo di ghiaccio, le loro menti erano come bloccate, serrate, chiuse a chiave. Nessuno, all’inizio, ha avuto il coraggio di opporsi ai talebani, che

Mujeebullah Dastyar, 33 anni.

lentamente hanno schierato più truppe dalle province vicine. E’ così che Kabul, nel silenzio più assordante, si è consegnata ai talebani.”

AO: Com’è cambiata la tua vita da quel momento?

MD: La mia vita, come milioni di altre, è stata proiettata in una situazione completamente diversa, ho perso il lavoro e ancora oggi sono disoccupato alla ricerca di un impiego. Sono padre di un bambino di due anni e la vita qui costa cara anche per i beni di prima necessità. Vado avanti con lavori saltuari, faccio qualche servizio, quando riesco, per amore di verità. Essendo un giornalista e fotografo freelance, questo nuovo regime ha portato alcune importanti restrizioni, la maggior parte dei giornalisti come me ha perso l’impiego o qualcuno lo sta per lasciare perché queste restrizioni sono davvero come un grande muro alto che non si può superare.

AO: Che ricordi hai di quando eri bambino? Sei genitore di un bambino di due anni, che speranze nutri nei suoi confronti?

MD:Ricordo ancora la prima volta che i talebani conquistarono l’Afghanistan: ero un bambino di 6 o 7 anni e nel 1996, mentre tutti erano presi dal panico per quello che sarebbe successo, io per la prima volta sentivo la parola “rifugio” che se prima, nel mio immaginario infantile, designava qualcosa di bello, caldo e avvolgente, in quel momento ha cominciato ad indicare la paura di non arrivare in tempo alla salvezza. Prima ancora, dal 1992 al 1996, c’era stata la guerra civile. Da quando sono nato ricordo combattimenti, esplosioni e guerre. Ora ho 33 anni e per me non è cambiato niente. Spero un giorno di vedere il mio paese in pace e stabilità, anche se in questo momento vedo solo buio. Vorrei dare al mio bambino un futuro radioso, come tutti i genitori del mondo, mandarlo in una scuola di livello internazionale, affinchè sudi e raggiunga i propri obiettivi. Ma non credo potrà essere così.”

AO: In occidente si dice che i talebani di oggi siano diversi dai talebani di ieri. Tu hai 33 anni e hai vissuto entrambe le esperienze. Trovi che ci siano differenze sostanziali?

MD:Questa volta vedo che i talebani sono diversi dal 1996, ma solo perché ora conoscono lo stile di vita delle città grandi e popolate come Kabul, dove vivono oltre 6 milioni di persone, ora conoscono lo stile di abbigliamento e il livello di istruzione dei giovani, ora hanno familiarità con tecnologia e smartphone, usano i social media come Twitter e Facebook: questi sono gli unici cambiamenti.  A livello ideologico stanno ancora seguendo i loro vecchi metodi: la musica è bandita, alle donne non è permesso andare al lavoro, a scuola e all’università. Il ministero degli affari femminili è stato sciolto. Queste persone non hanno nemmeno rispetto per i loro padri. All’inizio c’era paura ad uscire. Controllavano i cellulari per strada e a volte iniziavano a picchiare i giovani perché ascoltavano musica o giocavano al parco o in luoghi pubblici. A volte torturavano alcune persone per la loro identità etnica. Le strade di Kabul sono state testimoni di migliaia di esplosioni, bombe nelle strade, attacchi suicidi, attacchi complessi. Dal momento che i talebani hanno preso il controllo della città di Kabul, queste esplosioni continuano e alcune portano con sé anche morti oltre che feriti. Pochi giorni fa è accaduto proprio nella via dove abito.”

AO: Cosa pensi degli Stati Uniti e della loro presenza pluriannuale in Afghanistan?

MD:Come abbiamo visto, ogni volta che gli USA si pongono come negoziatori di pace o esportatori di democrazia, tutti i paesi crollano sia economicamente che politicamente (ad esempio la Siria, l’Iraq e anche l’Afghanistan). Nel 2001, gli afghani pensavano che sarebbe stato giusto costruire il proprio paese in modo autonomo, senza l’aiuto degli Stati Uniti, mantenendo la nostra sovranità, perché gli afgani sono abbastanza forti da combattere i propri problemi e ottenere le proprie soluzioni senza bisogno di ingerenze straniere. E’ sempre stato così per noi. Per decenni la Jirga ha trovato soluzioni per la nazione o ha prodotto leggi costituzionali in base alle necessità del tempo. Ti chiederai cosa sia la Jirga. La Jirga è la nostra assemblea tradizionale: in tutto il paese gli anziani si univano sotto lo stesso tetto, in 2000-4000 persone, e risolvevano i problemi.”

AO: Cosa pensi di Ahmad Shah Massoud? Temi che la sua figura di eroe nazionale possa essere adombrata da questo nuovo regime? Cosa pensi di suo figlio e della sua azione antitalebana?

MD:Non c’è dubbio che Ahmad Shah Massoud sia l’eroe nazionale poiché ha combattuto contro i russi e ha trascorso tutta la sua vita in guerra, nessuno potrà cancellare la sua memoria e il suo esempio dal popolo afghano, nemmeno con la forza. Suo figlio Ahmad Massoud adesso si trova fuori dal paese e controlla i suoi combattenti dall’estero. Questo suo padre non lo aveva mai fatto, è sempre rimasto vicino ai suoi uomini nei momenti decisivi. Ti basti sapere questo.”

AO: Grazie Mujeebullah, per la tua disponibilità e per il coraggio che hai dimostrato nel voler rendere pubblica la verità tramite questa intervista, mantenendo alta la dignità del tuo nome. Vuoi aggiungere qualcos’altro?

MD:È il mio lavoro e spero di trovare il coraggio necessario perché lo sia per sempre. Di’ a tutti che non ci dovrebbero più essere guerre civili in Afghanistan, che le persone sono stanche di combattere e di vedere i loro cari nel sangue e nel fango. Devi dire che la maggior parte delle vittime sono giovani uomini che hanno perso la vita in 40 anni di guerra e che i cimiteri sono stracolmi di corpi di martiri. In Afghanistan è raro andare in un cimitero e trovare un morto di morte naturale.”

 

Per Mujeeb e il suo bambino, in nome della salvaguardia delle identità dei popoli e per il rispetto della propria indipendenza, per il futuro e la sicurezza della nostra Europa, per la nostra civiltà, l’Afghanistan è un paese che non deve essere dimenticato.

Ada Oppedisano

 

*Domus Europa ringrazia Ada Oppedisano, autrice dell’intervento, e Mujeebullah Dastyar, reporter freelance di Kabul, per la concessione alla pubblicazione dell’intervista.

Condividi:

Share on facebook
Share on twitter
Share on linkedin
Share on whatsapp
Share on telegram
Share on email

2 thoughts on “LA VITA SOTTO IL REGIME TALEBANO. INTERVISTA AD UN REPORTER AFGHANO. A cura di Ada Oppedisano.

  1. ————————propaganda di un filo occidentale, nel mondo esistono anche civiltà differenti da quella occidentale, in Afghanistan c’è la povertà a causa dell’ingerenza degli yankee. W L’AFGHANISTAN TRADIZIONALE LIBERATO DALLO STRANIERO IMPERIALISTA!!!!!

Rispondi a rossi Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Dai blog

SANTA PASQUA 2024.

Dalla Associazione culturale Identità Europea : SANTA PASQUA 2024 Identità Europea, il suo Presidente e tutto il Direttivo augura a Soci, amici e compagni di

Leggi tutto